Cosa vi risponderemmo se ci doveste chiedere un consiglio per un grande ristorante, inteso come luogo per vivere un’esperienza gastronomica a 360 gradi?
Sarebbe difficile non indirizzarvi verso Brusaporto.
Da Vittorio rappresenta per noi, allo stato attuale, la miglior trasposizione italica del concetto di grande Relais, che trova nella zona transalpina i suoi più autorevoli esponenti. Un pranzo o una cena a questa tavola, prima ancora che un’esperienza gastronomica, è un’esperienza per tutti i sensi.
Abbandonato il frastuono e il grigiore dell’autostrada Milano-Venezia, in pochi minuti uno stretto viottolo ci catapulta in un’oasi che sembra fuori dal tempo e dallo spazio che la circondano. Un laghetto, alcuni palmipedi incuranti dell’andirivieni degli ospiti, piacevoli percorsi pedonali che si snodano tra ponticelli, prati dal taglio perfetto e alberi altrettanto curati: tutto è magicamente orchestrato per il piacere dei sensi, ancor prima di sedersi a tavola.
In posizione rialzata, ci accoglie la sontuosa villa e il suo altrettanto sontuoso dehors, che vista la stagione sarà anche la nostra sala.
Dicevamo, spettacolo non solo per il palato. Vedere questa numerosissima squadra all’opera, con un ristorante al completo (72 coperti nella serata di un anonimo mercoledì non è da tutti, specie in Italia), è altrettanto gratificante, agli occhi di un appassionato gourmet, di quanto potrebbe essere un balletto al Bolshoi di Mosca per un appassionato di danza.
Un’accoglienza e una cura del cliente calibratissima sotto ogni aspetto, a partire dal momento in cui si oltrepassa l’ingresso fino alla partenza. Una gestione dei tempi praticamente inappuntabile, senza nemmeno l’ombra di un cedimento nell’arco di un’intera serata, e non solamente al nostro tavolo, bensì -per quanto abbiamo avuto modo di vedere- ovunque. Ci auguriamo che ciò avvenga, e non vi è modo di dubitarlo, per tutti i servizi e per tutte le stagioni.
Il nostro percorso di 12 portate, arricchito da qualche sorpresa, ha richiesto poco più di 2 ore, semplicemente il tempo giusto: né oppressivo né sfiancante. Una prestazione ancor più sbalorditiva vista l’importanza data al concetto di preparazioni in sala, secondo un concetto già caro a papà Vittorio, ulteriormente valorizzato dai figli e verso il quale stiamo assistendo, in linea generale, a un piacevole ritorno.
Molti secondi, e anche qualche primo, prevedono l’impiattamento o addirittura la preparazione al tavolo, nell’ottica di un contatto più diretto con il cliente, in qualche caso chiamato ad una partecipazione attiva.
I fratelli Cerea potrebbero cadere nella facile tentazione di abbandonarsi a una vita di rendita o di semplice gestione, d’altronde con la macchina che gestiscono chi potrebbe biasimarli? E invece eccoli lì, sorridenti, prodigarsi tra un tavolo e l’altro, tra un pacchero, un’orecchia di elefante o un semplice scambio di parole con i clienti, infaticabili e mossi da una genuina passione che non sembra mai sopirsi ma che anzi, sembra infondere loro ancora più energia… chapeau!
Ovviamente un simile perfetto meccanismo implica un’altra faccia della medaglia, che appare abbastanza scontata: il prezzo. Quanto meno per quanto riguarda il menu degustazione più importante, il “Carta bianca”, dal punto di vista economico ci troviamo di fronte al ristorante inequivocabilmente più impegnativo d’Italia.
È indubbio che se dovessimo valutare con il solo metro gastronomico, tralasciando ogni altro aspetto, non potremmo esulare dal consigliare altre destinazioni.
Ma la cucina, di fronte a tanta esplicita opulenza, è in grado di dire qualcosa, o rimane da essa soffocata? Ebbene, è in grado di dire ben più di qualcosa.
Elegante, equilibrata, piacevole e variegata in consistenze e temperature, gustativamente giocata certamente più sulla consonanza che sulla dissonanza, che anche dove c’è risulta notevolmente stemperata, certamente non esplicita e volta alla provocazione bensì all’appagamento, all’insegna del sostegno e della valorizzazione di una materia prima con ben pochi pari, se ne ha, in tutta Italia.
Astenersi gourmet alla perenne ricerca dell’avanguardia, che potrebbero non trovare spunti particolarmente interessanti o stimolanti. Ma chi invece ama la Cucina, con la C maiuscola, e sa apprezzare le diverse sfaccettature e sfumature che può comportare la stessa, allora non esiti un solo secondo e approdi alla corte dei fratelli Cerea.
Il nostro percorso è stato totalmente incentrato sul pesce, e non poteva che essere così. È da sempre la materia ittica l’incontrastata colonna portante di Vittorio, lo è sempre stata sin dagli inizi di papà Vittorio. E riteniamo che a fronte di 50 anni di successi incontrastati, non ci sia altro da dire.
L’entrata.
Il dehors.
Con l’aperitivo ecco alcune sfiziosità, molto golose, forse solo leggermente slegate in relazione all’apertura del menu.
Marshmallow al parmigiano, crema di pere e gin.
Piacevole finger food di apertura, per la verità di fruizione un pelo difficoltosa, forse favorita dal caldo torrido della serata.
Ciliegia di foie gras.
Un abbinamento tipico, perfetto per un servizio estivo del foie gras.
Salviettina per pulire le mani, griffata.
Il pane, rigorosamente a base di lievito madre…
…e il meraviglioso vassoio dei pani: attenzione a non esagerare, è una calamita.
I vini scelti per la serata.
Carpaccio di branzino con gelatina di bouillabaisse.
Grande esempio di equilibrio finalizzato alla valorizzazione di una materia prima che si dimostra subito all’altezza. Di estrema discrezione la gelatina di bouillabaisse, evidente la volontà di non prevaricare sul protagonista del piatto. Non avremmo tuttavia disdegnato, in questa calda serata, una punta di acidità in più ad apportare maggior freschezza e contrasto alla grassezza del pesce crudo.
Ricciola candita, insalatina di ceci, limoni e olive taggiasche.
Una breve cottura a bassa temperatura conferisce al pesce una consistenza quasi carnosa molto piacevole al palato, a contrasto con il crudo precedente. Il dosaggio delle parti acide rimane dicreto ed elegante, e risulta ulteriormente arrotondato dalla base (un omaggio al grande Fulvio Pierangelini?). La millimetrica spruzzata di paprika apporta al piatto aromi orientaleggianti, sviluppando una piacevole orizzontalità.
Scampo alla griglia con spuma di ravanello, verdurine verdi.
A costo di ripeterci, non possiamo astenerci dal sottolineare ancora una volta la qualità di una materia prima che qui raggiunge un apice quasi commovente. Segretamente, avremmo sperato che un altro di questi crostacei facesse la sua comparsa nei piatti successivi.
La presentazione in forma di spuma arrotonda sensibilmente i sentori pungenti e leggermente piccanti tipici del ravanello, costituendo ancora una volta elemento di elegante sostegno e non di rottura. La parte vegetale ad apportare croccantezza, mineralità e leggere note amarognole.
Moscardini fritti con spuma di prezzemolo e polenta bianca al nero di seppia.
Piacevole incontro tra cucina di terra e di mare, con un sapiente gioco di consistenze e un ottimo equilibrio tra le varie componenti gustative del piatto, in particolare quella iodata della componente ittica e quella cereale della polenta.
Spaghetti “Ajo-Ojo”, calamaretti e piselli.
Di nuovo una sintesi molto ben riuscita di terra e di mare, con lo iodio dei calamaretti e la mineralità dei piselli ben amalgamati dalla mantecatura della pasta, e l’attesa coda “ajolica”.
Transita in sala, in direzione del tavolo di fianco al nostro, tavolo un’invitante padella, dal profumo riconoscibilissimo: gli iconici paccheri alla Vittorio! Ne approfittiamo comunque per uno scatto.
Bianco di branzino “alla clessidra”.
Un esempio di ricetta interattiva, in cui il cliente è chiamato a una partecipazione attiva al tavolo. Di sicuro impatto scenografico, ancor prima che gustativo.
Una padella in ghisa contiene pietre laviche portate oltre i 600 gradi. Un’aggiunta di aromi, il posizionamento della griglia con il pesce crudo, dell’acqua di mare e tutto è pronto per la cottura. Al tavolo viene consegnata una clessidra, che viene affidata al cliente: dopo tre giri di clessidra, il pesce è cotto.
Durante la cottura del branzino, tra un giro di clessidra e l’altro, veniamo omaggiati di una piccola sorpresa. Devono averci letto nel pensiero… o, cosa più probabile, ci hanno sentiti.
Il branzino acquista una morbidezza quasi eterea, e delicati sentori aromatici e iodati. La parte vegetale del piatto porzionato apporta la necessaria sapidità e leggere note amarognole. La parte croccante costituisce indubbiamente un elemento benvenuto, tuttavia a causa della forma con cui viene proposta non è scevra da qualche problema di fruizione: in parole più povere bella a vedersi ma assai poco comoda a mangiarsi.
Prima della prosecuzione, viene servito un piccolo cannoncino, rigorosamente riempito al momento per preservare la freschezza della sfoglia.
Pomodoro al cardamomo, pesca alla terza.
Piatto solare sia nell’estetica che nei sentori gustativi. Bell’equilibrio tra acido, dolce-fruttato e aromatico, con leggero sviluppo orizzontale di quest’ultimo.
Un ulteriore intermezzo goloso, questa volta all’insegna della massima golosità: mobidissimo assaggio di veneziana, ricetta firmata da mamma Bruna!
Sottobosco.
Dolce di stampo prettamente classico. Il gelato allo yogurt apporta l’acidità necessaria ad evitare una deriva troppo stucchevole (che tende a presentarsi infatti ad ogni assaggio privo della cucchiaiata centrale).
Kermesse di dolcezze.
La piccola pasticceria, servita su una nuvola di zucchero filato. Inaspettata e sorprendente (in negativo) la scelta di non permettere a tutti i componenti del tavolo l’assaggio di tutte le tipologie. Lo zucchero filato, per contro, basta e avanza per tutti.
A conclusione, una visita agli spazi interni, semplicemente da mille e una notte.
La reception.
L’angolo dei distillati.
Parte della profondissima cantina.
La sala.
Un ultimo scorcio notturno sul gradevole dehors che ci ha ospitati per tutta la serata.