Passione Gourmet Luglio 2016 - Passione Gourmet

Ve lo racconto io il Povero Diavolo

Mi è stato chiesto da più parti di raccontare la storia della scoperta del Povero Diavolo di Torriana. Uno dei pochi ristoranti in Italia, forse l’unico di questo livello, che è stato raccontato prima sul web e solo in seguito dalla critica tradizionale. Un faro acceso su una locanda, e in particolare su un cuoco, che da lì in poi ha iniziato una intensa e vibrante rincorsa verso l’empireo della ristorazione Mondiale. Pier Giorgio Parini e Il Povero Diavolo sono stati e sono tutt’ora l’esempio di una ristorazione moderna, avanguardista, non solo dal punto di vista gustativo e della cucina.
Il Povero Diavolo di Torriana è jazz, ha fatto dell’istinto e dell’improvvisazione la sua fortuna. Ha spostato il paradigma dell’alta cucina, fatto di brigate chilometriche, di ripetitività del gesto, di continue e costanti messe a punto, di ossessiva ricerca dello stile… Ha demolito questo costrutto ideologico proiettandola in un mondo d’improvvisazione, di continuo mutamento, a tratti pure di ruvida imperfezione. E l’ha fatto dando vita a una vera e nuova avanguardia culinaria. Rendendo sostenibile un ristorante gourmet costruito su un modello meno costoso e meno ingombrante, il “no frills” dell’alta cucina contemporanea. Il modello del Povero Diavolo poteva nascere solo grazie a un incontro tra “folli”.
Da un lato un cuoco di genio con un talento istintivo e unico. Dall’altro il contorto mecenatismo intriso di sana follia e illuminata visione di un duo di ristoratori spinti da rara passione. Fausto e Stefania Fratti. Una coppia, di cui lo chef è diventato una sorta di figlio adottivo, che ha creduto fino in fondo nel talento di Pier Giorgio e ha fatto sacrifici immani per sostenere lui e il suo progetto. Ogni volta che mi viene chiesto di raccontare la cucina di Pier Giorgio e del Povero Diavolo riporto sempre questo esempio: prendete tre cuochi, sceglieteli voi tra i migliori, e metteteli in una cucina sottoponendogli tre ingredienti a sorpresa chiedendogli di costruire un piatto con questi. Bene, quello che creerà il piatto migliore sarà Giorgio, non ho dubbi.
Questo è considerabile un valore assoluto? Certo che no. E’ semplicemente un modo per spiegare come il suo talento istintivo lo porti ad avere una tale dimestichezza e profondità sensitiva con gli ingredienti, da conoscerne perfettamente il risultato una volta elaborato. Come Mozart componeva con l’orecchio assoluto, Pier Giorgio Parini cucina con il palato compositivo assoluto. Una storia e una crescita che è stata possibile e realizzabile in quel luogo affascinante che è Torriana. Solo lì l’incontro poteva avvenire, e solo lì entrambi hanno dato il massimo in un’avventura straordinaria.

Ma tornando alla scoperta, e parlando di illuminazioni, ciò che mi portò a parlare del Povero Diavolo e di Torriana dopo una cena del Novembre 2007 fu un misto di intuizione e sana incoscienza, forse visione. Sarebbe bello raccontare che tutto ciò è stato merito mio, che quel lampo sia stato farina del mio sacco. Ma vi do una notizia: non è così.

Nel novembre del 2007, un pressoché sconosciuto Pier Giorgio Parini era stato da poco assunto a condurre le cucine del Povero Diavolo di Torriana, ristorante che già da qualche tempo stava mandando segnali interessanti.

Il mio vecchio amico Piero Pompili cominciò a insistere, “…quel giovane cuoco farà parlare di sé”. Alcuni lettori forse si ricordano di Piero, da quando girava per il web con il nickname di “Muccapazza”. Mi sono sempre fidato di lui: estroso, istrionico e follemente originale, non ha mai mancato di dimostrarmi sensibilità e senso del gusto, doti per nulla comuni. E poi una cena è spesso la scusa migliore per rivedere un amico.

Varcata la porta del Povero Diavolo rimasi ammaliato, folgorato da una cucina davvero priva di schemi fissi e lontana dalla memoria. Un pezzo di futuro fluttuante tra quattro mura incastrate nel tempo. L’amore fu istantaneo, un vero e proprio colpo di fulmine.

Ricordo che il giorno dopo, lungo la strada del ritorno, ne parlai con Paolo Marchi ed Emanuele Barbaresi. Con il primo collaboravo alla neonata guida di Identità Golose e con il secondo stavamo scrivendo la guida Gourmet 2009, il gronchi rosa della critica gastronomica italiana, come scherzosamente amiamo definirlo io e i molti compagni di quella avventura che ancora oggi sono presenti qui su Passione Gourmet. Roberto Bellomo, Fabio Fiorillo e Roberto Bentivegna, il co-responsabile con me di quello che successe poi. Lo esortai a un’altra visita da Pier Giorgio dopo qualche mese, per verificare che non avessi preso un abbaglio.

– No, Alb, non ti sbagli.

Il genio era puro, l’anima del ristorante candida, l’esperienza tanto entusiasmante da diventare in breve una necessità.

E proprio nella guida Gourmet 2009, edita da Editoriale Domus, piazzammo il Povero Diavolo di Torriana ad una votazione di 17/20imi, a ridosso dei grandi. Una posizione che all’epoca fece non poco scalpore.

Negli anni successivi sono tornato a Torriana e al Povero Diavolo oltre 80 volte, e ogni volta ho degustato creazioni che in maniera del tutto naturale e spontanea hanno visto la luce, hanno goduto intensamente della loro stessa bellezza, come un bruco divenuto farfalla, per un solo giorno prima di eclissarsi per sempre, senza mai ripetersi. E’ vero, molti piatti sono diventati signature dish di Pier Giorgio e del Povero Diavolo. Ma credetemi se dico che pur essendo straordinari il “riso in bianco”, il “pomodoro al sugo”, il “sempreverde” non sono nulla di fronte a tante altre creazioni che ho avuto la fortuna di assaggiare.

È la storia di un grande amore che si conclude. Non ho mai visitato così tanto e così spesso un ristorante, e oggi penso che avrei voluto farlo ancora di più, toccato forse dalla sensazione intima che quel periodo, magico, avrebbe avuto una fine. Il resto è e rimarrà storia, una bella storia che ricorderemo a lungo.

Pezzo in uscita contemporanea sul sito di Luciano Pignataro.

Nel cuore delle colline del Prosecco, tra Conegliano e Valdobbiadene, oggi una delle principali wine valley italiane, in un bel palazzetto del XVII secolo (poco distante dall’Abbazia di Follina), troverete questo ristorante di composta e sobria eleganza. Ambiente caldo, perfino romantico, a lume di candela, un servizio letteralmente in guanti bianchi ma mai ingessato, orchestrato con sapienza.
Da subito ci si sente a proprio agio, qui tutto sembra diretto ad esaltare il bello e il buono.
Ad iniziare dal buon bere, di cui si occupa il bravo Giovanni Zanon, profondo conoscitore dei vini del territorio e non solo. Da vero padrone di casa saprà consigliare la bottiglia giusta per ogni esigenza, partendo da una carta in cui, in oltre 700 etichette, c’è il territorio -con grande attenzione a giovani produttori biodinamici- ma anche molto altro. Tutto quello che deve esserci in un ristorante di lusso che serve una clientela in buona parte internazionale e d’elite. Per cui le grandi etichette italiane non possono non essere presenti e con ricarichi che, tutto sommato, non sono eccessivi.
Ambiente elegante, servizio curato, carta dei vini di livello.
La cucina è affidata a Donato Episcopo, salentino, allievo di Heinz Beck, con cui ha lavorato per ben sei anni prima di contribuire al successo di due ottime realtà campane quali Marennà e Casa del Nonno 13. Poi la guida delle Quattro Spezierie, qualche anno fa a Lecce, e oggi lo ritroviamo in ottima forma al timone di questa prestigiosa struttura, nel cuore della Marca Trevigiana.

Lineare, alquanto elegante, senza eccessi. Così in estrema sintesi definiremmo la cucina de La Corte di Follina oggi. Piatti puliti, estremamente riconoscibili che pescano un po’ ovunque nella tradizione italiana da Nord a Sud. Dall’omaggio di Episcopo al suo Salento, con una rilettura del “Ciceri e tria” (qui con i fagioli al posto dei ceci) al quasi Km0 del Riso carnaroli al Cartizze, la carta è tutta un rimando a quanto di meglio il bel paese può offrire come biglietto da visita in tavola: dai ceci di Zollino, alla colatura di Cetara, dalla semola senatore Cappelli alla composta di cipolle di Tropea, quasi a voler tracciare un fil rouge della gastronomia italiana. Le presentazioni dei piatti sono eleganti come il contesto richiede.

Una cucina senza eccessi, priva di accostamenti arditi, più che altro attenta a non perdere l’equilibrio tra le varie componenti del piatto. Missione che ad un cuoco esperto e bravo come Episcopo riesce perfettamente. L’esecuzione dei piatti si è rivelata, infatti, di ottimo livello, fatta eccezione a nostro avviso per il Carrè di maialino -presentatoci all’atto del servizio come cotto sotto vuoto, circostanza poi negata dallo chef- che abbiamo trovato un po’ secco.
La Corte non sarà mai il ristorante preferito dalla clientela gourmet più spinta o in cerca di forti emozioni, ma è senza dubbio un bel posto, in cui si mangia bene e nel complesso si sta molto bene.

Omaggio iniziale della cucina goloso e alquanto impegnativo: Spuma di pecorino, granatina di agnello con nocciole, asparagi selvatici.
benvenuto, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, Treviso
Ravioli di fassona piemontese: la carne come texture racchiude un ripieno composto da finocchietto selvatico e patè di olive celline (che donano la nota amara che caratterizza il piatto); completano la preparazione croccante di scamorza, rafano, carciofo arrosto e cipolla di Montoro. Piatto nel complesso discreto, anche se qui Episcopo sembra un po’ procedere con eccesso di ingredienti…
ravioli di fassona, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina
Laganelle di semola rimacinata “Senatore Cappelli”, cacio e pepe, zuppetta di fagioli di Zollino, ricci di mare. Episcopo omaggia il suo Salento e come da tradizione le lagane sono in parte cotte in acqua, in parte fritte. La parte croccante dovuta alla pasta fritta a nostro giudizio soffre un po’ il matrimonio con la zuppetta che è molto liquida e perde un po’ in fragranza.
laganelle di sesamo, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina
Risotto di primavera, mantecato al Cartizze e mascarpone di Malga con gamberi rossi di Sicilia, vincotto, purea di piselli. Un risotto come deve essere, davvero rende la stagione.
Risotto, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina
Carrè di maialino in rosa, composta di cipolla di tropea, mele: piatto didascalico che non ha convinto nella esecuzione, carne un po’ secca, priva della necessaria umidità.
Carro di maialino, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, Treviso
Molto buono il pre-dessert: Croccante di meringa, gelato al fior di latte, ciliegie di Marostica sotto spirito.
La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, TrevisoPredessert,
La mandorla di Toritto, composta di fichi bianchi Paradiso, spugna all’alloro, gelato “moka”.
mandorla di toritto, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, Treviso
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, Treviso

Un ristorante giapponese che propone un menù Omakase tra i migliori degustati fuori dalla terra del Sol Levante. Il nome tradisce le origini: fa parte dello stesso gruppo del suo omologo italiano ma, chissà come mai, qui il rispetto della tradizione e la qualità della cucina espressa sono di un ordine di grandezza nettamente superiori.

Un giovane sushi Master che farà parlare molto di sé: bravo, preciso, metodico ma al contempo geniale. Nella preparazione dei piatti ma anche nella rifinitura e nella manualità con cui prepara quei piccoli bocconi-capolavori di sushi.

Sulla ristorazione del Sol Levante, fuori e dentro i confini della terra madre, abbiamo già detto e speso molteplici parole. Vi invitiamo solo a mettere in lista, in un viaggio a Parigi, questo che, a nostro modo di vedere, è il migliore della città della Ville Lumière e sicuramente tra i migliori dell’Europa intera.

Senza esitazioni, amanti del sushi, prenotate e volate a Parigi.
Lasciamo ora spazio alle immagini e ai video, molto eloquenti entrambi.

Il tavolo.
tavolo, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
interno, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
La mise en place.
mise en place, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Il sushi Master all’opera.
sushi master, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Taglio della seppia.

Preparazione del sushi.

Tofu al sesamo, salsa di soia, wasabi.
tofu, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Melanzane, funghi shitake, gamberi, mais, polpo, shiso, gel di dashi e yuzu.
Melanzane,funghi, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Sgombro, salsa di soia, erba cipollina, alga nori, wasabi, shiso rosso, succo di zenzero.
sgombro, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Ventresca di tonno e caviale… superbe!
Ventresccaviale, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Parisa di tonno,
Tonno grigliato al miso bianco, pepe giapponese, cetriolo fermentato e katsuobushi.
tonno grigliato al miso bianco, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Branzino.
Branzino, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Seppia.
nighiri, seppia, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Calamaro.
calamaro, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Scampo e il suo corallo.
nighiri, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Salmone selvaggio.
Nighiri, salmone, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Tonno.
nighiri, tonno, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Ventresca di tonno.
ventresca di tonno, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Ricciola.
nighiri, ricciola, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Sgombro affumicato.
nighiri, sgombro affumicato, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Brodo… immancabile.
brodo, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Maki.
Maki, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
La mitica Tamagoyaki, di qualità e fattura eccelse.
Tamagoyaki, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Stupendo mochi al te matcha con purea di azuki.
mochi, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris
Gelato agli Azuki e malto di riso.
gelato, Sushi B, Chef Masayoshi Hanada, Paris

La Locanda Barbarossa è il locale gourmet del Castello del sole, probabilmente uno dei più begli alberghi di Ascona.

E’ il regno incontrastato di Othmar Schlegel, 18 punti su Gault Millau svizzera e una stella Michelin. A capo di una grande brigata di 23 persone che allieta i palati degli ospiti dell’albergo, organizzando perfettamente colazioni, pranzi in mezza pensione, room service e il ristorante gastronomico.

Voci di corridoio ci assicurano che qui si mangia la migliore Canette Mieral in due servizi del Ticino. Purtroppo non abbiamo avuto la fortuna di provarla, essendo molto contingentata (è un animale prezioso e molto ricercato) e pertanto terminata proprio prima della nostra visita.

Ci siamo rifatti con una ottima pasta e fagioli e astice ed un perfetto soufflè al Grand marnier, davvero di alta scuola. Una cucina di qualità, molto improntata sulla clientela d’albergo, e una giusta derivata di quest’ultima. Semplice, comprensibile, non troppo articolata. Realizzata con ottima materia prima, con più qualche ingenuità da cucina d’albergo, ma comunque nel complesso corretta.

Peccato per quella terrina, davvero improbabile, e per quel rombo, troppo cotto e troppo sapido. Buono il passaggio con la capasanta. Concludendo un luogo per gustare una cucina tradizionale d’albergo, che aspettiamo al varco la prossima volta per la stupenda, ci dicono, Canette Mieral. Non fatevela mancare, se riuscite. Ma per il resto dirigeremmo gli occhi altrove.

I pani.
pane, Locanda Barbarossa, Chef Othmar Schlegel, Ascona, Svizzera
Un benvenuto con crema di piselli, gelatina di moscato e foie gras.
benvenuto, Locanda Barbarossa, Chef Othmar Schlegel, Ascona, Svizzera
Una terrina di pollame non particolarmente riuscita.
terrina di pollame, Locanda Barbarossa, Chef Othmar Schlegel, Ascona, Svizzera
Astice in insalata con quinoa… buono.
Astice in insalata, Locanda Barbarossa, Chef Othmar Schlegel, Ascona, Svizzera
Ottima pasta con fagioli e zuppa d’Astice. La concentrazione della bisque d’astice in crema di cannellini veramente di grande mano.
pasta con fagioli, Locanda Barbarossa, Chef Othmar Schlegel, Ascona, Svizzera
Capasanta, funghi prataioli, asparagi e piselli del nostro orto.
Capasanta, Locanda Barbarossa, Chef Othmar Schlegel, Ascona, Svizzera
Rombo con fave, agretti e polpette di baccalà: piatto penalizzato dall’eccessiva cottura del rombo e da un eccesso di sapidità delle polpette.
rombo con fave, Locanda Barbarossa, Chef Othmar Schlegel, Ascona, Svizzera
I formaggi, spettacolari.
formaggi, Locanda Barbarossa, Chef Othmar Schlegel, Ascona, Svizzera
Un imperioso souffle al grand marnier servito con gelato allo champagne.
soufflé, Locanda Barbarossa, Chef Othmar Schlegel, Ascona, Svizzera

La storia della Cascina Guzzafame sembra una favola riscritta ai nostri giorni: protagonisti un piccolo borgo settecentesco alle porte di Milano, lungo la strada per Vigevano, e una ragazza spinta da entusiasmo, intraprendenza e amore per le sue origini.
Da qualche anno Francesca Monti mette anima e cuore in questo piccolo gioiello a due passi dal caos della città, per anni gestito dai nonni Ada e Augusto, arricchendolo progressivamente di nuove idee. Azienda agricola con coltivazioni di riso e cereali, allevamento di quasi un mezzo migliaio di vacche, di cui una buona parte da latte, negozio per la vendita di latticini, salumi, miele, vino e conserve, fattoria didattica con un’interessante proposta dedicata ai più piccoli, agriturismo con semplici proposte con materie prime a chilometro zero a prezzi contenuti, che per il pranzo attirano grandi numeri di impiegati dalle vicine industrie.
Ultimo tassello di questo progetto una proposta gastronomica di più alto livello, ovviamente con numeri più ridotti, per la sera. Nasce così pochi mesi fa, proprio nei locali dove avevano vissuto i nonni, il nuovo ristorante; e come chiamarlo, se non Ada e Augusto?

Già imboccando il viale alberato che conduce alla Cascina ci sembra di fare un tuffo nel passato, entrando nel locale la sensazione si accentua, in senso positivo. L’entusiasmo di Francesca lo si legge già nei suoi occhi, ma ancora di più nell’emozione con cui ci accoglie nella sua casa e ci presenta questa sua ultima creatura.
La sala è piccola, da una trentina di coperti al massimo, e il garbato restauro ha mantenuto intatto il suo fascino di altri tempi. L’ambiente è raccolto, caldo e rassicurante.

Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
sala, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
Sala, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano

Ai fornelli un cuoco giapponese, Takeshi Iway, con all’attivo una decina d’anni di importanti esperienze presso grandi cucine italiane, tra le quali spiccano quelle di Pino Cuttaia, Herbet Hintner, Anthony Genovese, Antonino Cannavacciuolo e Massimiliano Alajmo. Senza dimenticare le sue origini, e facendo capo in maniera preponderante alle materie prime provenienti dall’azienda, è proprio forse da Alajmo che Takeshi trae i maggiori spunti per proporre una cucina esteticamente e gustativamente fresca, gradevole, pulita, con i singoli elementi che vanno a comporre i piatti che vengono dispersi, quasi un invito al cliente a mettere in un tutt’uno i propri assaggi in autonomia, secondo i propri gusti e sensibilità. Non mancano tecniche di cottura e presentazioni tipiche della terra d’origine dello chef, coniugate tuttavia a prodotti solo raramente provenienti da più di 2 passi da dove ci troviamo. Anche per questo motivo alcuni ingredienti fanno più volte la loro comparsa nel corso della degustazione, ma nonostante ciò lo chef è molto abile a declinarli in modo da evitare una sempre rischiosa ripetitività. In alcuni casi ci siamo imbattuti in creazioni decisamente interessanti, con abbinamenti non scontati ma che ci hanno condotto a risultati armonici e godibili.

Niente carta, bensì 2 proposte di degustazione, che variano spesso dovendo stare al passo con la stagionalità dei prodotti offerti dall’azienda: il menu “Ada” a 45 euro, di stampo più classico (un antipasto, un primo, un secondo e dessert), e il menu Augusto, più impegnativo e di piglio più moderno (2 antipasti, 2 primi, un secondo e un dessert).
Carta dei vini assai stringata, circa una quarantina di proposte con predilezione per piccoli produttori lombardi, piemontesi e del nord-est, ma tutte con possibilità di servizio al calice e con un buon rapporto qualità-prezzo. Entro l’autunno è in previsione un importante ampliamento dell’offerta pur senza mutamenti nella filosofia. Servizio che, dopo il rodaggio delle prime settimane, necessario al fine di adattarsi al livello più elevato della proposta serale, ha raggiunto un livello apprezzabile.
Nel complesso una tavola giovanissima, tutta da scoprire, che già nelle nostre prime visite ha dato segni di crescita, che riteniamo meriti di essere tenuta d’occhio e che ci sentiamo di accogliere con una valutazione di tutto rispetto.

Le bollicine di benvenuto, che ci accompagneranno anche per i primi piatti della serata.
vino, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
Consommè di erbe aromatiche, formaggio mucchino a base di yogurt di produzione propria, fagiolini stufati alla julienne, fiori di borraggine.
Piacevole apertura caratterizzata da consistenza a cavallo tra liquido e gelatinoso, con sentori erbacei appena pronunciati, leggerissima acidità apportata dal formaggio mucchino e coda floreale.
consommé, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
Il pane al lievito madre e il burro, rigorosamente fatti in casa.
pane, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
Pomodoro dell’orto marinato nel finocchietto, tartarina di pesca sciroppata, acqua di pomodoro e finocchietto, meringa.
Anteprima dell’imminente cambio di menu, è un vero e proprio manifesto dell’estate ormai alle porte. La marinatura, oltre ad una leggera aromaticità, conferisce al pomodoro una consistenza vagamente “carnosa”. Dal profilo gustativo, il piatto si gioca sulla verticale acido/dolce, in un equilibrio molto ben padroneggiato.
pomodoro marinato, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
“La cipolla, dolce e amara”.
Fondo cipolla bruciato, radice fritta, cipolla al forno con la sua riduzione al miele, cipolla in versione agrette, panna montata, polvere di aglio nero, fiori di cipolla.
Ricreazione del kharma cinese dello yin e yang, applicato in forma di variazioni su un tema. Il piatto si caratterizza per la contrapposizione di preparazioni atte ad evocare sentori amari (fondo di cipolla bruciato, radice fritta) con altre atte ad evocare sentori dolciastri (cipolla al forno con la sua riduzione al miele) o ancora aspri (cipolla in agrette). L’aglio nero, molto utilizzato nella cucina asiatica, assume ruolo di condimento apportando i suoi tipici sentori che rimandano all’aceto balsamico.
cipolla dolce e amara, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
vino, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
Tataki in versione estiva.
Piatto estrapolato dal menu “classico”, è un altro omaggio dichiarato alla terra di origine dello chef, declinato con prodotti a chilometro zero. Il metodo di cottura usualmente applicato al tonno è qui utilizzato per un selezionatissimo filetto di manzo. A completare il piatto, una misticanza di erbette dell’orto (menta, finocchietto, carote), alla base guacamole a base di zenzero e sale Maldon. Interessante il gioco di consistenze e di sentori orientaleggianti applicati a un piatto che più italiano non si può. Rispetto alla variante primaverile assaggiata qualche settimana fa, in questa versione si fa notare una vena più personale senz’altro apprezzabile; appropriato comunque l’inserimento di questa sorta di “carpaccio orientale” nel menu di stampo più classico.
Tataki, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
vino, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
“Ravioli di primavera, piselli e burrata”.
Ravioli fatti in casa ripieni di crema di piselli e formaggio mucchino, pisellini novelli stufati, vellutata piselli, burrata fresca di produzione propria, polvere di limone.
Piatto di volluttuosa delicatezza, dominato dalla mineralità dei piselli adagiata sulle note lattiche delle burrata, cui l’acidità apportata dal formaggio mucchino (già incontrato in apertura) e dalla polvere di limone costituisce elemento di sostegno piuttosto che di aperto contrasto.
Ravioli, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
Riso al salto all’erba cipollina e zenzero, filetto di storione piastrato con olio al pompelmo, pelle croccante, cipollotti freschi di stagione, mayonnaise a base di pomodoro e lime, fiori di fagiolini.
Altro riuscito esercizio di sintesi tra tecnica tipicamente orientale e accostamenti più direttamente riconducibili alla cultura gastronomica europea. Le note acidule apportate dalle varie componenti del piatto sostengono abilmente il cereale. La pelle a guisa di patatina apporta una piacevole e persistente coda iodata.
riso, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
vino, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
“Anatra affumicata con daikon, farro e rafano”.
Petto di anatra piastrato con olio di cenere, successivamente affumicato, insalatina di farro con all’interno coscetta di anatra marinata in soja zenzero e daikon, sedano, coste stufate, cipollotti di stagione piastrati, rafano.
Materia prima eccelsa, cottura anche in questo caso influenzata dalle origini dello chef. Il sentore di affumicatura è perfettamente calibrato pur sviluppando un’orizzontalità che sembra infinita, e una splendida verticalità con l’inconfondibile, aromaticissima piccantezza del rafano. L’insalatina a corredo ad apportare croccantezza e la necessaria sapidità. Piatto da bis, prontamente richiesto!
anatra, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
Predessert.
Polpa di pompelmo al miele, sorbetto di basilico e lime, infusione di finocchietto selvatico, fiori di campo.
Passaggio interlocutorio di buona freschezza, giocato su contrasti agro-dolci: a questo punto ci voleva!
predessert,Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
picolit, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
Dessert.
I gusti sono quelli conosciuti, la via per arrivarci relativamente inconsueta.
Pan brioche imbevuto nel caffe, spuma di mascarpone, scaglie meringa al caffelatte, crumble di cacao amaro.
Siamo all’insegna di uno dei dessert italiani per antonomasia, qui presentato in forma destrutturata secondo canoni assai tipici.
dessert, Ada e Augusto, Chef Takeshi Iway, Gaggiano, Milano
Per il rientro, veniamo omaggiati strada verso di un sacchettino contenente biscotti al wasabi… lo sguardo ad Oriente ci accompagna quindi anche sulla strada di casa.