Studiare, migliorarsi, crescere: sembra essere questo il motivo conduttore della carriera di Francesco Germani. Il quarantenne chef milanese, già patron e, in seguito, chef della meneghina La Maniera di Carlo, ci ha nel tempo abituati a considerare ogni visita come il trampolino per il balzo successivo ma, dobbiamo dirlo, ci pare aver ora imboccato un sentiero che, dopo le prime esperienze, non avremmo davvero pronosticato. Deficit di lungimiranza da parte nostra, sicuramente, ma senza dubbio anche merito di una tenacia affatto lodevole. Rafforzato, forse, dalla prematura – e difficilmente spiegabile – eliminazione dalla seconda edizione del programma Top Chef, Germani non si è fermato a cullarsi negli ozi della delusione. Ha, invece, sfruttato il picco di notorietà comunque raggiunto e ampliato i propri orizzonti professionali, che da qualche tempo non sono più limitati alla sola insegna milanese. Fra i progetti che hanno impegnato lo chef in tempi recenti, il più ambizioso è certamente quello che lo vede, da pochi mesi, al comando delle cucine di Idea 18, Boutique Hotel appollaiato fra i colli teramani e inserito nel contesto dei vigneti di Illuminati, famiglia tra le più blasonate nel panorama enologico abruzzese.
Diplomato Isef e attento fin dagli esordi agli aspetti salutistici dell’alimentazione, Germani ha trovato in Abruzzo uno sterminato patrimonio di prodotti ad altissima concentrazione gustativa e, sfruttando in particolare erbe e vegetali, è riuscito in questa prima fase a far convivere la rustica esuberanza dei sapori locali con la leggerezza che da anni contraddistingue la sua cucina. L’agnello e le carni locali, lo zafferano, il tipico Ratafia abruzzese, ottenuto a partire dalla macerazione delle visciole, il pescato di un Adriatico distante solo dieci chilometri, sono solo alcuni elementi di un repertorio da cui Germani attinge a piene mani. L’inserimento di prodotti territoriali, rintracciabili praticamente in ogni preparazione, riesce con continuità ad attraversare il limbo delle buone intenzioni e lascia intendere un profondo, e sorprendentemente immediato, feeling fra chef e contesto. Fantastiche le Lenticchie con latte e cicoria, con la nota grassa a far da cassa da risonanza e allo stesso tempo a rimodulare la consistenza. Il nostro lungo percorso a mano libera si è snodato fra piatti più materici, come il Concentrato Mare, e creazioni più spinte come la Battuta di agnello marinato con latte di capra e lamponi, in cui l’acidità viene utilizzata non per stemperare, ma per elevare a potenza il sapore inconfondibile della carne ovina. Dolci piacevoli, ma una mano più solida in pasticceria non sarà che d’aiuto, in particolare nelle preparazioni giocate più sulla golosità che sulla freschezza.
Se la struttura dà l’idea di necessitare ancora di qualche aggiustamento, lo stesso non può dirsi della cucina, che ci pare marciare già a pieno regime. L’offerta enologica, ovviamente non limitata alle sole etichette aziendali, non è ampia ma risulta adeguata, mentre il servizio non ci pare ancora viaggiare sulle stesse lunghezze d’onda della cucina. Idea 18 è stato evidentemente concepito con alte aspettative e il conto, che pur rischia di intimorire un pubblico locale storicamente diffidente, è in termini assoluti corretto. La recentissima apertura e un feeling con la sala ancora da instaurare ci fanno propendere, come spesso accade, per la prudenza. La valutazione è perciò ritoccata per difetto, anche per non perderci il gusto della prossima sorpresa, a questo punto più che un’eventualità.
Via Rasori è una stretta e tranquilla strada nel mezzo di un quartiere allo stesso tempo aristocratico e vitale, e da qui riparte l’avventura de La Maniera di Carlo.
Sono passati tre anni dalla nostra ultima recensione di questo locale, ma nel frattempo ne abbiamo seguito da vicino, con visite successive, la trasformazione: esaurita l’esperienza dello chef Lorenzo Santi, il timone della cucina è nel frattempo passato interamente nelle mani del patron Francesco Germani, che ha gradualmente trovato la quadratura del cerchio.
Abbandonata la vecchia -e non solo nel senso di ‘precedente’- sede per una location più piccola ma moderna e luminosa, Francesco ha finalmente creato una continuità fra gli ambienti e una cucina in continua evoluzione.
Diplomato Isef, Germani ha intrapreso la carriera di ristoratore prima di quella di cuoco ma con intelligenza e applicazione ha saputo nel corso di pochi anni, anche grazie a stage importanti come quello nelle cucine del Devero a fianco di Enrico Bartolini e Remo Capitaneo, maturare notevoli progressi, tanto sul piano della tecnica che nella costruzione dei piatti. A dimostrarlo c’è un riso mantecato al cioccolato bianco con wasabi e basilico, un disastro potenziale risolto invece ad alti livelli con sensibilità e senso delle proporzioni: tecnica, ma soprattutto palato. Lo stesso palato che consente a Germani di mantenere le redini di uno spaghetto con ‘nduja, colatura di alici, briciole di pane e frutta secca senza lasciargli prendere la tangente di una volgarità quasi annunciata. Certo il risultato non è una carezza, ma chi la cercherebbe, con quegli ingredienti?
Il menu degustazione di otto portate, da noi raddoppiato fino all’assaggio praticamente di tutta la carta, è aperto da un assortimento di stuzzichini che per qualità e quantità rappresentano già, soprattutto a fronte di un conto che supera di poco i cinquanta euro, tutta la volontà di fare bene che accompagna quest’avventura. Germani, che pure ci aveva già colpito nel ruolo di direttore di sala, è qui ovviamente impegnato prevalentemente dall’altra parte del pass ma non manca di farsi vedere più di una volta a ciascun tavolo per prendere la comanda, consigliare e raccogliere opinioni e feedback.
In generale, coerentemente con un percorso che ancora deve trovare il suo punto di arrivo, abbiamo trovato più interessanti antipasti e primi che i secondi, fra i quali il migliore -e molto buono- è risultato essere quello più convenzionale. Buoni dolci, carta dei vini più coerente alla proposta che in passato e servizio corretto suggellano un’esperienza che in questo momento, complice il momento di difficoltà di alcune grandi tavole, rappresenta sulla piazza milanese un’ottima alternativa ai soliti nomi.
Mise en place. Cristalleria in progress.
Il pane, migliorabile.
Il lungo preambolo. Qui di voglia di far bene ce n’è tanta.
Entrata: riso rosso integrale, caprino, limone, timo e nocciole.
Gambero rosso, cocco e blu Curaçao, con quest’ultimo appena prevaricante.
Seppia, soia, wasabi, vodka e crauto. Apparentemente sovraccarico di ingredienti, trova una quadratura gustativa sorprendentemente più nel segno dell’armonia che del contrasto.
Ottime le alici su pizza liquida alla marinara.
Uovo poché, crema di asparagi, tarassaco e nocciole. Qui è la padronanza delle temperature a determinare la bontà del risultato.
Capesante, piselli e tapioca. Passaggio un po’ anonimo.
Calamari, carote e zenzero. Si torna su.
Gnocchi con pesto, mela verde e lime. Meno acidità di quella che ci si saremmo attesi. Piatto prudente.
Sul fronte della golosità spiccano i paccheri con gazpacho, granchio e uova di lompo…
…e soprattutto gli spaghettoni nduja, colatura d’alici, pane profumato e frutta secca.
Il notevolissimo risotto wasabi, basilico e cioccolato bianco.
Bloody Mary a spezzare.
Piovra, cavolfiore e polveri aromatiche. Lieve eccesso di polvere di olive in una preparazione sapida ma convincente.
Sgombro, cetriolo e pompelmo rosa. Una buon idea penalizzata da un eccesso di cottura del pesce.
Coppa di maiale, finta salsa tonnata e radici. Qui oltre alla cottura non convince appieno il collegamento fra la salsa e la carne a livello di consistenza.
Flank steak di Fassona, ketchup di barbabietola, pomodoro e cipollotto.
Predessert: anguria, anice e pepe rosa.
Tiramisu.
Cous cous alla mediorientale, miele, menta, melograno, frutta secca, frutta fresca e sorbetto al lime. Complesso e gradevolissimo. Non la frusta insalata di frutta.
Piccola pasticceria.
Recensione Ristorante
Non c’è dubbio che come esistono vari modi di fare cucina, allo stesso modo ci sono modi diversi di fare ristorazione. La recente bolla di interesse che, grazie ai media tradizionali e alla rete, ha coinvolto l’arte culinaria, per cui non c’è programma, trasmissione, talk show o nemmeno più un film che non abbia un angolo dedicato alla buona tavola, ha ovviamente fatto sì che gli chef guadagnassero le luci della ribalta, un po’ a discapito di chi lavora dall’altra parte del pass.
Per molti avventori un’esperienza al ristorante è però tuttora un’occasione per coccolarsi e farsi coccolare ancor prima che una tappa di interesse gastronomico, ed è perciò un bene che esistano ancora patron come Francesco Germani, che mettono al centro del proprio ristorante il piacere di stare seduti per rilassarsi e godere qualche ora di piccole e grandi attenzioni. (altro…)