Un mondo per noi inesplorato, ma ricco di una storia millenaria, la cucina coreana offre spunti davvero interessanti.
Non così universalmente diffusa come quella giapponese o cinese, sta crescendo in popolarità grazie alla sua ricchezza di sapori e l’utilizzo di ingredienti stagionali.
Tre sono le portate che, normalmente, compongono un pasto: riso al vapore (bap), zuppa (guk) e contorni (banchan), che vengono serviti contemporaneamente.
Ed è proprio la incredibile varietà di “side dishes” che la rendono unica.
Frutto del radicatissimo uso della fermentazione, preparazione simbolo è senza alcun dubbio il kimchi: verdure fermentate (cavolo, il più diffuso, ma anche rafano, cetriolo, melanzane, zucchine e cipollotti) preparate con peperoncino rosso in polvere, salsa a base di pesce fermentato, riso e pere.
La soia, nelle sue numerose declinazioni, è altrettanto diffusa.
Poi c’è il celebre bbq: ad ogni angolo di strada troverete un ristorante con i tavoli dotati di griglie centrali dove provvedere, da sé, alla cottura della carne e delle verdure, tagliate a fette molto sottili. Solo nei locali più costosi se ne occuperanno esperti camerieri.
Scoperta degli ultimi anni è, invece, l’alta cucina, le cui massime espressioni sono concentrate nella capitale. Stabilmente nella top 10 della discussa classifica 50 best, versione Asia, lo Jungsik rappresenta il fiore all’occhiello della scena gastronomica locale.
Non solo chef, ma anche imprenditore, Jung Sik Yim ha, da poco, aperto una succursale a New York, di grande successo (due stelle Michelin). La “casa madre” di Seoul occupa integralmente un moderno edificio, con annesso bar-bistrot, nel quartiere di Cheongdam-Dong.
Fortemente caratterizzato da ingredienti locali, il menu degustazione è un connubio di ricette tradizionali rivisitate e proposte più moderne, tecnicamente valide, con leggere contaminazioni dal vicino Sol Levante. Sebbene il nostro palato non sia plasmato su questi sapori, spesso forti, acidi e piccanti, l’equilibrio raggiunto in ogni preparazione ha reso il tutto più intellegibile.
Se alcune vette ci sono state (straordinaria la zuppa di funghi con sesamo arrostito, di grande concentrazione e finezza), altre portate sono state semplicemente buone (bibimbap ed i dolci).
Il servizio, seppur con lievi sbavature, è attento e puntuale, e la carta dei vini (ma è comprensibile, la birra è ancora la bevanda principale), presenta dei ricarichi alquanto elevati.
Nel complesso un’esperienza più che positiva, che dà un’idea delle grandi potenzialità della cucina coreana.
La sala.
Mise en place.
Capasanta con gelatina di pomodoro.
Riso con kimchi e peperoncino.
Patata glassata e mascarpone; stecco con salmone, foie gras e pistacchio.
Cono di alga nori con riccio di mare.
Abalone con radicchio fermentato, crema al foie gras e nero di seppia.
Zuppa di funghi e sesamo nero arrostito.
Polpo fritto con la sua polvere e aioli.
Dentice con la pelle croccante (tecnicamente ineccepibile), zenzero, peperoni, cetrioli.
Galbi (bbq) marinato in salsa di soia, funghi, cipollotto.
Bibimbap (uno dei piatti simbolo della gastronomia coreana) con dentice e quinoa, così come viene portato al tavolo.
Bibimbap dopo aver miscelato gli ingredienti.
Panna cotta allo zenzero, sorbetto alla pera, concentrato di cannella e datteri.
Dolhareubang: spugna di sesamo nero, crema di arachidi, mousse di tea verde, sorbetto al latte. Monocorde sui toni dolci. Forma fallica che rimanda ad una celebre statua sull’isola di Jeju.
Petit fours.