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Confine

Questa non è l’ennesima pizzeria gourmet

Che a Milano si mangi una delle migliori pizze dello Stivale è, per quantità, qualità e concentrazione di succursali di pizzerie note, fuori discussione. È altresì notorio che il capoluogo meneghino sia sempre avanti, rispetto alle altre città, in termini di proposte ristorative dal connotato innovativo. Due constatazioni, queste, che possono essere tangibilmente provate dalla recente apertura di Confine, creatura di Francesco Capece e del suo socio, Mario Ventura, entrambi campani, situato in uno storico quartiere milanese chiamato “Cinque Vie“, a pochi passi dal Duomo.  A tutti gli effetti, la sensazione è quella di essere seduti al tavolo di un ristorante di un certo livello. Un progetto importante che ha superato un lunghissimo periodo di gestazione, anche a causa delle note avversità degli ultimi anni, e ha visto la luce soltanto qualche mese fa. Il nome dell’insegna si riferisce a quella linea di demarcazione che separa il mondo della pizza con il mondo dei vini o, per quanto ci riguarda, esprime al meglio l’idea di quella “zona di confine” – il manifesto parla di “terza dimensione” – che separa “due mondi”: un luogo popolare (come una semplice pizzeria) dal contesto del fine dining. Un’esperienza che, lo chiariamo a scanso di equivoci, ha un costo rilevante e, come tale, va oltre il mero concetto di pizzeria addentrandosi nelle peculiarità più sofisticate del mondo degli impasti, delle lievitazioni, delle temperature, degli ingredienti e degli abbinamenti, qui tutte poste in essere ad alti livelli interpretativi. 

Tradizionali, fritte e “di confine”  

La pizza è proposta in differenti vesti, dal tradizionale disco di stampo napoletano, con un impasto tutt’altro che banale, profumatissimo, d’autore – a due brillanti variazioni della pizza fritta (e ripassata in forno dal quale esce asciutta e croccante) e del padellino, forse la variante più interessante in termini di struttura, alta e soffice, contraddistinta da un morso etereo. Il tutto può essere preceduto da notevoli fritti che mettono in risalto la passione di Capece per la cucina. Il Bao con polpo alla Luciana vanta uno squisito ripieno con un eccellente prodotto ittico e, ancor prima, un notevole pomodoro all’interno di un mini-bombolone asciutto e irresistibile. Anche le frittatine e i crocchè vengono proposti con una esecuzione d’autore, non convenzionale. Se avete più tempo del previsto, consigliamo una degustazione da quattro, cinque o sei portate magari in abbinamento alle bevande proposte in accompagnamento. La selezione di vini e birre viene, del resto, curata personalmente da Mario Ventura e presenta una sorprendente sezione di Champagne. Va da sé che è tutto buonissimo ma, tra i colpi d’ala, ricordiamo la Botox: elegante reinterpretazione dei quattro formaggi con confettura di fichi bianchi del Cilento e una cialda croccante di parmigiano, e la Zia Maria, che è una evoluzione della banale tonno e cipolla e vede l’utilizzo di ventresca di tonno rosso, crema di pomodorino datterino, olive nere infornate di Ferrandina e cipolla di Tropea. Da menzionare anche la Marinara “secondo Francesco”, dove viene accentuata la componente aromatica che prevale sulla sapidità delle acciughe e, infine, l’affascinante Pomodoro a Pecora, pizza al padellino con San Marzano affumicato, crema e acqua fermentata di datterino, pecorino e primo sale di Pecora dei Monti Picentini. Gli spazi del locale si sviluppano su due livelli, con tanto di saletta privata nel caveau; i processi di lievitazione vengono controllati nel piccolo laboratorio allestito all’interno dell’ampia cucina e il servizio di sala viene gestito da una folta schiera di camerieri. Peccato per l’acustica della sala principale, dove a stento si riesce ad ascoltare il proprio commensale. Problema che, da quanto ci è stato detto, dovrebbe essere risolto a breve.

IL PIATTO MIGLIORE:  Botox: Fonduta di caciocavallo stagionato in grotta, fiordilatte, blue a latte crudo di Bufala, confettura di fichi bianchi del Cilento, chips di Parmigiano Reggiano.

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Da Simone Padoan, ovvero nel tempio della pizza gourmet

Nel panorama contemporaneo la realtà della pizza gourmet ha assunto dimensioni notevoli. Nell’approcciarci al fenomeno, abbiamo scelto un registro diacronico e siamo andati in quello che può essere considerato uno dei suoi templi più storici e rinomati: I Tigli di Simone Padoan. Il pizzaiolo veronese, classe 1971, ha una storia che parte da lontano, con la nascita della sua creatura datata addirittura nel 1994. Ma è nel 1999 che arriva la svolta, con un cambio programmatico dell’idea stessa di pizza, che porta Padoan a ricostruire il pasteggiamento, creando quella che, a tutt’oggi, è comunemente conosciuta come pizza gourmet. Non più una pasta standard da guarnire con diversi ingredienti, ma un impasto che assurge a ruolo di attore protagonista, diversificato di volta in volta per valorizzare il più possibile le farciture. Il tutto, in un ambiente che, dal 2012, è parte imprescindibile dell’esperienza: grazie a un profondo restyling del locale, si può infatti ammirare la brigata all’opera, Padoan in testa, dalla cucina a vista. A ciò, va poi ad aggiungersi la cura dell’ambiente, in cui ogni elemento concorre a ricordare cosa si sta esperendo: arredi in legno che rimandano ai ceppi del forno, bancone in pietra gialla di Vicenza a ricordare la crosta del pane, mise en place che richiama i canovacci per coprire gli impasti.

Due anime

Nella nostra visita abbiamo optato per una scelta che desse ragione delle due anime che sostengono il locale: la tradizione affiancata alla sperimentazione. Se le farciture presentavano una qualità di prim’ordine, siamo rimasti colpiti dagli impasti, capaci di valorizzare senza riserve gli ingredienti di accompagnamento. Margherita, nella sua variante soffice: l’impasto ha presentato una delicata morbidezza interna sbalorditiva, alla quale hanno fatto seguito la cremosità del fior di latte e l’acidità del pomodoro San Marzano, che hanno completato la gamma gustativa senza riserva alcuna. Ma è con la terza pizza che il livello si è alzato vertiginosamente: Lumache e Buon Enrico è stato un piccolo capolavoro, grazie all’impasto all’orzo, agreste e croccante, che ha funto da base ideale su cui adagiare la componente gastropoda. Il connubio con la componente vegetale ha conferito un’alternanza terrosa notevole e verace, dai tratti ferrosi e dalla lunghezza dell’impasto all’orzo persistente. Una pizza lontana dal facili accondiscendenze, rustica e ruvida, ma non per questo non riuscita. Discorso a parte meritano i dolci: Torta delle rose con gelato al pistacchio ci ha colpiti grazie alla rotondità del gelato, perfettamente sposata con la leggerezza dell’impasto della torta, ottimamente alveolato, umido e voluttuoso.Difficile uscire da I Tigli senza provare un senso di appagamento profondo e indimenticabile. Da anni Simone Padoan ci ha abituati all’eccellenza. E di questo non possiamo che essergli grati.

IL PIATTO MIGLIORE: Lumache e Buon Enrico.

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Tran Tran gastronomico

Nel trambusto delle nuove aperture a Napoli, nella confusione di pizze, pizzette, pizze a portafoglio e fritti proposti a ogni angolo di strada, una nuova insegna brilla nel firmamento dei grandi locali dove poter assaggiare davvero il gusto e la passione del popolo partenopeo per il loro piatto firma: la pizzeria Troisi.

Allievo d’arte e ricercatore di nuovi sapori

Gabriele Troisi, allievo del mitologico Bonci, ha passato molti dei suoi anni da pizzaiolo in giro per l’Europa sperimentando grani, impasti e nuovi modi di fondere alla perfezione l’impasto della pizza con i condimenti: in modo che le sue creazioni non fossero solo delle deliziose basi sopra le quali inserire ingredienti che seppur golosi fossero slegati dall’impasto ma un vero e proprio connubio tra la sua pasta lievitata e le materie prime di eccezione che riesce a reperire. Si arriva così a uno dei punti fondamentali dell’esperienza in questa pizzeria: gli ingredienti. C’è un’intera pagina del piccolo menù interamente dedicata ai produttori che riforniscono la pizzeria, una cura così estrema che già di per sé sarebbe indice di qualità se non che, grazie alla maestria di Gabriele ci si dimentica completamente del singolo ingrediente per godere di abbinamenti fantasiosi e ispiratissimi. Dunque mettendo da parte la Margherita, seppur qui in una versione maestosa e magistralmente eseguita, si possono gustare una insolita Pizza con crema e insalata di piselli, zeste di limone e polvere di cipolla bruciata, che sorprende per bilanciamento delle acidità e della freschezza dei prodotti, o anche la ben più golosa Carciofi stufati al vino, guanciale e crema di tuorli. Molto interessante anche la proposta delle pizze al taglio (tra cui spiccano quella Pancetta e origano, quella Zucca e cicoria e quella chiusa Mortadella e insalata) e dei fritti iniziali specialmente le montanare che spaziano da quella Classica alla felice scoperta di quella con la Composta di peperoni. L’impasto è leggero e fragrante, la pizza è più croccante della napoletana classica ma ne mantiene la sofficità all’interno ed è un piacere addentarla morso dopo morso per scoprire quale bizzarra ma vincente combinazione di sapori stupirà stavolta il nostro palato.

IL PIATTO MIGLIORE: Pizza con crema e insalata di piselli, zeste di limone e polvere di cipolla bruciata.

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Dalla colazione alla cena

A Milano, in zona Porta Venezia, in una traversa di Viale Piave, troviamo un simpatico locale polifunzionale: Crosta. Avviato nel 2018, vanta due forni “a vista” all’ingresso e esprime la sua pluralità di sfaccettature offrendo la possibilità di poter acquistare dell’ottimo pane a cura di Giovanni Mineo, gourmandises e dolci, fare colazione, mangiare fino a tardi senza essere, alleluia, assillati dal tempo (sono sempre aperti per pranzo sino alle 18.00), e cenare con delle Pizze alla Pala o Tonde classiche preparate da Simone Lombardi e approntate con varie tipologie di farina a seconda dell’impasto desiderato.

Pane, pizza e cucina

La nostra visita da Crosta si apre per pranzo con un delicato, etereo, “extra large” e vegano Hummus di ceci, pinoli tostati e salsa al peperoncino e limone accostato a delle fragranti fette di pane tiepido home made con un nonnulla di olio “on top” e proseguiamo con due tipi di Pizza alla Pala composte da farina di grano tenero marchigiano tipo “0 e tipo “2” e lievito madre. Sfortunatamente a pranzo non è concesso degustare quella tonda che, in veste serale, viene elaborata aggiungendo alle due farine sopracitate, farina di grano duro antico siciliano integrale, sostituendo il lievito madre con il lievito di birra.

In alternativa qualche proposta gluten-free quale l’Uovo morbido, crema di topinambur, cavolo viola marinato o qualche proposta vegetariana come la Minestra di cavolfiore e curry e l’Insalata di fagiolini e finocchi con crema di patate al prezzemolo e menta. Scegliamo la Pizza Diavola che viene presentata con una base “margherita” con l’aggiunta di ‘nduja della Macelleria Ioppolo e un tocco di origano e la Stracciatella e Crudo che viene allestita con l’interessante prodotto caseario succitato, scioglievole Prosciutto Crudo 18 mesi dell’azienda agricola Zavoli, olio evo. Purtroppo, sebbene l’impasto fosse egregio, alveolato, digeribile e mantenesse la giusta croccantezza sia in superficie che alla alla base, il risultato è stato un filo deludente poiché entrambe risultavano un po’ bruciacchiate e annerite sul fondo.

Per cena la proposta si amplia, con le pizze tonde cucinate “espresse”, arricchite da una grande varietà di prodotti di selezionate aziende agricole. La cura per le selezione delle materie prime e il rispetto della loro stagionalità si evince nelle pizze tradizionali come la Marinara, la Bufala e la Cosacca fino alle “contemporanee” Patate schiacciate, pesto Rossi di Genova e crescenza o nella profumata e fragrante Verdure di stagione. Sulla pizza “signature”: Ventricina, coriandolo, cipollotto, ananas si è già scritto molto. Noi ci limitiamo a ribadire che vale la visita in quanto a prova di scettico (circa l’utilizzo dell’ananas sulla pizza). Concludiamo la sosta con un delizioso Tiramisù, che ben rappresenta le golose proposte di dessert e le definite “torte da credenza” come la Caprese al cioccolato, la Torta Paradiso, il Banana Bread, la Torta al limone e mandorle, la Torta carote e cannella e via preferendo. La carta dei vini, piuttosto scarna, comprende qualche etichetta di vini rifermentati in bottiglia, oltre a qualche proposta di birra e qualche cocktail.

IL PIATTO MIGLIORE: Ventricina, coriandolo, cipollotto, ananas.

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Lo spicchio è il piatto

La differenza la fa il palato dello Chef. Sempre. In una scena gastronomica in cui a latitare non sono certo prodotti, tecnica, trovate commerciali e capacità d’investimento, a segnare il solco fra “bravo, quello!” e i fuoriclasse è l’abilità di saper leggere e interpretare l’ingrediente per creare e ricreare mondi, suggestioni, percorsi gustativi a partire da esso. È sua maestà il palato a discriminare, in una preparazione giocata sull’equilibrio, il piatto d’alta scuola da quello scolastico, così come in una creazione gustativamente spinta, sarà sempre il palato a fare la differenza, a parità di audacia, fra il piatto vertiginoso e quello fuori giri. Ogni volta che ci sediamo ai tavoli de I Masanielli non possiamo fare a meno di considerare, talvolta ancor prima della tonante bontà della pizza, che dall’altra parte del pass c’è un palato formidabile.

Francesco Martucci, non pago di avere suggellato – non per primo e con una buona parte del “lavoro sporco” già svolto dai maestri della generazione precedente, certamente! – la capacità della Campania di emanciparsi dal fardello della tradizione a ogni costo, ha iniziato da tempo ad ampliare il fronte gustativo della pizza. Appassionato gourmet, negli ultimi tempi si è impegnato ad approfondire la conoscenza dei grandi ristoranti contemporanei girando come una trottola nei giorni di chiusura del locale.

Palato, dicevamo, di rara sensibilità, non ha impiegato molto per trasferire sulle proprie pizze le esperienze accumulate.  A I Masanielli, così, l’interesse squisitamente gastronomico, lo stesso che condurrebbe l’appassionato in una delle non poche tavole stimolanti della Regione, ha assunto nel tempo un’importanza pari al lavoro sull’impasto. Nell’ultimo anno, tuttavia, abbiamo assistito a una poderosa accelerazione del processo e il menù degustazione, ancora appena accennato in carta ma destinato presumibilmente ad occupare un ruolo centrale nel prossimo futuro, può essere considerato un primo tentativo di sintesi di quanto Martucci abbia finora rielaborato. 

Ciò che distingue questo percorso da ogni altra sequenza di pizze da noi degustata altrove è, innanzitutto, l’evidente intenzione da parte di Martucci di proporsi come parte attiva nel processo di costruzione del gusto degli anni a venire e di non accontentarsi di una gourmetificazione della pizza. Non sono l’ingrediente di pregio o la riesposizione di un classico internazionale o di una ricetta regionale a reclamare per la pizza il rango gastronomico, qui, ma l’idea che lo spicchio sia esso stesso il piatto: originale, contemporaneo e sferzante. In linea con molte delle migliori tavole odierne, ai Masanielli si ama giocare con amari e acidità, con fermentazioni e contrasti vividi cui la lievità del morso di pizza conferisce talora lunghezza, soprattutto quando gli spicchi serviti hanno subito la sola cottura al forno, e altrove tridimensionalità con il crunch e la maggiore tensione palatale degli impasti in tre cotture (vapore, fritta e poi in forno).

Un palato formidabile

Data la linea, il resto lo fa, come dicevamo in apertura, il palato. Tra i morsi travolgenti come quello dei Ricci di mare con la cicoria e la golosa intelligenza dei “Fiori di zucca al quadrato” citiamo, allora, l’accostamento di Mozzarella di Bufala, capasanta, polline d’api e plancton: un gioco splendidamente costruito, con un effetto di rara eleganza, sulla tenue e sorprendente sfumatura fra mollusco e polline, con la mozzarella ad amplificare e il plancton a cesellare la punta iodata. Alla sequenza, invero priva di cali di tensione, appongono il punto esclamativo i dessert di Lilia Colonna, imperdibile conclusione di ogni esperienza a questa tavola e, in coda al percorso guidato, anch’essi in serviti in rapida carrellata.

Il menù degustazione, naturalmente, ha un costo che non è paragonabile a quello della – strepitosa, come le pizze dei nostri due piccoli commensali ci hanno comunque ricordato – proposta usuale de I Masanielli. La nobiltà e la concentrazione di ingredienti sugli spicchi che vengono serviti sono infatti assai superiori, come del resto va considerato come ogni passaggio, a prescindere dal numero di commensali, richieda la cottura di un intero disco di pasta: sarebbe pertanto sterile azzardare ogni confronto fra le due esperienze da un punto di vista economico come, del resto, dal punto di vista gastronomico. Preferiamo così pensare che, pur seduti al tavolo di una pizzeria, si possa fare un’esperienza degna di un grande ristorante e come tale scegliamo di valutarla, come pure abbiamo fatto al cospetto di altre proposte similari, in attesa di vedere se questa proposta possa trovare, anche dal punto di vista della collocazione nel contesto del locale, una propria autonomia.

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