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L’esperienza etica del 2023

Non si tratta di greenwashing, e anche se lo fosse sarebbe nient’altro che un modo per rendere ancora più capillare e perpetua l’urgenza che sia appunto etica ogni scelta della nostra vita quotidiana, finalmente semantizzata di un senso che, appunto, è anche una direzione. Quotidiane sono, del resto, le nostre scelte alimentari. Scelte individuali, certo, ma che, se sommate le une alle altre, diventano scelte collettive in grado di determinare una differenza reale sulla filiera e, con essa, a poco a poco, sulle sorti del mondo che viviamo. Ecco quindi che, nel nostro piccolo, ci sembrava doveroso tirare le somme di questo 2023 con una rosa di scelte etiche che si sono dimostrate, non a caso, anche estetiche e che hanno coinciso, ça va sans dire, con epiche mangiate.

Leonardo Casaleno

Non bisogna mai dare nulla per scontato. Ma la degustazione Reale, trasposizione in tavola di un lavoro meticoloso che ha raggiunto la massima espressione di pensiero, profondità e gusto della cucina vegetale, mi induce ad essere decisamente banale nell’individuare la scelta etica illuminante dell’anno. Un risultato così elevato da non apparire scontato nemmeno di fronte alla prestigiosa reputazione del suo artefice. 

Antonello Sgobba

A La Taverna del Capitano c’è uno Chef, Alfonso Caputo, poco mediatico. Il suo rapporto viscerale col territorio, una brigata giovanissima, il pescato delle piccole barche locali, le verdure che provengono dagli orti eroici della Costiera e, non ultimo, il primordiale e autentico piacere di mangiare a pochi passi dal mare, rende il percorso “L’orto e la riva” tra le esperienze eticamente più autentiche e illuminanti del mio 2023. 

Orazio Vagnozzi

Stadera porta la cucina partenopea su un palcoscenico internazionale esaltando al contempo le diversità di Milano. L’autenticità dello Chef Aldo Ritrovato e della sua creatura si manifestano nell’approccio flessibile e inclusivo, simboleggiato dal sous chef di origine egiziana Fam Keliny. Non un “super ristorante” ma una gastronomia, per far vivere un’esperienza autentica e umana. Sono banditi gli eccessi in questo spazio intimo e familiare che naturalmente incoraggia la comunicazione tra i commensali.   

Luca Turner

Cook more Plants! Manifesto di nuova cucina vegetale. Davide Guidara. Un’esperienza a tutto tondo vegetale, vibrazioni che partono dalla terra dell’isola eoliana di Vulcano. Un episodio festivo all’insegna di uno studio ed una ricerca sul vegetale che ha pochi eguali.

Davide Bertellini

Il progetto dell’orto del ristorante Volta del Fuenti a Vietri sul Mare di Michele De Blasio dove vengono coltivate piante alofite come portulaca, salicornia, finocchio di mare con le quali viene preparato la prima parte dell’aperitivo italiano composto da una finta mandorla (glassata con polvere di salicornia)  e un’oliva sferica che un oliva non è (ottenuta con la sferificazione della portulaca).

Gianpietro Miolato

Cucina a km 0 da Natiia – Osteriia sotto l’egida dello Chef Andrea Vitali e buona in tutti i sensi: ci si appoggia a produttori locali per eventuali ammanchi stagionali. E poi ancora circolare, dall’orto adiacente la tenuta al piatto, con attenzione alla componente vegetale, valorizzata in ogni portata. 

Giovanni Gagliardi

La Valle Aurina, i torrenti, il profumo del bosco e del sottobosco, l’odore delle stalle, la valorizzazione di una rete di piccolissimi produttori di eccellenza. Cucina etica come poche quella di Matthias Kirchler al Lunaris 1964. Per chi ama la natura e vuole prenderla a morsi!  

Claudio Marin

I prodotti dell’orto di Monte Carmelo, carni ed il pesce di lago illuminati da cotture sovrumane, l’incontro felice tra la gente di Appiano ed appassionati in cerca di rivelazioni o risvegli nonché la fiducia di un cuoco nei confronti degli avventori: il tutto a prezzi più che popolari. Paolo Lopriore attraverso una cucina etica sta compiendo una rivoluzione.

Gianluca Montinaro

Che cos’è l’«etica» se non la dedizione al proprio lavoro? Se non il rispetto di ciò che si è e si compie, nel riguardo di chi e di cosa lo si compie? Non serve scomodare la seconda Critica di Immanuel Kant per comprendere che ‘etica’ è appunto molto di più di ciò che comunemente si pensa che sia (i triti discorsi sul green). L’esperienza etica, in questo 2023 che ci lascia, l’ho avuta a casa dei fratelli Bracali (Francesco in cucina, Luca in sala), a Massa Marittima. Qui non ho solo mangiato in modo grandioso, ma ho visto passione e dedizione. Ho visto attenzione e cura. Ho visto umanità e professionalità. Perché per essere bravi cuochi, per essere bravi ristoratori, si deve necessariamente essere prima bravi uomini. Spiritualmente forti tanto nei successi, quanto negli ostacoli. Perché etica è, innanzi tutto, ‘etica dell’uomo’.

Giacomo Bullo

Che i Martucci’s fossero già al vertice dell’eccellenza nel mondo della pizza, è già ben cosa nota. Ebbene nel credo di questa storica famiglia casertana si cela anche uno delle manifestazioni più virtuose (e tangibili!) d’impatto circolare, motivo ancor più d’orgoglio. Sasà Martucci, nella sua pizzeria, sposa maestranza gastronomica ma anche attuale consapevolezza. Nel caso dell’evocativa pizza “Mangiafoglia” omaggio alla tradizione napoletana in millimetrico utilizzo gustativo dell’elemento vegetale sia per tipologia che tecnica, si ha pure il risvolto semplice e concreto nel processo di riforestazione grazie alla piantumazione di un nuovo albero, legato al cliente, per ogni pizza realizzata. I Masanielli di Sasà Martucci, sono fulgido esempio di piacevole schieramento pratico a favore di un orizzonte temporale imperniato anche sulla neutralità carbonica. Sustainable Warriors from Caserta!

Fiorello Bianchi

Contrada Bricconi, sostenibile a 360°, partendo dall’approvvigionamento delle materie prime (quasi esclusivamente autoprodotte), al no waste, fino alla attenzione al capitale umano (riduzione dei giorni di lavoro).

Claudio Persichella

Nel menù “Orizzonti” del Lux Lucis c’è tutto: eleganza, delicatezza e versatilità. Valentino Cassanelli è uno Chef di grandissima sensibilità che, nella sua interezza, soddisfa pienamente l’occhio, la gola e la mente. Anche questa è una forma di etica.

Giampiero Prozzo

Una storia da raccontare quella di Giulio Gigli, faccia da eterno ragazzo, 34 inverni quasi la metà dei quali già spesi in cucina. Valigia in mano approda infatti giovanissimo nei grandi ristoranti dove oltre alla tecnica affina passo dopo passo la consapevolezza di ciò che vuole fare da grande. Une, il suo ristorante nelle pieghe di Foligno, oggi è appunto tutto questo, il figlio dal lungo travaglio partorito in tempi di pandemia, la materia dei suoi sogni. Qui, il difficile sarà solo andarselo a cercare, nel verde, fuori dalla città e fuori da tutto un progetto etico a tutto tondo, a cominciare dal nome, che in dialetto è acqua, fino al recupero della struttura con il culto della memoria; e ancora un orto in divenire fino alle stoviglie, passione di un’artigiana del posto, passando per un menù denso di suggestioni anche grazie all’aiuto di piccoli produttori in luoghi dimenticati. La tecnica è raffinata, e arriva dai suoi grandi maestri, Anthony Genovese e il trio magico del Disfrutar, dove in quella cucina affollata è emerso prepotente il piacere di ritagliarsi un luogo della dimensione giusta. La sua.          

Gherardo Averoldi

Un gruppo giovane ed affiatato quello di Contrada Bricconi, guidato in cucina da Michele Lazzarini, ha ridato vita con passione e dedizione ad un antico borgo del XV secolo. Qui il legame con la montagna si manifesta in ogni aspetto dell’esperienza dall’eccellente produzione di formaggi, ortaggi e salumi fino ad una cucina fatta di equilibrate fermentazioni e lievi affumicature.

Leila Salimbeni

Perché ci si può – anzi si deve – anche divertire. Un principio edonistico quanto volete, eppure essenziale quando si parla di cibo tra uomini e donne di mondo. Ecco dunque che non posso non pensare Al Gatto Verde e al Cotechino Sangue di Drago di quel gran genio di Jessica Rosval che qui spadella per interposta persona del cuciniere nazionale per antonomasia, Massimo Bottura. E lo fa divertendosi appunto, e vivaddio, tanto eticamente quanto delicatamente ma senza celare nemmeno un certo gusto per la violenza, quantomeno nei sapori. Ecco quindi che non cammina ma anzi danza sulle braci ardenti del barbecue e su affumicature roventi, proiettando il cotechino, e dunque l’Emilia, nella terra del dragone, ma limitando a zero ogni spreco e servendosi della filiera più locale e artigianale che esista.  

Alessandra Vittoria Pegrassi

A pochi passi da Brera, sito in Via della Moscova e avviato nell’ottobre 2022, Horteria è germogliato dalla passione di Giorgia Codato per la buona cucina e il rispetto rigoroso verso la stagionalità dei vegetali che giungono nel piatto dall’orto di famiglia.

Erika Mantovan

Siamo con il padre della cucina vegetale in Italia, lo possiamo definire tranquillamente così. Pietro Leemann entusiasma sempre con le sue preparazioni colorate, briose e mai parche di sapori tanto quanto di contrasti. Parliamo di un’esperienza che ti porti a casa per davvero, essendoci nel menù cartaceo dei semi da piantare nel proprio orto. Un invito a guardare alla bellezza della natura in prima persona.

Marco Bovio

Mentre il granchio blu indossa il kilt e come William Wallace/Mel Gibson sfida i “poteri forti”, un istmo di terra lambito da brezza marina e acque salmastre, mette in relazione il sapere dei biologi della Laguna di Nora e la cucina di Francesco Stara a Fradis Minoris.

Davide Scapin Giordani

Come si dirà foraging in dialetto veneto? La risposta è nei piatti di Andrea Rossetti da Osteria V in cui creatività, tecnica e studio hanno pari obiettivo: dar valore ai viticoltori dei Colli Euganei, ai pescatori del Sile, agli allevatori della bassa padovana.

Alfonso Isinelli

A Mazzorbo, Chiara Pavan e Francesco Brutto, hanno deciso di non utilizzare carne ma solo vegetali autoprodotti nell’orto di Venissa e, riguardo le specie ittiche, solo quelle invasive che depauperano l’Adriatico, come la Rapana Venosa (in foto). Una scelta non ideologica, che non va mai a discapito del gusto.

Giancarlo Saran

Un’ideale sintesi della civiltà serenissima, tra prodotti di terra e di mare. L’esofago di manzo razza fassona by Franco Cazzamali è una frattaglia recuperata dalle proprietà molto simili a quelle della lingua. Qui fa le veci dell’acciuga, tagliato a rondelle e marinato con cipolla e uvetta passita. In soldoni, la tradizione salvaguardata, la materia riciclata. Siamo da Ponte Peron, a Pagnano d’Asolo.

Andrea Mucci

Questo risotto targato 2023 mi ha fatto pensare a una “primavera nel piatto”, una portata che ricorda idealmente la riproduzione del naturale ciclo della terra. Dal silene, pianta rustica, spontanea e perenne, alle altre erbe e fiori del periodo, sino al kefir posto in superficie, lavorato in modo da dissolversi in bocca, paragonabile allo sciogliersi delle nevi sul finire dell’inverno. Una nota acidula che arricchisce il fresco assaggio di un risotto vegetale originale, equilibrato e gustoso, perfetta esplicitazione dell’ora etica. Da Alberto Toè di Horto.

La cucina di mercato, accessibile e sostenibile, di Paolo Lopriore

In una landa di leccornie, laddove la tradizione è legge e la sperimentazione audace è vista con occhi scettici, sorgeva un tempo Il Canto, un ristorante ameno ubicato all’interno di un affascinante relais di campagna, la Certosa di Maggiano, ai margini di Siena. E in questa parentesi di gusto, la figura di Paolo Lopriore si staglia in modo indelebile nella mente di chi ebbe la fortuna di fare una di quelle esperienze. Si parla di avanguardia gastronomica, chiaramente, ambito nel quale il cuoco comasco, secondo la critica gastronomica del tempo, aveva toccato una delle vette più alte della cucina italiana, intesa come forma che, intrinsecamente, amalgamava cibo ed espressione artistica, seguendo l’eredità “marchesiana”.

In un contesto gastronomico impenetrabile, dove le tradizioni si ergevano come muraglie, Lopriore aveva quindi osato infrangere gli schemi e, per ciò, dovette abbandonare il suo coraggioso progetto. Tuttavia, al ritorno nella sua città natale, dopo critiche, stupori, incomprensioni e amarezze, Lopriore ha dimostrato di rimanere un punto di riferimento nel panorama gastronomico nazionale. Ormai da qualche anno, in quel di Appiano Gentile, continua il suo nuovo (per)corso, agli antipodi di quello formativo presso i grandi della cucina transalpina e Gualtiero Marchesi che aveva, ovviamente, plasmato il suo concetto autoriale di cucina andato in scena anni fa.  Ora al Portico c’è una cucina incentrata sul prodotto e sulla convivialità. Come in un pranzo di casa, dove persiste, tuttavia, una sensibilità individuale lontana da mode e convenzioni.

E se si stessero gettando in silenzio le fondamenta per la ristorazione del futuro?

Una cucina che è, in primis, realmente accessibile a tutti e che si innesta in simbiosi con la sala e i clienti. La “minuta” del Portico, sia a pranzo sia a cena, prevede pochissimi piatti, sempre proposti nella combinazione antipasto, piatto principale e dolce e ogni portata è composta da piccoli corollari da poter dosare a piacimento. Portate che sono unite solo dall’ingrediente principale, che sia una verdura, una carne o un pesce di lago, insieme a intingoli, spezie, salse e creme, lasciando agli ospiti la libertà di sperimentare con dosaggi e combinazioni personali. È una degustazione interattiva in cui i commensali diventano co-creatori della propria esperienza, sintonizzandosi con il proprio palato. E quando la tavola diventa un piccolo campo di battaglia, ecco sopraggiungere il divertimento e lo stupore nello scoprire le sfaccettature dell’ingrediente: la consistenza di una Zucca fritta, l’intensità di una Salsa dei semi di zucca tostati e un olio alla mandorla di rara concentrazione, un banalissimo Riso in cagnone che a contatto con il pesce di lago diventa un boccone di alta cucina e così via. Ogni giorno c’è una proposta diversa, preceduta dall’iconico “Uovo all’uovo” (rivisitazione in chiave classica della carbonara), da mangiare in due ricche cucchiaiate golose, sempre presente. Tutto il resto è orchestrato con maestria da Paolo Lopriore e da un concetto enigmaticamente semplice e sostenibile, che potrebbe profetizzare il futuro dell’industria ristorativa. Tuttavia, c’è un unico aspetto che potrebbe – apparentemente – affacciarsi come nota negativa: l’offerta giornaliera. Questa peculiarità può essere vista come un confine restrittivo, poiché il menù è rigidamente vincolato a un piccolo numero di piatti, dettati dalla disponibilità giornaliera degli ingredienti. Questa, tuttavia, potrebbe essere una benedizione, poiché impone una freschezza e un’originalità costante nel percorso culinario offerto.

IL PIATTO MIGLIORE: Uovo all’uovo (sempre presente nella minuta).

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Un ristorante che conquista senza compiacere

Un talento puro, dotato di guizzi geniali: una descrizione ricorrente di Gianluca Gorini. Eppure, a ben vedere, l’innegabile estro del cuoco è solo una – seppur la più lampante – delle componenti  che fanno di “Da Gorini” un ristorante che conquista l’ospite. Infatti, la maturità ormai raggiunta si esprime – oltreché per il tramite di una cucina nitida, diretta e immediatamente riconoscibile – altresì attraverso un’offerta gastronomica originale, autentica, una felice commistione tra gli stilemi essenziali dell’alta ristorazione e il calore, nonché la compenetrazione con il territorio, propri delle migliori trattorie, un’influenza impressa nel DNA di famiglia.

In quest’ottica è impossibile non scorgere l’indissoluto legame con il dichiarato maestro, Paolo Lopriore, nonché il lascito della nostra storia culinaria, icone quali la mitica trattoria Cantarelli, capaci – attraverso un’affascinante commistione tra sacro e profano, tradizione e curiosità per il nuovo – di educare i palati di numerose generazioni. Un ruolo fondamentale è ricoperto da Sara Silvani, compagna di Gorini, straordinaria ambasciatrice delle creazioni del cuoco e abile come pochi nello “scorgere” i desideri e le inclinazioni di chi si siede alla tavola del ristorante. Il risultato ultimo è la bellezza di un luogo in cui ci si sente liberi di approcciare la cucina con leggerezza e divertimento, confrontandosi anche con piatti tutt’altro che semplici – rotondità eccessive e piacioneria qui non trovano spazio – senza quel pregiudizio o freno spesso indotti dalla soggezione che certi luoghi possono incutere.

Una cucina fatta di materia, contrasti e gesti

Il fulcro della cucina di Gianluca Gorini è la materia – di qualità fuori dall’ordinario – interpretata e valorizzata perlopiù attraverso la composizione di contrasti, l’utilizzo magistrale delle infinite sfumature dell’amaro e la gestualità, intesa come capacità del cuoco di intervenire – quando necessario – sull’ingrediente, talento quest’ultimo evidente soprattutto nelle cotture. Una conferma della sensibilità di cui si è detto è rappresentata da Tortello ripieno di mandorle amare, burro profumato al vermouth, albicocche acide e rosmarino, passaggio che sorprende per la capacità di individuare un perfetto equilibrio tra note amare, dolcezza, grassezza, la complessa aromaticità del vermouth, acidità e balsamicità: ogni singolo ingrediente è percepibile al palato, in una sequenza serrata e precisa. Una meraviglia è, poi, Trippa stufata con birra bitter, cervello poché, vongole e salsa alla marinara, con la sapidità della salsa a controbilanciare le note amare della trippa e le cervella a pulire il palato nonché a duettare, in termini di testura, con le interiora. Un piatto in cui il binomio mare-selva raggiunge un raro livello di sofisticatezza. In Spaghettone mantecato con pesto di montagna, crema di patate ed ostrica al naturale colpisce, invece, il felice accostamento tra le note balsamiche della resina di cipresso e l’ostrica, ingentilita dal rapidissimo passaggio in acqua bollente, tecnica presa a prestito dall’amico Mauro Uliassi (vedi “Insalata di ostrica, pesto di rucola, rucola, limone, borragine” del Lab 2022).

Ma Gorini è, poi, incredibilmente abile nella preparazione delle carni, come dimostra l’agnello in tre servizi (allevato da un artigiano straordinario, Michele Varvara), in cui il boccone cotto sui carboni eccelle in termini di cottura – maillard e la conservazione dei succhi da manuale – nonché di valorizzazione della proteina attraverso l’utilizzo di ingredienti vegetali, battuto di pomodori e olive affumicate, decisivi nell’elevare la complessità gustativa.

Da ultimo, non si può fare a meno di citare l’originalità dei pre-dessert, in questo caso Rognone di agnello, panna e fragole: ci si attende uno schiaffo e invece arriva una carezza, un binomio “anni ottanta” capace di levigare le asperità del rognone, un assaggio in cui – sulla lunghezza – prevale una dolcezza misurata, perfetta introduzione al fine pasto che, tuttavia, risulta quasi superfluo.

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La casa di Paolo Lopriore

Paolo Lopriore è una personalità eclettica, nonché un uomo che, dietro alla proverbiale, timida gentilezza, cela un genio intacitabile, che esprime direttamente attraverso il piatto. Per alcuni periodi questo è avvenuto a fasi alterne e, per certi versi, anticipando i tempi tanto che, molto spesso, i suoi commensali non erano ancora pronti a cogliere il senso della sua cucina, foriera di accenti e sapori troppo estremi, troppo colti, troppo cerebrali.  

Oggi, finalmente, Lopriore sembra aver trovato il suo equilibrio, sia nella linea di cucina che nel format, che risponde a una sorta di moderna trattoria dove lo chef cerca di riproporre il rito della convivialità nello stare assieme, divertendosi oltre che cibandosi. Così a Il Portico c’è un unico menù, diviso in 3 atti: antipasto, portata principale e dolce, preparato secondo quello che il mercato e le stagioni, molto semplicemente, hanno da offrire. In tavola arrivano vari ingredienti, più o meno nobili, e preparati singolarmente, mediante cotture senz’altro semplici ma realizzate a regola d’arte e impreziosite da salse e condimenti, ma in modo tale che sia il cliente ad accostarli al piatto a suo piacimento, in ossequio a un unico dio: il libero arbitrio.

La cucina del libero arbitrio

Una formula apparentemente semplice che, però, fa in modo che tutti gli ingredienti siano protagonisti della propria storia, nessuno escluso, nessuno comprimario: dalle puntarella alle cime di rapa fino al pesce di lago, tutto è presentato con un rigore e una essenzialità francescana, atta a mettere in risalto la qualità della materia prima, oltre che la bravura e la sensibilità della cucina. Il pesce di lago, in particolare, è un esempio di come Lopriore sia capace di nobilitare un prodotto da molti bistrattato, perché considerato poco saporito e di difficile manipolazione: così le polpette di lago erano sì croccanti esternamente ma intrinsecamente morbide e tumide, appena cotte, al cuore, e pertanto foriere di un gusto delicatissimo, fin erudito. Accanto a queste, le salse, alcune di queste volutamente estreme, autocitazioni di un passato in cui Lopriore si divertiva a scandalizzare, con l’unica differenza che, oggi, è lo spettatore a decidere quanto osare. Menzione di merito, in questo senso, il burro alla salvia: un concentrato di sapore, come fosse una spezia unica, elevata ed elevante al cubo.

In questo contesto affatto scontato è il reparto dolce, dove il gelato, realizzato al momento, è la quintessenza di due concetti, morbido e cremoso, mentre le meringhe al limone, a chiudere il pasto, materializzavano il senso dell’etereo.

Quanto al resto, la carta dei vini, molto selettiva, appare ben congegnata sebbene contraddistinta da ricarichi importanti; peculiare, invece, la sala, consegnata all’informalità di una squadra di giovani molto preparati, assertivi anche nel rispondere alle richieste più insolite.

Infine, una nota di colore: in un contesto dominato dall’inflazione, come quello odierno, a Il Portico i prezzi delle vivande non sono cambiati, anzi, in alcuni casi sono stati perfino ritoccati a ribasso.

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Al sicuro, fuori dai binari della tradizione

In un Salento in continua ascesa ma che resta, dal punto di vista della cucina gourmet, una lontana provincia dell’impero, la Farmacia dei Sani rappresenta da qualche anno un porto sicuro per chi voglia uscire dai binari della cucina tradizionale in senso stretto.

Il ristorante è gestito da tre fratelli. Fabio si occupa degli aspetti manageriali ed è l’anima social dell’azienda; Roberto è impegnato nel servizio in sala mentre Valentina, assai più giovane degli altri due, ha gradualmente assunto il comando della cucina in seguito alla scomparsa della madre Ada, che della Farmacia era l’anima. Se il locale è cresciuto da tutti i punti di vista (salvo, e ci rammarica ricordarlo perché lo abbiamo segnalato spesso, a livello di cantina) è però sotto l’aspetto culinario che abbiamo riscontrato, dalle nostre prime visite, i progressi più evidenti. Valentina Rizzo, che ha iniziato il proprio percorso senza avere una formazione specifica alle spalle, ha infatti sensibilità e intelligenza gastronomica e sta iniziando a mostrarle sul serio.

Vocazione bistronomica e sensibilità

La sua tecnica, anche grazie ai mesi in cui ha affiancato Paolo Lopriore nelle cucine del Portico, si è affinata e i piatti si sono alleggeriti del tratto grossolano che in passato vanificava alcune buone idee. Qualcosa manca ancora, a nostro avviso, sotto il profilo della concentrazione, in particolare nella partita degli antipasti, dove lo spunto viene ancora troppo spesso affidato alla sapidità e non all’esplosività delle preparazioni. L’indivia brasata con lavanda, cozze e alga nori, è un passaggio che racconta bene la direzione, che definiremmo bistronomica, intrapresa dalla cucina. In esso, però, la scarsa intensità gustativa del protagonista vegetale finisce per rendere debole l’insieme. Già alcuni passaggi si sono però sistemati anche sotto questo aspetto: gli spaghetti con colatura di alici, pistacchi e limone, piatto da anni in carta, hanno finalmente trovato la finezza che da tempo auspicavamo. 

Il lettore potrebbe avere l’impressione che le parole d’elogio sopra espresse non trovino conferma nei fatti dal momento che, dopo aver descritto un locale in forte crescita, ci troviamo a confermare la valutazione di due anni fa. Ci teniamo invece a riaffermare come i progressi siano assolutamente rilevanti. In ossequio alla nostra scala di riferimento, però, a costo di essere eccessivamente severi ci riprendiamo il mezzo punto con cuiavevamo incoraggiato la crescita della Farmacia e, in particolare, di Valentina in un momento di maggiore incertezza rispetto ad oggi. Detto questo, chiariamo che la seconda parte del percorso da noi provato è pienamente in linea con una votazione superiore che, con un’ulteriore crescita degli antipasti, resta un obiettivo conseguibile in tempi assai stretti.

Segnaliamo, infine, che il successo col quale il pubblico da anni premia la Farmacia ha permesso alla famiglia Rizzo di rilevare i locali vicini – quelli, per inciso, che ospitavano la farmacia propriamente detta – per aprire la Farmacia dei Contenti, cocktail bar che, oltre a fornire i drink ordinabili dalla carta del ristorante, può rappresentare una gradevole apertura, o conclusione, di serata. 

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