Età complicata, 45 anni, se hai talento. Non più “giovane promessa”, non ancora “venerato maestro” si rischia di finire nella terza e meno fortunata delle categorie arbasiniane.
A meno di non riuscire a essere da subito un classico, avere un’impronta personale salda che si può far evolvere con misura nel tempo restando stabilmente un riferimento.
E’ il caso di Jean-François Piège, da poco al timone di questa sua nuova impresa dietro la Madeleine, una novità che pare già un’istituzione.
Sala piena a ora di pranzo, con uomini d’affari ma anche vecchie coppie benestanti del quartiere e giovani appassionati, un bel mix che testimonia il successo già ottenuto dalla sua proposta, anche per l’attenzione a dare a tutti la giusta offerta: oltre alla carta, un menu déjeuneur a prezzo più che abbordabile, il menù stagionale e quello ancora più esteso, il “signature”, con le sue creazioni di maggior successo.
L’esperienza è davvero appagante, perché la cucina si conferma quella che era già ai tempi del Crillon: pienamente nello spirito del tempo e, nel contempo, di grande scuola, l’impronta di un cuoco attento a quello che succede intorno ma consapevole di una forte identità ancorata a una lunga tradizione. Sin dagli amuse-bouche, si percepisce meticolosa cura di ogni dettaglio estetico e grande attenzione al gusto, la bellezza a tutto tondo che si può ritrovare così piena in poche tavole (la più affine, nella nostra esperienza, quella di Anne-Sophie Pic). Anche se, nel nostro plurimo passaggio, abbiamo riscontrato qualche piccolo appiattimento di gusto e rotondità, con mancanza di concentrazione, che ci ha fatto propendere per la non piena valutazione. Ma che crediamo che stia nelle corde del cuoco che, a così breve tempo dall’apertura, deve ancora rodare macchine e meccanismi e che saprà certo incuriosirci con maggiori slanci di quelli attuali, che comunque abbiamo già intravisto in molti passaggi.
Se le cappesante sobbollite con castagne, acetosella, e succo di clementine, sono un’entrata di grande eleganza, i colpi al cuore arrivano dopo, con le formidabili animelle e, soprattutto, con il merluzzo giallo, capolavoro di modernità: il pesce, cucinato alla perfezione ça va sans dire, si defila dal suo ruolo di protagonista per farsi pura texture e lasciare spazio alle mille sfumature delle verdure fermentate che lo affiancano. L’idea, alla Piège, di un piatto fusion.
Capitolo a parte per i dolci, a cui sovrintende la dolce Nina Métayer, reduce da un’esperienza televisiva, ma soprattutto, con uno di quei bei curriculum che un giovane pasticciere può costruirsi a Parigi (da Alleno, tra le varie tappe). Bellissimi davvero, i dessert, e di grande impatto anche gustativo, a partire dall’amuse-bouche, un “blanc manger coulant” che è un prodigioso mix con l’Île flottante, in cui la tecnica raffinata consente questa formidabile ibridazione. A seguire altre due meraviglie come dessert principali, che declinano con grande creatività i temi della frutta di stagione -il mandarino- l’uno e il cioccolato l’altro, per chiudere con una crema pasticciera al bergamotto che è un trionfo della memoria d’infanzia. Non si capisce bene perché servito in una doppia ciotolina, ma si ringrazia perché se ne potrebbero mangiare di gusto anche quattro, di porzioni.
Servizio pienamente in linea con la proposta di cucina e l’ambiente: professionale e sapiente, ma anche accogliente, simpatico, moderno, contribuisce a rendere questo un passaggio obbligato per il gourmet a Parigi di questi tempi.
L’apparecchiatura
Gli amuse-bouche.
Le cappesante.
Animella, trattata “comme un mijoté moderne” con il suo succo di cottura.
Il merluzzo.
Particolare del meraviglioso pane.
Il blanc manger coulant, prima e dopo.
Meraviglioso mandarino, rosa, pasta di babà e, tocco di genio, sesamo.
Nocciole, latte di mandorla ghiacciato, gelée di limone.
Crema pasticciera al bergamotto.
Chiusura con strizzata d’occhio ad altre sfere passate.
Siamo tornati anche una seconda volta a trovare Piège, questa volta a cena, scegliendo alla carta.
Una conferma ulteriore dello stato di grazia di questa cucina, uno stile ed un modo personale di traghettare la cucina classica francese ai giorni d’oggi.
Una tecnica (les Mijotés Modernes) che è già un grande classico dello chef: cotture lente in crosta o su gusci di noci o ancora su castagne, la tradizione classica trasposta negli anni 2000.
Le portate principali (Poularde e Angus) hanno racchiuso al meglio lo stile Piège: neoclassico, perfezionista, frizzante. Piccoli capolavori dalla cottura commovente.
Certamente LA tavola da non mancare oggi a Parigi.
Patata soffiata croccante, caviale, emulsione di crostacei
Scampi, concentrato di jus e foglie di clementine, acetosa selvaggia, rape.
Cappesante cotte a lungo sulle castagne, sedano al forno, tartufo nero, haddock.
La mia versione del “Gateau de foie blond selon Lucien Tendret”, bagnato da una salsa ai gamberi.
Poularde “la cour d’Armoise”cotta nel riso, salsa al vin jaune, fiore di sedano ripieno di tartufo.
La cottura in crosta di riso.
Un capolavoro: di cottura (carne succosa e morbida), di gusto, di complessità.
Angus cotto a lungo sui marroni grigliati, copertura erbacea, salsa marasca e pepe.
Altro colpo da KO.
La splendida cucina a vista (anche dalla strada).
La sala: il design, di grande effetto, è stato curato dall’architetto islandese Gulla Jonsdottir.
Il soffitto della sala, in vetro e specchi.