Passione Gourmet Maggio 2016 - Passione Gourmet

Kresios

Al Kresios non ci arrivi per caso. A dispetto del nome della città, qui non si vedono flussi copiosi di turisti in cerca di relax termale.
Al Kresios, e a Telese Terme, ci devi andare apposta.
E questo aspetto è stato chiaro a Giuseppe Iannotti sin dall’inizio. Abbiamo avuto un tormentato esordio con lui. Tormentato perché alcuni anni or sono trovammo un cuoco giovane, quasi trentenne, scalpitante e convinto, molto convinto, di sè. Ma come può un giovane ragazzo del Sannio non essere convinto di sè per aprire un ristorante importante, con cucina gourmet, in un luogo come questo?
Giusta dose di convinzione, di tenacia, che però riteniamo fosse alquanto prematura, fintanto eccessiva. L’irruenza del giovane Iannotti va perdonata, forse anche compresa. Nel frattempo però lui e la sua cucina ne hanno fatta di strada. Forse l’ascolto, forse la volontà estenuante di emergere, e certamente un pizzico di talento l’hanno incanalato sulla strada giusta.
Una strada che, badate, è solo all’inizio e tutt’altro che terminata. Ma un percorso che fa intravedere spunti interessanti, originalità che immaginavamo persa nel tempo, idee che ci portano a credere che qui può risiedere un giovane ed interessante talento, non solo del Sud ma dell’Italia intera.

Un percorso, dicevamo, che è cominciato sotto gli auspici di una buona stella. Quella conquistata due anni or sono, che oggi è meritata più che mai.
Ma il percorso è ancora arduo e tortuoso. Il giovane cuoco dovrà saper trovare e ricercare, tra la sua strabordante veemenza, una maturità ed un equilibrio quanto mai necessario. E lasciare da parte l’estrema convinzione nei suoi mezzi, mettendosi al cospetto di una crescita ed una maturità ancora da trovare.
Abbiamo goduto di una cena che ci ha trasportato su un ottovolante. Piatti concettualmente e praticamente tra l’interessante e il francamente spiazzante. Nuove idee, originali, altalenate a stimoli e déjà vu plateali (di cui forse il cuoco sannita non ha veramente bisogno). Strabordanza, esuberanza, iperproduzione. Con alcuni passaggi davvero di classe, di grande tecnica, e di centrato equilibrio gustativo.
Il gioco iniziale delle piccole tapas, o amuse bouche che dir si voglia: un terzo interessanti, quasi geniali; due terzi poco centrate e concentrate, dai sapori sbilanciati e a tratti evanescenti. Frutto di un ragionamento “sulla carta” dell’abbinamento, ma che poi non aveva un riscontro oggettivo al palato. Un esempio? Bon bon di gorgonzola, amarena e cioccolato. L’uso del cioccolato al latte al posto di un cacao più acido, puro e maschio (criollo ad esempio) è stato motivato dal fatto, giustissimo, che a questo punto del menù non avrebbe avuto senso una bomba palatale, troppo virante sull’amaro. Bene, valutazione anche condivisibile.
Risultato? Un bon bon troppo dolce, in cui l’amarena e la grasso-dolcezza del cioccolato non compensavano la dose di gorgonzola, accennato appena. La mente e il ricordo va immediatamente a Luciano Tona e al suo cioccolato bianco e gorgonzola. Un’esplosione in bocca, con note acide-grasse e piccanti che si rincorrono in un turbinio sensoriale tanto intenso quanto devastante. Servito come predessert, e non come entrata.
Per non parlare invece, nel pasto completo, di uno stratosferico sgombro marinato nell’agro di mele, con una cottura non-cottura da manuale, affiancato da zenzero in chips, pepe rosa, aneto, e la lisca e la testa fritte a puntino. Amaro, grasso-goloso del fritto che rincorre le note acetiche e accomodanti del filetto. Con le spezie a chiudere il cerchio. Chapeau! Piatto che vale il viaggio.
Così come uno straordinario uovo marinato, il cui rosso riscopre una textura mirabolante come evoluzione post cracchiana, nappato da una salsa tonnata e polvere di capperi.
E poi che dire di una lingua dalla textura fondente (fondant come direbbero i cugini d’oltralpe). In cui si riscopre un ingrediente feticcio dell’alta cucina italiana e lo si eleva ancora. Una cottura che, per tempi e metodi, rende questa lingua di una texura sensuale come Sharon Stone in Basic Instict. E gli abbinamenti, polveri e salse, centratissimi.
Si continua con un risotto ai funghi in cui la cottura, al limite per un uomo del Sud ma formidabile per noi, e una mantecatura con rilascio di amidi perfetta era esaltata da una lieve nota di funghi e rosmarino. Che elegantemente, ma mai in modo invasivo e prorompente, si insinuavano tra le pieghe di questa pietanza davvero estrema.

Originali ma ancora prototipali due piatti: il brodo di katsuobushi di vitello e la terrina di triglia, così come l’abbiamo soprannominata. Due piatti ancora grezzi, su cui lavorare a nostro avviso, ma che hanno indubbie potenzialità per diventare stupefacenti, di altissimo livello; il brodo, ancora in divenire, perché troppo etereo. I dashi provati in Giappone ci dicono tutt’altro.
E la triglia per una mancanza di contrasto vivo, necessario in quella proporzione e servizio per consentire ad un cliente, alla bisogna e a sua scelta, di trovare un punto di rinfresco e di appoggio gustativo.
Spaghetti allo scoglio troppo poco umidi invece, e poco persistenti al palato. E un fritto misto che, seppur buono e goloso (ma come fa a non esserlo un fritto?), è scivolato via con una apparente cifra stilistica di tono inferiore.
Dolci molto interessanti, davvero molto interessanti e ben studiati. Ottimi per essere al cospetto di un cuoco di origine salata.

Tutto ciò appena descritto, l’ottovolante dei piatti, è sintomatico di un sentimento, e di un percorso, che proseguirà così per tutto il pasto. Quasi fosse più a tratti il palato mentale a governare del palato naturale. Quasi fosse la cultura, l’intelligenza, l’abbinamento tecnico-elaborativo a guidare più dell’anima, della pancia, dell’istinto.
Iannotti è un ragazzo molto intelligente, decisamente colto. Vediamo spesso prevalere in lui quest’anima, assecondata dalla componente razionale. Che emerge nella dettagliata descrizione dei piatti, che sciorina una preparazione ed una conoscenza di tecniche ed ingredienti invidiabile.
Ma proprio per questo, per non rimanere imbrigliati nelle cervellotiche evoluzioni tecnico-mentali, il cuoco diventa grande cuoco quando lascia spazio all’istinto, al palato naturale. Disperdendo le tecniche, semplificando i passaggi, diminuendo gli ingredienti. E lasciando libero sfogo, con naturalezza e sicurezza, alle sue doti naturali.

Questo crediamo sia il passaggio, doveroso, che Giuseppe Iannotti debba ancora intraprendere. Che sia capace di farlo solo il tempo ce lo dirà. Abbiamo intravisto grandi potenzialità in questo senso, non sempre appunto soddisfatte, in un luna park emozionale davvero interessante. Quindi per ora gli diamo fiducia, con riserva però. Ma consigliamo a chiunque abbia la nostra passione di tuffarsi nel Sannio più profondo e di andare a trovare Giuseppe Iannotti e il suo Kresios.
Un plauso infine per la sala, governata da due giovanissimi autoctoni che, pur essendo appena (o quasi) entrati nella mondo del lavoro hanno una stoffa e un talento che di rado capita di trovare. Un’intelligenza ed una sensibilità davvero fuori dal comune. Ricordatevi in particolare di Alfredo Buonanno, ne sentiremo certamente parlare nel prossimo futuro.

Inizia la serie degli amuse bouche: carota fermentata.
amuse bouche, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pelle di baccalà soffiata e paprika amara.
pelle di baccalà, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Zucchine, caviale di tartufo nero e menta.
benvenuto, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pollo arrosto.
pollo arrosto, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pizza (panino a vapore, concentrato di pomodoro e pasta d’acciuga, polvere di oliva).
pizza, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Bon Bon di gorgonzola, amarena e cioccolato.
bon bon, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pop corn di animella.
pop corn di animella, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Raffaello di foie gras.
raffaello di foie gras, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pancia di maialino, rose in polvere, caviale di montagna e timo.
pancia di maialino, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
A tutto sgombro, gran bel piatto.
sgombro, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Tonnato: tuorlo d’uovo marinato, maionese di tonno e cappero.
Tonnato, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pomodoro, acciuga e origano
pomodoro acciuga e origano, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Voluttuosa la lingua di bue, salsa di papaccelle, bagnetto verde liofilizzato e sale di bambù.
lingua di bue, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Piuttosto anonimo lo spaghetto allo scoglio. Qui umido al punto giusto, ma in un’altra occasione troppo asciutto (foto sotto).
spaghetto, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
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Risotto ai funghi e rosmarino.
risotto, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Katsuobushi di vitello.
Katsuobushi, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
katsuobushi, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Bistecca di triglie.
bistecca di triglie, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Piccione.
piccione, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Fish & chips, alquanto ordinario.
fish&chips, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
‘O raù, piatto reso intenso dall’estratto di cardamomo.
'o raù, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Didascalica la ricciola hamachi, crema di piselli, insalata con sesamo e olio di nocciola.
Ricciola, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Mojito.
Mojito, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Omaggio al Kentucky di Benevento.
omaggio al kentucky, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Zucca, cardamomo caffè, malto e zafferano.
zucca cardamomo caffè, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Kiwi, meringa, gel di aceto di uva e lemon curd.
Kiwi, meringa, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Petit fours.
piccola pasticceria, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento

La pizzeria napoletana moderna.
E’ di questo che stiamo parlando, e l’articolo fa la differenza: quella dei fratelli Salvo non è una delle (numerose) ottime pizzerie della provincia di Napoli che stanno portando questo prodotto a livelli inimmaginabili, questa è LA pizzeria moderna.
E non vogliamo parlare solo della pizza: su questo tema si possono scatenare i dibattiti più accesi, e ognuno di voi avrà senza dubbio il suo pizzaiolo di riferimento (anche se quella dei Salvo è indiscutibilmente nel podio delle migliori).
Parliamo di tutto quello che va oltre la pizza, ma che nel 2016 non può più essere solo un accessorio: parliamo di servizio, parliamo di una carta dei vini con ricarichi da enoteca (e tanti champagne con cui divertirsi), parliamo di spazio tra i tavoli, parliamo di quelle attenzioni in sala che hanno un valore enorme per un cliente. Che si tratti di una richiesta fuori carta o semplicemente di scaldare una pappa per un bambino piccolo, faranno di tutto per venirvi incontro, con cortesia e professionalità. Aspetti scontati in ogni ristorante che si rispetti, non in una pizzeria da 200 e più coperti.
Tutto questo stravolge i canoni della classica pizzeria napoletana dove l’importante è sempre stato quello che si aveva nel piatto. La pizzeria dei Fratelli Salvo diventa quindi un locale borghese, accogliente, ospitale, dove passare del tempo con piacevolezza gustando le loro grandi creazioni. Con grande acume, è stata definita da alcuni come “The Salvo Experience“.

Dopo questo necessario preambolo, torniamo al cuore del loro lavoro, che è e rimane il cibo.
I fritti sono probabilmente i più buoni mai mangiati: tutti perfetti, fragranti, per niente unti. La frittatina di pasta e patate è indescrivibile a parole, dovete solo venire a provarla di persona.
Della pizza abbiamo già parlato benissimo anche in passato, e sembra ulteriormente migliorata nell’ultimo periodo .
Due parole allora su quella che riteniamo un vero manifesto per questo nuovo corso delle pizzerie napoletane: la pizza ai 6 pomodori.
Diverse preparazioni per un unico grande protagonista: pomodoro di Corbara Corbarì, pomodoro San Marzano al naturale di San Nicola dei Miri, pomodoro datterino essicato al forno, pomodoro abbrustolito, crema di pomodoro affumicato, pomodori del piennolo del Vesuvio marinati in olio e basilico. Con l’aggiunta di basilico e olio Roboris di San Comaio.
Semplicità neoclassica, esaltazione degli ingredienti, pensiero e gesto: c’è tutto e di più.
Acido, dolce, amaro…
Questa pizza è una sintesi di un lavoro lungo anni.
E costa 6,50€. Lo riscriviamo: sei euro e cinquanta centesimi.
Chapeau.
Qui si sta facendo qualcosa di importante: venite a San Giorgio a Cremano.

Il tripudio dei fritti:
– Frittatina di pasta e patate: mischiato potente del Pastificio dei Campi, patate della Comunità del cibo slow food del Taburno, mozzarella di bufala affumicata Barlotti, Parmigiano Reggiano 24 mesi Malandrone, pepe.
– Frittatina di pasta: bucatini Gerardo Di Nola, besciamella realizzata con burro Occelli e latte Fior di Agerola, prosciutto cotto Branchi, pecorino romano Brunelli, mozzarella di bufala affumicata Barlotti, pepe.
– Baccalà fritto (in pastella di farina di riso).
– Crocchè: patate della Comunità del cibo slow food del Taburno, pecorino romano Brunelli, mozzarella di bufala affumicata Barlotti, pepe.

fritti, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
frittatina di pasta, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
fritti, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
frittata di pasta, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
crocchè, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli

Montanara gialla.
Fritta con sugo di pomodorini gialli del Vesuvio in conserva di San Nicola dei Miri Gragnano, scaglie di formaggio “bufalino”di Casa Madaio, basilico.
Montanara gialla, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
Intanto si beve così… (prezzato 58 euro!)
champagne, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
Margherita.
Margherita, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
Margherita, pizza, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
Funghi cardoncelli freschi trifolati.
pizza, funghi, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
pizza, funghi, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
Pappaccelle e conciato.
Bianca con fior di latte del caseificio Fior d’Agerola, pappaccella napoletana sott’olio grigliata dell’Azienda Vincenzo Egizio, conciato romano La Campestre.
pizza, pappacelle, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
Scarola e sgombro (dalla collaborazione con lo chef Salvatore Bianco).
Bianca con scarola piccante, pomodori datterini essicato al forno, olive di Gaeta essicate al forno, sgombro fresco abbrustolito a fiamma viva, fonduta di mozzarella di bufala affumicata, olio Frantoio di Greppi di Silli.
Scarola, Sgombro, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
Pizza al pomodoro (dalla collaborazione con lo chef Salvatore Bianco): IL CAPOLAVORO.
Pomodoro di Corbara Corbarì, Pomodoro San Marzano al naturale di San Nicola dei Miri, pomodoro datterino essicato al forno, pomodoro abbrustolito, crema di pomodoro affumicato, pomodori del piennolo del Vesuvio marinati in olio e basilico, basilico e olio Roboris di San Comaio.
pizza al pomodoro, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
pizza al pomodoro, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
Cosacca.
Pomodoro di Corbara Corbarì, pecorino bagnolese della Cooperativa agrigola Bagnolese, olio Itrana di Madonna dell’olivo, basilico.
pizza cosacca, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli

Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli

fritti, Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli
Pizzeria Salvo, Francesco e Salvatore Salvo, San Giorgio a Cremano, Napoli

La bottega del vino è uno dei nostri locali preferiti di Milano. Ha un’ampia e profonda cantina, con numerose referenze che seguono i nostri gusti. Ha un oste, Emilio, attento e premuroso. Ha un’offerta poliedrica, grazie alla possibilità di gustare piatti semplici per un aperitivo, oppure per uno spuntino a tarda, tardissima notte. Ha un cocktail bar interessante, dove si può degustare uno dei migliori Moscow Mule della città.

E da qualche tempo ha un cuoco giovane, Paolo Pivato, che in una cucina di pochissimi metri quadri fa davvero miracoli. Qualche esperienza importante, per esempio Al Mercato sempre a Milano, ha dato una formazione moderatamente creativa al suo talento classico. Paolo riesce ad accontentare sia i palati più tradizionali (con gli stuzzichini di aperitivo, ma anche i piacevoli e lodevoli primi: straordinaria la sua cacio e pepe, così come il riso al salto) che i palati più arditi, con una cucina che sta prendendo sempre più forma, senza perdere in sostanza. Piatti moderatamente creativi ma intriganti, persistenti, e con una punta di originalità.

Il suo percorso è ancora lungo, ma l’impegno, l’ascolto e la dedizione che questo giovane chef applica ogni giorno, ci ha fatto propendere per una votazione che attualmente è arrotondata per eccesso, ma che crediamo sarà confermata a breve da interessanti sviluppi.

Programmate una visita alla Bottega del vino, per un aperitivo, una cena… o un dopocena a tarda notte: non ve ne pentirete affatto!

Aperitivo: tartare di carne di Sergio Motta, Pata Negra, acciughe del Cantabrico e burro francese, baccalà mantecato, peperoni piquillo ripieni di salsa tonnata.

aperitivo, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

Il nostro compagno di viaggio.
vino, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

Intriganti cannelloni di pasta di riso, con asparagi e gamberi rossi.
cannelloni, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

Leggermente da rivedere nella consistenza, seppur molto buoni, i paccheri gratinati alla Norma.

pacchetti gratinati, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

Ottima e veramente centrata la crema di piselli con burrata, fonduta di Pata Negra e mandorle.
crema di piselli, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

Divertente il polpo “sullo scoglio” con crema di patate e alghe, con la roccia al nero forse un pò troppo invadente.

polpo, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

Il maiale.
maiale, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

Ottimo il coniglio alla cacciatora.
coniglio alla cacciatora, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

I dessert… uno più tradizionale: Sbrisolona con gelato fiordilatte e frutti di bosco caldi.

dessert, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

E una interpretazione di cocktail sempre diversa… questa volta un Caipiroska alla fragola, da urlo.
cocktail, Bottega del Vino, Chef Paolo Pivato, Milano

Bravo, forse il più bravo, sicuramente il più famoso ed il più citato dei secondi, ma si può rimanere sempre “un secondo” quando si può aspirare ad essere uno dei migliori primi?
Vent’anni lunghi e fondamentali, vent’anni di un rapporto strettissimo fra due cervelli pensanti di prim’ordine.
Un ragazzino che inizia a collaborare con un giovane uomo dal curriculum già impressionante ed apprende, impara, cresce.
Un rapporto che assomiglia a quello di un padre con un figlio.
Un figlio che lentamente affianca il padre fino a diventarne l’alter ego, il suo braccio, ma anche, in parte, la mente in grado di mandare avanti in solitaria una macchina ben rodata e, complice i sempre più frequenti impegni del padre, lo sostituisce spesso nella conduzione.

Questa in breve potrebbe essere la storia di Carlo Cracco e di Matteo Baronetto.
Una storia che, come accade in una famiglia, ha un inizio ed inevitabilmente anche un termine.
Un’evoluzione naturale in cui Matteo ad un certo punto non si è più sentito di  essere il secondo, ma ha accettato una sfida, anzi una grande sfida, un’offerta di quelle che non si possono rifiutare.
Un’avventura in cui era necessario rischiare tutto, perché quando si accetta di diventare lo chef di un’istituzione come il Del Cambio di Torino, c’è sì la possibilità di guadagnare molto in termini di credibilità e non solo, ma avendo tutti i riflettori puntati addosso e, dato l’investimento importante della proprietà e le attese di critica e pubblico, il rischio di bruciarsi diventa una possibilità da prendere in considerazione.
Oggi, a meno di due anni dall’apertura, dopo una stella Michelin conquistata e lodi quasi unanimi da parti della critica,  possiamo dire senza tema di smentita che la sfida intrapresa da Matteo Baronetto è stata vinta.
Il Del Cambio oggi funziona a pieno regime, i numeri sono buoni, i circa settanta coperti a disposizione sono spesso occupati.
La cucina di Baronetto ha ormai raggiunto la piena maturità espressiva. Come già ai tempi dell’esperienza milanese, Matteo riesce a trovare equilibrio e piacevolezza gustativa con ingredienti all’apparenza poco compatibili, dimostrando un palato di rara sensibilità ed una capacità di pensare il piatto propria soltanto dei grandissimi.
La tecnica qui non è mai fine a sé stessa, ma soltanto un mezzo per ottenere piatti compiuti facendo risaltare al massimo gli ingredienti.
La cucina di Baronetto è molto personale, lontana dalle mode, frutto di un percorso e di un background che ha portato il nostro chef a costruire un proprio modo di vedere la cucina che rivela molto della sua personalità.
Una cucina schiva che permette di essere scoperta soltanto se la si guarda con occhio attento, si concede un po’ per volta e piatto dopo piatto rivela tutta la sua forza ed il suo carattere, ma anche eleganza, potenza e capacità di spiazzare e di sparigliare le carte.
Insomma, se si cerca un luogo dove capire e scoprire in profondità il messaggio del suo interprete, Del Cambio è il posto giusto; lasciate carta bianca a Baronetto e lasciategli raccontare la sua storia attraverso i suoi piatti senza remore e senza preclusioni mentali, riuscirete ad entrare in sintonia con lui ed uscirete felici per aver incontrato uno dei migliori interpreti della cucina italiana.

Gli stuzzichini iniziali.
stuzzichini, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Sfoglie di riso croccanti.
sfoglie di riso, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Il pane di due tipi, entrambi ottimi.
pane, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
I grissini.
grissini, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalata, uova, cialda croccante piccante: la prima dimostrazione della capacità dello chef di dominare l’elemento vegetale e naturalmente l’uovo, l’ingrediente feticcio di Carlo Cracco.
insalata uovo, cialda, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Riccio, caviale, acqua tonica: eleganza pura, equilibrio perfetto.
riccio, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Foglia di grano saraceno, polpacci di rana e soncino.
foglia di grano saraceno, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalatina di piselli, fragoline di bosco e bianchetti: la primavera nel piatto, tre semplici elementi assemblati insieme, ma che meraviglia.
insalata di piselli, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Cappasanta cruda, semi di zucca piccanti, tarassaco e uovo: una cappasanta dolcissima, l’amaro del tarassaco, il grasso morbido dell’uovo, il croccante ed il piccante dei semi. Cosa si può volere di più da un piatto?
capasanta, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Gamberi appena scottati con salsa dolcissima ottenuta dalle teste.
Gamberi, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Baccalà in bianco, salsa ottenuta con la carcassa: piatto classico e anche in questo campo lo chef non perde un colpo, semplicemente perfetto. E che salsa!
baccalà, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Spinacio al burro, sedano rapa cotto nel grasso del prosciutto: un gioco di prestigio, una illusione, il sedano rapa cotto col grasso del prosciutto che diventa, chiudendo gli occhi, lui stesso prosciutto.
Sensazioni lattiche che si rincorrono con lo spinacio che riequilibra il tutto.
sedano rapa, spinaci, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Spaghetti burro e parmigiano: vengono reidratati per due ore in acqua fredda fino a diventare stracotti ed elastici, sono poi immersi in un vaso di vetro contenente burro chiarificato leggermente salati. Nel forno a vapore a 100 gradi subiscono una seconda cottura, che li rende traslucidi e quasi trasparenti.
Spaghetti burro e parmigiano, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Insalata, cioccolato bianco, salsa al prezzemolo: altra grande insalata, servita senza condimento, ma completata dalla grassezza untuosa del cioccolato bianco che smorza le sensazioni amare e dona quella piacevolezza che altrimenti sarebbe mancata.
Insalata cioccolato bianco, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Lasagna di alga di mare e lattuga con ragù di vitello: una lasagna a tutti gli effetti dove al posto della sfoglia ci sono alghe e lattughe, ottima.
lasagna, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Ravioli di scarola, acciughe e capperi.
ravioli, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Scorfano, acqua di parmigiano, anice stellato: terra e mare che si incontrano con l’anice stellato che rende il piatto meno monocorde.
Scorfano, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Tonno e musetto di vitello: ancora terra e mare, un tema caro allo chef; qui sono le sensazioni grasse e morbide a farla da padrone, ma gestite alla grande.
tonno e musetto, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Sasso ripieno di crema di pistacchio e sorbetto di mora.
sasso ripieno, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Frutta disidratata.
frutta disidrata, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino
Praline finali.
praline, Ristorante Del Cambio, Chef Matteo Baronetto, Torino

Non è ammissibile attribuire giudizi di valore senza termini di paragone. Di matrice strutturalista, questo pensiero sostiene che le cose del mondo non avrebbero proprietà se non nel diretto rapporto con le sue simili, e che proprio in questo rapporto, in questa differenza, risiederebbe, delle cose, il vero nucleo identitario. Ebbene, s’è già detto, si tratta del punto di vista dello strutturalista, ma è anche della posizione del neofita, colui che si appresta a giudicare un’esperienza tanto lontana dalla nostra enciclopedia quanto, allo stesso tempo, tanto prossima nella costellazione di similitudini ch’essa intrattiene coi suoi referenti europei, tanto a Barcellona quanto a Londra, per esempio.

Stiamo parlando del Pacifico, un ristorante che porta con sé più di una velleità culturale e culinaria, non ultima quella di portare a Milano, unico caso codificato in Italia, i 500 anni di influenze asiatiche tradotte nel seno della prolifica cultura culinaria peruviana. Ebbene se, come si diceva, in Italia questa fusion iperterritoriale è alla sua prima nazionale, altrove questa tradizione è invece più radicata e, forse per questo, essa si esprime a livelli nettamente superiori rispetto alla sua manifestazione italiana obnubilata, nello specifico, da un servizio non sempre puntuale, dall’acustica scontrosa, nonché dalla manifesta approssimazione di alcuni allestimenti, come piatti posticci e, sicuramente, un po’ pasticciati, accanto ad altri che, a dispetto dell’alta densità territoriale, ci sono sembrati invero, se non manchevoli, comunque sicuramente piuttosto flebili.
Probabilmente, il punto di partenza è così alto, complesso e stratificato da risultare paralizzante, fatto sta che poco dell’altissima varietà paesaggistica peruviana, dove si alternano altissime montagne alle ripide costiere scoscese, si riverbera nel piatto, ne’ si ritrova la giungla tentacolare col suo caleidoscopio di anfratti umbratili e balsamici.

In tutto questo, tuttavia, è anche probabile che Jaime Pesaque, ovvero l'”ambiasciatore” peruviano di questo paesaggio commestibile, abbia invero solo bisogno di tempo, e lo dimostrano invece piatti riuscitissimi, benché più delicati rispetto agli originali peruviani, ma questo è tutt’altro che un difetto, come il suo ceviche, il nuovo sushi europeo, così come la sua versione del tiradito: ineccepibile.

A parte ciò, la scenografia è appagante: si è inseriti infatti in un contesto molto suggestivo, una scenografia per nulla lasciata al caso che, forse, adombra ulteriormente la controparte commestibile che, invece, avrebbe colmato gran parte delle sue manchevolezze nella maggiore ricercatezza in termini di materie prime nonché, certamente, in una maggior correttezza in termini di cotture.

L’ambiente, comunque, è funzionale alla suzione di cocktails più che discreti su cui primeggia, ovviamente, il Pisco Sour, la bevanda nazionale del Perù, da accompagnare al succitato ceviche, nella speranza che la popolarità dell’indirizzo non precluda le vostre conversazioni dato che, come ultima nota dolente, si diceva, l’acustica non è propriamente delle più riposanti.

Mise en place.
mise en place, Pacifico, Ristorante di cucina peruviana, Milano
Dettaglio di un tavolo.
tavolo, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Tiradito Paracas Capesante.
Tiradito, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Tiradito Tamarindo Tonno e avocado zenzero.
tiradito,Pacifico, cucina peruviana, Milano
Cheviche misto con polpo, cappesante e gamberi: forse il migliore piatto della serata.
Cheviche, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Chupe mancora: aragosta, la sua bisque, patate, uova alla coque; un po’ troppo pasticciato.
Chupe manchora, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Causa Nortena aragosta, puré di patate, peperoni, maionese piccante e salsa alla olive nere.
causa nortena, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Cheese cake al passion fruit.
cheese cake, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Per finire in bellezza: Pisco Sour.
pisco sour, Pacifico, cucina peruviana, Milano