Bilbao ti inghiottisce. Entrando nella città basca dall’autostrada, si viene avvolti da un vortice circolare dal quale non ci si riesce a liberare. All’ombra dell’energia luccicante delle curve morbide d’acciaio del Guggenheim Museum, la città sembra rivolgersi a questo capolavoro architettonico in una forma ossequiosa, intravvedendo nella sua ammirazione statica una possibile forma di redenzione. L’obiettivo è il miglioramento ed il mantenimento delle vie, dei palazzi, dei parchi, che correndo accanto al fiume si specchiano sui riflessi pallidi del cielo plumbeo.
È inevitabile dunque rimanere attoniti di fronte a tanta potenza, ad una energia contagiosa, da venerare come fosse una religione.
Josean Alija è prima di tutto un uomo sensibile, romantico ed entusiasta. In secondo luogo, un grande chef.
La sua sensibilità e l’attitudine all’arte culinaria non potevano che trovare sfogo proprio all’interno di questo tempio dell’arte.
“Buenos dias” è il coro che proviene dalla brigata di cucina all’ingresso di ogni avventore.
Lì, nuda dirimpetto all’entrata del ristorante, introduce il cliente al mondo creato da Alija, in cui il sincronismo e la collettività sono i caratteri necessari per raccontare memorie ed esperienze di vita vissuta in chiave ludica. L’approccio diretto non trova soluzione di continuità durante tutto l’arco del viaggio gastronomico, mentre la sala spoglia, candida, leggermente movimentata dalla disposizione dei tavoli rotondi, scopre il suo alter ego in un servizio total black spigliato ed energico.
L’obiettivo è subito chiaro. Come in un liquido, il cliente viene immerso in una piacevole atmosfera che lo induce a rendersi inerme e disinteressato del mondo che lo circonda, concentrando le sue attenzioni solo su quanto stia accadendo al tavolo. Nulla di particolarmente sofisticato, nessun contorsionismo celebrale, solo una passeggiata all’interno del gusto made in Spain, focalizzato su usi e costumi baschi ma che non disdegna affatto le tradizioni culinarie del sud.
La sublimazione del gusto di ogni singolo ingrediente rende questa cucina inconfondibile nei suoi tratti. In maniera apparentemente semplice, lo chef si propone andando ad approfondire l’essenzialità degli ingredienti. Lo fa attraverso un minuzioso gioco cromatico, seguendo un’evoluzione palatale coerente con quanto proposto, lavorando più per sottrazione che per addizione. La sintesi perfetta della sua filosofia di cucina si riscontra nei brodi, nei fondi e negli estratti straordinariamente e stranamente consistenti, quasi viscosi, in grado di acuire l’essenzialità della preparazione andando a vestirla di un abito semplice ma di immensa eleganza. Emblematico esempio ne è “fagioli bianchi con brodo vegetale”, piatto che accarezza l’espressione massima del fagiolo, della sua consistenza, del rispetto assoluto per le sue tonalità. Il brodo vegetale accoglie e unisce con rispetto tutto ciò che lo chef voleva comunicare, andando però, senza mai rendersi eccessivo, ad allungare e amplificare gli umori del legume.
Nonostante la maniacale ricerca della perfezione, la cucina di Nerua non impegna psicologicamente e non affatica palatalmente. Il ritmo del servizio tiene alta la guardia dei commensali, sulla falsariga di quell’energia percepita passeggiando per la città. La proverbiale leggerezza delle preparazioni educa e prepara all’avvicendarsi delle portate, mentre le pareti del Guggenheim che si scorgono dalla sala accompagnano la nuance delicata e pura della cucina di Alija.
È una cucina sorridente quella di Nerua, che con la semplicità di un bimbo regala tocchi di finissima percezione che però emozionano proprio per la loro natura spontanea.
La mise en place.
Il pane. Ottimo.
Contemporaneamente all’inizio della degustazione comincia anche l’abbinamento dei vini correlato. Il pairing si rivela particolarmente interessante, anche grazie all’innesto di qualche bevanda analcolica. Davvero un bel lavoro.
Pomodorini, erbe aromatiche e fondo di capperi. Piatto profondissimo e delicato. Ogni pomodoro presenta un grado di acidità leggermente diverso. Il fondo di capperi è il preludio alla maestria dello chef alle prese con i liquidi.
Dal rosso al verde. Asparagi, avocado, rucola e clorofilla.
Tartare di branzino con caviale Asetra Imperial. Grande passaggio. La tartare leggermente tiepida lascia esprimere appieno il saké con cui è condita e i suoi aromi. La spinta iodata del caviale completa il tutto.
Arrivano due tipi di Jerez differenti da abbinare ad una sola preparazione. Gioco didattico per cogliere le differenze tra un abbinamento e l’altro.
Rapa bianca, Parmigiano e Jamon Iberico. Il ricordo di una carbonara. Il piatto meno riuscito del pranzo. L’essere italiani in questo caso forse non aiuta.
Ecco il primo abbinamento analcolico.
Supportato da uno alcolico.
Scampo, fiori di zucca, curry e menta. Il mare e l’orto in un sol boccone. Materia prima eccellente.
Gamberetti, taccole e pesca. Primo omaggio all’Andalusia. I gamberetti cotti sulla brace di quercia si armonizzano con i sentori dolci della pesca. Piatto fresco e ben riuscito.
Gambero di fiume soffritto e pil-pil. Piatto da ko: goloso, speziato, profondo ed evocativo. Un racconto di un ricordo dell’infanzia dello chef che non ci appartiene, ma che arriva con straordinaria intensità.
Cuore di tonno con olive nere di Aragon. L’aperitivo andaluso riproposto in chiave gourmet.
Acciuga fritta, crema d’avena e salvia.
Astice con fondo di erbe aromatiche. Altro fondo e altra emozione.
Fagioli bianchi con brodo vegetale. Straordinario.
Scalogno in salsa nera. Molto divertente. La consistenza dello scalogno ricorda quella di un calamaro.
Calamaretto, cipolla rossa e fondo di piselli. Piatto che completa il precedente, con la presenza del calamaretto prima solo immaginato…
Kokotxa di merluzzo al pil-pil di peperone verde. La storia delle gastronomia basca sintetizzata in un piatto.
Ventresca di bonito, crema di cipolline e aglio. Piatto totale. Goloso e e finissimo allo stesso tempo.
Nasello fritto con fili di peperone “choricero”. Un altro classico della cucina basca. Molto bene.
Guancia d’agnello, cavolfiore e manzanilla.
Quaglia, purè di patate, mandorla ed estratto di grano.
Fragole, mela e gelato di fieno greco.
Fico, menta e latte dell’albero di fico gelato.
Bollo de Matequilla.
La piccola pasticceria.
La cucina a vista in entrata del ristorante.