Passione Gourmet 24 Marzo 2017 - Passione Gourmet

San Domenico

“Una cucina sempreverde e neo-classica che si conferma con la spinta costante e metodica di un giovane chef, nel solco della continuità.”

La storia del San Domenico di Imola inizia il 7 marzo 1970 con Gianluigi Morini, una delle figure fondamentali della storia dell’alta cucina italiana. Storia che sin da subito si intreccia con un altro grande, grandissimo della cucina nazionale, Nino Bergese.
“Il cuoco dei re, il re dei cuochi” ha sin da subito un discepolo importante, Valentino Marcattilii, ancor oggi al timone del ristorante, e parimenti Morini trova in Natale Marcattilii, fratello di Valentino, un’ottima spalla destra in sala.

Il locale cresce, guadagna velocemente traguardi e riconoscimenti dalle più importanti guide gastronomiche del tempo. Due stelle michelin da 40 anni ininterrotti non sono cosa da poco.

Un locale, un ristorante che ha fatto e continua a fare la storia dell’alta cucina italiana. Con piatti storici, come il raviolo San Domenico, il riso alle cipolle e fondo bruno, la torta fiorentina… che ancor oggi sono piatti tremendamente attuali ed incredibilmente buoni.
E da qualche tempo in cucina le redini sono in mano a Massimiliano Mascia, giovane nipote dei Marcattilii, che ha saputo portare al San Domenico una moderata brezza di rinnovamento, ma sempre e comunque nel solco della tradizione. Affiancando ai piatti storici e sempreverdi una serie di piatti classici, ben eseguiti, con qualche spunto creativo. Sempre sottovoce, sempre sussurrando e pensando attentamente ogni innesto.
Piatti come lo scampo, accompagnato dal caramello di soia e dallo spinacio, o il baccalà, il cui fritto viene ben stemperato dalla terrosa e dolce ma anche acidula (per via dell’aggiunta di aceto) crema di barbabietola o la stupenda variazione di coniglio, in cui la salsa al wasabi e topinambur dona una nota di eleganza assoluta.
Piatti concreti, precisi e con un tocco di modernità. Mai eccessiva, sempre e solo accennata, come è giusto che sia in un luogo del genere.

Ci permettiamo un unico e leggero appunto: un piatto come la capasanta, vongole veraci, salsa ostrica e Martini dry -con una virata, oltre la dichiarazione, più verso una moderna beurre blanc– che avrebbe meritato, per essere eccelso e stupefacente, una capasanta (o più d’una, viste le dimensioni) locale anziché d’importazione.

Dettagli, certo, che però qui ci aspettiamo.
Come ci aspettiamo una sala, seppur nella sua classicità, gestita amabilmente, con attenzione e con cura. E così di fatto è stato.

Evviva il San Domenico, Evviva!

La vera prova dei cuochi di alta cucina è sulle pietanze popolari, che riservano spesso gradite sorprese

Metti una domenica a pranzo, quando la bruma ed una leggera pioggerellina avvolge la provincia varesotta. Quale giornata migliore per un tripudio di bolliti?

Locale pieno, sold out da tempo. Con tanta convivialità, un rumore assordante, parecchia voglia di fare festa. E con l’accoppiata magica, bolliti e Champagne. Uno internazionale e l’altro, che Champagne non è, l’intruso italico non convenzionale. E poi un Pommard, vino ruvido e scalpitante di Borgogna, a chiudere il cerchio.

Il menù della giornata si articola partendo dagli animali da cortile… Galletto e anatra per poi approdare ad un tripudio di fassona, con il cappello del prete di manzo, lo stinco anteriore di vitello e il biancostato di fassona.

Non può mancare infine un tour completo del quinto quarto: lingua e testina di vitello, lampredotto, mortadella di fegato, sanguinaccio fatto come un marzapane (pane e sangue, non patate) e cotechino. Per finire in dolcezza, qualche pezzo selezionato di esofago e stomaco.

E per i dessert… piccola pasticceria (tegole alle mandorle, tegole alla liquirizia, madleine de commercy, cannoncini) e una duplice golosità a base di linzer tart e croque en bouche.

Ci vogliono giornate come questa, la domenica che torna domenica della tradizione italiana.

Speriamo in altri appuntamenti di questo tenore, e non soltanto qui!