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La Lastra

Dal “Toscana in bianco” al Chianti Colli Senesi

La Lastra, fin dalla sua nascita all’inizio degli anni ottanta, si adopera e fonda il proprio pensiero nel salvaguardare l’ambiente e, con esso, “riposizionare i veri valori legati alla vita” per “dare un futuro alla nostra Terra”. Un approccio, questo, che risulta dal rispetto e dalla passione per un territorio particolarmente vocato, come punto di partenza e arrivo di una storia fatta di persone. È con Nadia Betti e suo marito Renato Spanu, diplomati all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige e giunti a San Gimignano per completare gli studi in enologia e viticultura, che un progetto di “vita rurale” prende forma. Dopo i dieci anni di studio e consulenza in ambito vitivinicolo nella bella provincia di Siena, Nadia e Renato, affiancati da Christian Betti, Enrico Paternoster e Valerio Zorzi, nel 1994 fondano La Lastra.

Un approccio alla viticoltura responsabile, etica e sostenibile, che dal 2000 applica i dettami dell’agricoltura biologica anche all’azienda vitivinicola e olivicola “Marciano” di proprietà e nei pressi di Siena. Una filosofia – e non una moda – volta alla produzione di grandi vini che sappiano restituire uno concreta rappresentazione del territorio da cui provengono e la sua massima espressione in termini di qualità. Due le unità produttive: 7 gli ettari nel comune di San Gimignano, dove in accordo con il disciplinare di produzione si realizza l’autoctona e dorata Vernaccia e 23 gli ettari – di cui 7 votati a ulivi e altrettanti a vigna – alle porte del centro storico di Siena che concorrono alla produzione del Chianti Colli Senesi ma anche gli IGT Toscana RossoRovaio” e “Canaiolo“.

La degustazione

Vernaccia di San Gimignano DOCG 2022

Da questo vitigno autoctono e dalla tradizione centenaria, 98% Vernaccia di San Gimignano e il restante 2% di Trebbiano Toscano e Malvasia Bianca Lunga del Chianti, si esprime in un giallo paglierino dai riflessi verdognoli al calice. La maturazione in acciaio e i due mesi in bottiglia ne esaltano i sentori di fiori bianchi, di erba officinale come la verbena, una nota agrumata e altrettanta balsamica del finocchietto. Un vino equilibrato, di carattere e distintivo nel suo sorso sapido che invoglia alla beva.

Vernaccia di San Gimignano Riserva 2020

La particolare attitudine all’invecchiamento di questo vitigno a bacca bianca si evidenzia nella Riserva, dall’affinamento in barrique nuove e di secondo passaggio e dal bel colore giallo paglierino intenso. Al naso si schiude in un bouquet che rimanda alla frutta a polpa gialla e all’ananas, addolcito da note mielate e di fiore di camomilla. La nota agrumata si fa più succosa rispetto all’espressione precedente, unita ad un sorso minerale, di volume, complesso ed elegante.

“Rovaio” Toscana IGT Rosso 2018

Dal blend di uve Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon provenienti dalla tenuta a San Gimignano, il Rovaio risplende nelle sue note rosso rubino carico al calice. Le note di mora e mirtillo si alternano a sentori erbacei di fieno tagliato e dolci di spezia. Nel sorso avvolgente e dal tannino fine, si dimostra un vino piacevole, scorrevole e di buona freschezza.

Chianti Colli Senesi DOCG 2020

Espressione del Chianti in assemblaggio di Sangiovese al 95%, Canaiolo nero al 3%, Malvasia bianca e Trebbiano al 2%, da uve provenienti dalle tenute di San Gimignano e Siena, veste di rosso rubino dai riflessi granati il calice. Tipico è il naso dalla forte componente fruttata di susina e gelsi neri, rivelando note speziate di tabacco e cacao. L’attacco alla bocca è morbido, dal tannino ben in evidenza, giovane ma ben gestito che prosegue con una bella nota sapida e buona struttura.

* I vini dell’Azienda Agricola La Lastra sono distribuiti da Partesa.

Brunello di Montalcino Riserva 2015 e annata 2016

Originale presentazione, ai primi di marzo, del Biondi-Santi Brunello di Montalcino Riserva 2015 e del Brunello di Montalcino 2016 che, come da tradizione, vengono rilasciati più tardi rispetto a quanto consentito dal disciplinare. Per l’azienda, che oggi conta 32 ettari, è stata l’edizione n.1 de “La Voce di Biondi-Santi”: un’edizione dedicata al tema dell’“Equilibrio” tra uomo, natura e tempo, che definisce il Dna dei vini Biondi-Santi ed è alla base della loro eccezionale longevità.

Si tratta di un progetto di comunicazione voluto dall’azienda per portare oltre i confini di Tenuta Greppo – dove il Brunello di Montalcino è stato creato nel 1888 – le esperienze, le storie e le conversazioni che nascono attorno ai suoi vini e che poi viaggiano in tutto il mondo. Un progetto che si traduce in un’opera letteraria, un audiolibro basato su un racconto della scrittrice e giornalista Elena Dallorso, nel quale a “dare voce” al Brunello sono gli attori Neri Marcorè e, per la versione inglese, Tomas Arana, e in un podcast con una serie di conversazioni nelle quali l’AD Biondi-Santi, Giampiero Bertolini, e Federico Radi, il direttore tecnico, dialogano con Beatrice Venezi, direttore d’orchestra di fama internazionale e la Master of Wine Susan Lin.

E, assieme a un nuovo modo di comunicare, gli assaggi testimoniano una svolta stilistica epocale, evidente soprattutto nell’annata 2016, la prima vinificata interamente dal direttore tecnico Federico Radi. Non a caso si è parlato di “equilibrio”: i vini sono più eleganti, meno potenti e meno tannici, rispetto al passato, molto più pronti da bere. Una direzione che, come evidenziato dall’amministratore delegato Gianpiero Bartolini, coincide con quanto richiede il mercato e rispetta le preferenze della nuova proprietà, dal 2017 rappresentata dalla famiglia francese Descours, già proprietaria degli champagne Piper-Heidsieck e Charles Heidsieck, nonché di Château La Verriere a Bordeaux.

La degustazione

I vini assaggiati sono obiettivamente molto buoni. Il 2015 Riserva è un vino che riflette perfettamente l’annata in cui non mancano struttura, eleganza e freschezza. Il naso regala note fruttate di ciliegia, melograno e arancia sanguinella insieme a sentori di violetta e ricordi di salvia. In bocca il vino mostra un notevole volume che tannini ben presenti, dolci e vellutati, e una buona freschezza, accompagnata dalla tradizionale sapidità, rendono equilibrato ed elegante. Il finale è lungo e ritornano le sensazioni avvertite al naso. Una Riserva già estremamente gradevole (se paragonata ad esempio alla 2013), piacevole e golosa, senza la tradizionale austerità al momento del rilascio, e che sembra comunque avere davanti a sé una lunga vita.

Il 2016, di cui abbiamo assaggiato l’annata, conferma la grandezza del millesimo, se possibile in prospettiva perfino superiore al 2015: al naso di avvertono profumi di marasca, arancia sanguinella, piccoli frutti rossi insieme a sensazioni balsamiche. Qui l’evoluzione stilistica è evidente per un vino in cui energia e dolcezza si fondono con eleganza ed equilibrio, dal sorso piacevole, raffinato, sapido e dal finale lunghissimo.

Il ristorante fine dining di una solida azienda agricola

In una discosta piazzetta nel cuore del delizioso borgo di Rocca d’Orcia, sotto l’imponente Rocca di Tentennano che domina gran parte della valle, c’è l’Osteria Perillà, il ristorante fine dining di Podere Forte, azienda agricola che ha fatto della conduzione biologica e biodinamica due scelte cardinali.

Marcello Corrado guida con autorevolezza la risorsa affidatagli dalla proprietà ottimizzando, e facendo di necessità virtù, l’offerta in due menu: uno di carne, “Qui”, e uno di pesce, “Là”, che offrono l’opportunità di scegliere anche singoli piatti dall’uno e dall’altro come se fosse una vera e propria carta.

Le idee dello chef sono chiare e focalizzate sulle materie prime che Podere Forte garantisce: carni di prima qualità con maiali lavorati dal sommo Spigaroli, ortaggi, latticini, miele, grano con cui fare le proprie farine, un olio da competizione e, last but not least, vini di rinomata qualità. In questa cornice lo chef si esprime attraverso una cucina elegante, che esalta certamente la toscanità filtrandola attraverso la sua lente di napoletano cresciuto a Roma e forte di esperienze a fianco di chef di valore come Nicola Portinari della Peca o Stefano Baiocco di Villa Feltrinelli.

Le materie prime di effettivo livello e contaminate da pochi elementi esterni, come tutto ciò che proviene dal vicino Mar Tirreno, si prestano felicemente alla possibilità di esplorare il territorio non risolvendo l’offerta nella mera riproposizione di una filologica tradizione. Tecnica e idee allora si intrecciano in modo assai proficuo nella ricciola appena scottata, la cui morbida texture viene accompagnata da una salsa ai ricci di mare la cui nota iodata ne arricchisce l’apparente semplicità. Due elementi di classicità e golosità conclamate come piccione e foie gras vengono poi presentati con un tocco vivace di efficace modernità: il primo in tartare, il secondo in duplice veste, cremosa e  grattugiata. Il tutto completato da perle di lampone congelato che chiudono il piatto con una nota felicemente fresca che sfrutta adeguatamente la temperatura.

Squisiti anche i ravioli, di pregevole fattura, il cui ripieno di faraona trova un convincente accostamento con la bottarga di tonno che ne prolunga orizzontalmente la persistenza gustativa.

Impeccabile, infine, la crostata di pistacchio e crema di limone a chiudere un pasto di ovattata piacevolezza; una bomboniera, situata alle porte di una delle valli più belle della Toscana.

La Galleria Fotografica:

La rentrée di Paolo Lopriore si è senza dubbio rivelata, e non poteva essere che così, uno degli eventi più rilevanti di un 2014 gastronomico che, soprattutto intorno a una Milano in preda alla febbre pre-Expo, sta regalando le maggiori sorprese in dirittura d’arrivo. Lasciatisi indietro Siena e le peripezie ivi affrontate negli ultimi anni, lo chef di Appiano Gentile è ripartito praticamente da casa, da quella Como che non ha sembrato finora portare troppa fortuna ai ristoratori che vi abbiano intrapreso progetti volti all’altissima qualità.

A sei mesi dall’apertura è ora tempo di stilare un primo, positivo bilancio dell’avventura di Lopriore in riva (o quasi, giacché l’hotel che ospita il ristorante si trova appena all’interno del lungolago) al Lario. Fondamentale, nell’inevitabile confronto fra le performance fornite alla Certosa di Maggiano e quelle cui abbiamo assistito a Como, è il considerare l’insieme a partire dall’enorme differenza che corre fra i due territori. Le spigolosità viste a Siena, con l’esclusione della parentesi “rassicurante” del 2013, vengono qui attutite, come assorbite dall’aria di lago che tutto ovatta e smussa, lasciando spazio, anche nei momenti gastronomicamente più audaci, alla discrezione lombarda più che all’estroversa schiettezza toscana.
Questo non vuol dire in alcun modo che la cena si svolga nella noia, anzi! Solo che la scelta espressiva, ci si consenta il paragone, pare andare, con uno chef per sua natura poco incline al titanismo di Beethoven o di Wagner, in direzione del rarefatto simbolismo debussiano più che del pungente sarcasmo à la Satie che era il marchio di fabbrica delle sue creazioni senesi.

L’apertura del menu degustazione, da noi richiesto in questa occasione in versione ampliata rispetto ai 5 passaggi previsti dalla carta, marca già la differenza fra le suggestioni offerte dai due territori (parliamo di sensazioni, non di km 0): distante anni luce dall’ardito gioco iodato-amaro della storica insalata di erbe, alghe e radici vista in toscana è l’insalata di melone bianco, sedano e cetrioli, che gioca sulla dolcezza, su un amaro assai moderato e, soprattutto, su note balsamiche e salmastre.

Da applausi le due incursioni sul terreno, o meglio nel bacino, della cucina lariana: tanto il cavedano, supporto ad un tripudio di mandorle, radici, albicocche ed alloro che vede il seme oleoso tanto caro a Lopriore sotto l’occhio di bue e gli altri a passare la battuta, quanto il riso in cagnoni e persico in veste nipponica, si distinguono in un percorso di livello medio comunque assai elevato.

L’idea è che ci sia ancora un notevole margine di miglioramento per questa cucina. Un’impressione corroborata, oltre che dal ricordo delle migliori cene senesi, anche dalla costante crescita riscontrata lungo le numerose visite di questi mesi.
La scelta o, meglio, l’esigenza espressiva ed autoriale di interpretare il territorio più che limitarsi a descriverlo è d’altronde una strada lunga e tremendamente in salita. Siamo già ad un ottimo punto, ma, malgrado il nostro malcelato affetto per Paolo Lopriore, per questa volta decidiamo di arrotondare il punteggio per difetto, in modo da poter in un prossimo futuro dar conto di quella che ci attendiamo come la naturale evoluzione.

Anche il servizio, tutto al femminile in occasione di un sabato sera di tutto esaurito, sta man mano prendendo forma e trovando sintonia con una cucina che richiede da parte della sala, per le poche possibilità offerte tanto dalla carta delle vivande quanto da quella dei vini, un surplus di complicità e interazione. Forte di un rapporto qualità prezzo estremamente favorevole in relazione alla bellezza del luogo e al valore della cucina, Kitchen si impone comunque già così come una delle migliori tavole rintracciabili in Lombardia.

L’aperitivo secondo Paolo Lopriore: uno sferzante drink al sambuco.
aperitivo, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
…da accompagnare con gli usuali snack, con la polvere di semi di zucca da prendere con le dita.
snack, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
La Valtellina non è distante e così fa la sua comparsa a tavola uno sciàtt, servito su un brodo di abete rosso.
sciatt, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Insalata di sedano, melone bianco e cetrioli.
insalata di sedano, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como

Un colpo di genio venato di ironia: spaghetto alla lombarda, con prezzemolo, limone e parmigiano. La pasta, di popolare marchio commerciale facilmente riconoscibile e praticamente insapore, diventa puro veicolo di una salsa multisfaccettata in cui i semi di prezzemolo, amplificati dal burro, danno un’estrema lunghezza gustativa.
spaghetto alla lombarda, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Cavedano, radici, albicocche, mandorle e alloro.
cavedano, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
L’intingolo dell’anatroccolo (gradito omaggio dalla cucina)
anatroccolo, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
L’aromatico luccio con salsa olandese (strepitosa), cannella e chiodi di garofano.
luccio, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
La ciotola in attesa di uno speziatissimo brodo
brodo speziato, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
in cui preziosi bocconi di capriolo
bocconi di capriolo, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
andranno calati come in uno shabu shabu.
shabu shabu, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
A contorno una sinfonia d’autunno: porcini e zucca
porcini e zucca, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
e in un gagnairiano quadro d’insieme, una crema di castagne di cui avremmo gradito un bis e poi un ter.
Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como

Il Lario visto dal Giappone: riso in cagnoni con persico, col non trascurabile dettaglio di un concentratissimo “wasabi” di salvia.
lario, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Predessert: uovo e frutto della passione.
predessert, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como

Millefoglie di mela, un dessert in cui la mela è un poco scarica rispetto ai contrasti di sapidità dati dalle cialde e dal mascarpone maison.
millefoglie, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Uno dei nostri compagni di viaggio, insieme a Les Murgiers di Francis Boulard.
giulio ferrari, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como

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La Toscana, come molte altre regioni italiane, non è certamente avara di angoli paesaggisticamente incantevoli, eppure solo pochissimi riescono ad eguagliare per bellezza, conservazione e pace l’alta Val d’Orcia, ossia il lembo della provincia di Siena nei pressi del Monte Amiata che verso sud va a lambire tanto l’Umbria quanto il Lazio. E’ in questo paradiso terrestre, nel comune di Castiglion d’Orcia ed in particolare nel contesto dell’ambizioso progetto di Podere Forte, che troviamo l’osteria Perillà, un luogo dove poter gustare quanto di buono arriva dal Podere stesso, ma non solo. A supervisionare il progetto c’è Enrico Bartolini, il toscano di Brianza, e non è ovviamente un caso che nella parte dolce del menù troveremo un suo classico come il Cioccolato soffice con gelato alla nocciola. Nei fatti l’attività della cucina è invece gestita da Federico Sgorbini, già al fianco dello chef di Pescia alle Robinie di Montescano e successivamente alla Fermata di Spinetta Marengo e nel parigino Taillevent, che troviamo qui coadiuvato per la pasticceria dalla compagna Vilma Masha, fulgido esempio di kalokagathia con un’esperienza a fianco di Nicola Di Lena al Pellicano che luccica dal curriculum.
Non essendo stati avvisati del cambio in corsa al timone, ci siamo ritrovati in pratica alla prima settimana di servizio del nuovo corso, assai differente da quello precedente più virato sulla tradizione, e dobbiamo dire che il risultato è già di un livello assolutamente notevole. Nel lungo menù a mano libera che abbiamo richiesto ecco preparazioni estremamente materiche, consone all’insegna, come una straordinaria focaccia con crescenza e culatello di cinta senese (a trattare i maiali del Podere è stato chiamato Sua Maestà Spigaroli), ma anche piatti da grande tavola come un paté di fegatini di cappone con pere all’anice e cioccolato e un’eccezionale cheese cake in versione toscana, con mandorle, vin santo e crumble di cantuccini. Se la cucina, secondo l’ormai abusata citazione ducassiana, è per il 60 per cento prodotto e per il 40 tecnica, bisogna dire che qui si parte decisamente avvantaggiati, ma non basta: dobbiamo fare i nostri più sinceri complimenti a questi due ragazzi per la maturità dimostrata in un lungo menù che, pur con qualche momento non all’altezza delle preparazioni migliori, non ha visto veri passi falsi ma al più ottime idee, migliorabili e già a buon punto di realizzazione.

Apertura: chips profumate al lime, dolceforte al pomodoro e cannoncini friabili alla bietola.
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Focaccia al rosmarino bianco con olio extravergine, crescenza e culatello 36 mesi. Quasi troppo facile con quel culatello, verrebbe da dire. E ci si sbaglierebbe.

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Paté di fegatini di cappone con pere all’anice e delicato cioccolato.

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Insalata di rape bianche e fagiolini verdi in salsa tonnata, un piatto fresco di vocazione bistrottiera.

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Risotto ai pomodori confit, sedano verde, pinoli ed olive. Qui ci sarebbe piaciuta un’impronta più marcata del sedano.

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Cappone in salsa béarnaise e lamponi.

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Cheese cake in versione toscana.

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Cioccolato soffice con gelato alla nocciola.

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Il gelato al miele del Podere.

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