Passione Gourmet Ottobre 2015 - Passione Gourmet

Barcelona: la vida tapa! – Prima parte

Gaudì, Leo Messi, Adrià, Mirò, Eusebi Güell, funivia del Montjuïc, mare, sole, tapas, Camp Nou, Sagrada Familia, paella, spiaggia, ramblas, divertimento, movida, colore, integrazione, ordine, caos, orgoglio: continuate voi con tutte le parole che vi vengono in mente, per etichettare questa meravigliosa città.
Tutto qui, tutto dentro Barcellona, così grande eppure così piccola, dove tutto sembra a portata di mano, una città vivibile come poche altre in Europa: la spiaggia e il mare a due passi da un centro storico vivo, il clima, le opportunità turistiche e non solo, rendono questa meta un unicum.

Così come la gastronomia: Barcellona è uno dei poli mondiali della cucina d’autore, le novità si succedono a ruota continua ed è davvero difficile scegliere gli indirizzi da provare.
Vi abbiamo parlato e vi parleremo di alcuni dei ristoranti più famosi, quegli indirizzi a cui dedicare più tempo e, a volte, anche più soldi.
In questo articolo e nel prossimo vorremo invece fare una carrellata veloce su alcuni locali meno impegnativi ma non meno soddisfacenti: pasticcerie, tapas bar, hamburgerie, tutte sotto il grande cappello della qualità e del divertimento assoluto.
Sì, divertimento: la caratteristica distintiva di tutti i locali di successo di Barcellona.
Perché il modo di mangiare o bere non può che essere lo specchio della società in cui ci si trova: è solo un altro modo di conoscere un luogo che si decide di vivere, un modo decisamente piacevole.
¡Buen Viaje!

La pastisseria Barcelona
La pasticceria Barcelona, Barcellona
Cominciamo questo tour da una grandissima pasticceria.
Josep Ma Rodriguez Gerola, campione del mondo pasticceria 2011 in team con Jordi Bordas e Julien Álvarez, a soli 29 anni stupisce con una serie di preparazioni incredibili.
Il locale ha anche dei tavoli per la degustazione, cosa per niente scontata in molte pasticcerie di successo. I dessert sono semplicemente meravigliosi, spesso costruiti con una base croccante e una morbida mousse sopra. Il Pur chocolate resterà a lungo nella nostra mente.
La pasticceria Barcelona, Barcellona
La pasticceria Barcelona, Barcellona
La pasticceria Barcelona, Barcellona
La pasticceria Barcelona, Barcellona
La pasticceria Barcelona, Barcellona
Mojito: mousse leggera di lime e menta con crema di lime e tenera torta di mandorle.
mousse al mojito, La pasticceria Barcelona, Barcellona
mousse al mojito, La pasticceria Barcelona, Barcellona
Pur chocolate: mousse fondente di cioccolato guanaja 70%, biscotto croccante al cioccolato, glassa nera lucida.
pur chocolate, La pasticceria Barcelona, Barcellona
pur chocolate, mousse al mojito, La pasticceria Barcelona, Barcellona

Escribà
Escribà, Barcellona
Escribà, Barcellona
Una istituzione della città catalana, fondata nel 1906 al 546 della Gran Via Corts Catalanes.
I tre figli di Antoni Escribà, il “mago del cioccolato” mancato nel 2004 all’età di 74 anni, continuano l’opera dell’illustre padre, sfornando dolci di altissimo profilo.
Escribà, Barcellona
Escribà, Barcellona
Anche in questa pasticceria sono presenti tavoli per la degustazione, anche se il locale non risulta particolarmente confortevole (incredibili le dimensioni lillipuziane della toilette).
A nostro avviso le preparazioni sono leggermente inferiori a quelle di Rodriguez Gerola, ma stiamo comunque parlando di assolute eccellenze.
Da Escribà si preferisce l’abbondanza e la complessità, sovrapponendo ingredienti diversi. Tecnicamente siamo ad altissimi livelli.
E’ presente anche una succursale sulla Rambla nella splendida Casa Figueras.
pasticceria, Escribà, Barcellona
pasticceria, Escribà, BarcellonaIl pane.
pane, Escribà, Barcellona
pane, Escribà, Barcellona
Maduixots (fragole): pâte sucrée, crema di mandorle, crema leggera e fragole fresche.
maduixots, Escribà, Barcellona
Angie: spugna di cioccolato, gelatina di lampone, croccante di nocciole, crema di vaniglia e topping al cioccolato nero.
angi, Escribà, Barcellona

Bar Pinotxo
Bar Pinotxo, Barcellona, Mercado de la Boquería
Posto numero 466, Mercado de la Boquería.
Non si può venire a Barcellona e non passare di qui. Non parliamo solo dello splendido mercato, ma anche di questo food-truck che, nonostante gli elevati numeri e le frotte di turisti, mantiene una altissima qualità del cibo.
Il Mercato.
Barcellona, Mercado de la Boquería
Barcellona, Mercado de la Boquería
Barcellona, Mercado de la Boquería
Barcellona, Mercado de la Boquería
Barcellona, Mercado de la Boquería
Barcellona, Mercado de la Boquería
Barcellona, Mercado de la Boquería
Juanito Bayen, sempre lì al suo posto da tempo immemore, e suo nipote Jordi Asín portano avanti la tradizione della grande cucina di mercato. Aspettate il vostro turno e prendete posto nei pochi sgabelli disponibili (meglio evitare gli orari di punta), quindi lasciatevi guidare dalla vostra fame o, meglio, dalla vostra curiosità.
Tutto eccellente, una sosta che vi divertirà e vi farà aprire gli occhi sul significato della parola “ristorazione”.
Barcellona, Mercado de la Boquería
Barcellona, Mercado de la Boquería
Barcellona, Mercado de la Boquería
Calamaretti con fagioli.
calamaretti con fagioli, Barcellona, Mercado de la Boquería
Ceci: cipolla, uvetta, pinoli, butifarra negra e aceto balsamico.
ceci,cipolla, Barcellona, Mercado de la Boquería
Crocchette di formaggio e di prosciutto.
crocchette di formaggio, Barcellona, Mercado de la Boquería
Crocchette di formaggio, Barcellona, Mercado de la BoqueríaGamberi.
Gamberi, Barcellona, Mercado de la Boquería
Aragosta.
Aragosta, Barcellona, Mercado de la Boquería
Funghi.
Funghi, Barcellona, Mercado de la Boquería
La coda stufata.
Coda Stufata, Barcellona, Mercado de la Boquería

Tapas24
Tapas24, Barcellona
Uno dei locali di maggior successo di Carles Abellan, lo stesso proprietario del Suculent e di altre insegne della città catalana. Su quale sia il protagonista, il nome del locale è molto chiaro: tapas, a volte tradizionali, altre volte più creative, ma sempre rilette in chiave gourmet.
Tutte di buone qualità, non si urla al miracolo (se non per il mc-foie burger, preparazione da grande ristorante) ma si sta molto bene spendendo in ogni caso il giusto.
Tapas24, Barcellona
Bravas.
Bravas, Tapas24, Barcellona
Pan y tomate.
pan y tomate, Tapas24, Barcellona
Ceviche di corvina.
Ceviche, Tapas24, Barcellona
Crocchette di prosciutto.
crocchette di prosciutto, Tapas24, Barcellona
crocchette di prosciutto, Tapas24, Barcellona
Crocchetta di pollo.
Crocchetta di pollo, Tapas24, Barcellona
Mc-foie Burger: burger con ganache al foie gras.
Mc- Foie Burger, Tapas24, Barcellona
Bikini comerc 24: sandwich con prosciutto, tartufo nero e mozzarella di bufala.
Bikini Comerc 24, Tapas24, Barcellona
Calamaretti fritti.
Calamaretti fritti, Tapas24, Barcellona

Continua…

Ci sono cose che si cercano, altre che ti trovano. Ecco, questo è stato subito un posto che mi apparteneva, ritagliato sui miei sogni, sui miei desideri. Aveva già questo nome e Chiara è anche il nome di mia figlia, allora cominci a pensare che nulla è per caso…

Faby Scarica, volto da bambina e tutto l’entusiasmo delle sue 26 candeline nel cassetto, racconta così la sua avventura, a Pacognano, poche case tra le colline di Vico Equense, luoghi incantati che sembrano dispense naturali per chi ama cucinare, ricette già suggerite tra il mare e i suoi orti. L’idea è quella di proporre una cucina di qualità -quella imparata ai fornelli dei maestri Gennaro Esposito e Alfonso Iaccarino- in un ambiente familiare, bucolico ma elegante, per una volta anche a misura di bambini. Nel giardino ci sono altalene e scivoli e al di là, in fondo all’orto, gli animali della fattoria.

Menù rigorosamente stagionali con il piacere di vedere colti gli ortaggi, le spezie e la frutta, talvolta proprio mentre siete a tavola, e con una doppia anima che si svela nelle pagine della carta impreziosita dal pastello della chef in copertina: la tradizione, con i piatti di sempre, nel rigore delle loro ricette consolidate e poi le reinterpretazioni -piu’ ardite negli accostamenti e nei loro impiattamenti- per chi vuole altro.
Molti piatti, forse troppi, quasi l’impegno a non tradire nessuna aspettativa, e con prezzi correttissimi. Così le degustazioni, dai 35 ai 55 euro, sono il viaggio più conciso nelle idee e nelle ispirazioni, talvolta compiute, altre da rifinire, di questa brigata giovane e con tanta voglia di fare. Hanno aperto a febbraio e già si parla di loro. Ci sarà da lavorare, mettere a punto i tempi, alleggerire ove necessario, arginare il superfluo, ma se questo è l’inizio, beh, a noi sembra proprio una gran bella storia.

Pacognano, una frazione sulle colline di Vico Equense.
Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
La struttura con le mura rosse. Il parcheggio è in un ampio spazio adiacente.
Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Il giardino con i tavoli sotto il cannucciato. Qui si mangia quando la stagione lo consente. Silenzio e tanto verde. Viti sullo sfondo.
giardino, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Il menù. Elegante. Un pastello schizza la struttura. Un velato omaggio a Don Alfonso 1890.
menù, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Grissini al burro. E taralli infilati nei piccoli rami che arredano il tavolo.
grissini, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Pane. Bianco ed ai cereali. Semplici e buoni.
pane, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Benvenuto: la bruschetta. Pane che però pecca di croccantezza. Pomodoro all’altezza della fama.
bruschetta, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Benvenuto: l‘ottimo fiore di zucca fritto ripieno di formaggi. Completava la frittura un timballo di pasta, un crocchè di patate, un arancino di riso e una zeppola con le alghe.
Benvenuto, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Polpo tenero grigliato, crema di topinambur, alga fritta, quinoa croccante e polvere di caffè.
Pretenzioso nelle intenzioni, impreciso nel risultato. Il tentacolo è cotto a bassa temperatura e poi passato alla griglia per ridarne nerbo e profumo. E così nel gioco di rimandi c’è il croccante dell’alga fritta con il velluto del tubero e la sua dolcezza con l’amaro del caffè’ in polvere. Piatto molto complesso che richiede forse una maggiore attenzione negli equilibri.
Polpo tenero, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Insalata di manzo. Il manzo, nelle sue parti meno nobili, è in brodo asciutto, protagonista con la sua particolare tenacia. Si contorna di insalata e un bagnetto verde che colora la patata in crema. Piatto pop, da misurare nella porzione, curiosamente privo di acidità, monotono al palato.
Insalata di manzo, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Paccheri d’orzo in salsa tiepida di peperoni arrosto, capperi, olive e cipollotto agrodolce. Sui primi si ha una virata decisa sui sapori e i profumi. Da una intuizione di Giovanni Assante del pastificio Gerardo Di Nola, che introduce l’orzo Cilentano al 40% della semola, ecco un pacchero dal colore ambrato e di particolare fibra. Perfetta la scelta di una voluttuosa salsa dalla particolare consistenza semiliquida -simile ad un gazpacho- accentuata dalla temperatura ricercatamente tiepida. Rilevante la nota lunga delle olive e del cipollotto.
pacchetti d'orzo, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Spaghettoni di Gragnano con cozze in costiera e crumble di pane e mortadella. Giocoso ma di grande carattere. Acido con le cozze agli agrumi, sapido con la golosità della mortadella vivacizzata dalle molliche di pane croccante. Infine lo spiazzamento della frutta secca.
spaghettoni di gragnano, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Delizia al limone. Omaggio alla tradizione, è il dolce che ti aspetti qui, nella penisola sorrentina. Nel formato mignon, forse la sua piu’ giusta dimensione.
Delizia al limone, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense
Mojito melon. Con il caldo ancora incombente e dopo piatti robusti, piace la proposta del celebre cocktail rivisto in chiave mediterranea. Il melone bianco marinato al lime e menta è il fulmine che resetta. Poi, con i candies al rhum e la cialda con canna e lime, tornano gli zuccheri, per lasciare la chiusura ad un eccellente gelato alle erbe di campo e buccia di lime. Che resta.
Mojito melon, Villa Chiara, Chef Faby Scarica, Vico Equense

A volte capita, a distanza di pochi mesi, di fare due esperienze drasticamente diverse sedendo ad una medesima tavola. E quando la seconda delle esperienze è più brillante rispetto alla prima, allora può significare o che in una occasione, la migliore, la cucina ha dato il meglio, oppure che la vasta scelta di piatti in carta, senza una chiara ripartizione tra quelli con l’anima tradizionale e quelli più creativi, può portare il commensale ad avere una visione differente dell’estro del cuoco. O della cuoca, come in questo caso.
È un rischio? Forse si. Sicuramente è un pregio a livello imprenditoriale, specie se il ristorante in questione è ubicato in un’isola delle Eolie, dove un’alta percentuale di turismo parla straniero e non tutti sono propensi a un menù che si discosti troppo dalle tradizioni e dai clichè della cucina della mamma (o della nonna).
Ciò premesso, al Signum il modo migliore per godere a pieno di una cucina brillante, concreta ed appagante è quello di scegliere uno dei menu creativi, dove la giovanissima Martina Caruso riesce ad esprimere uno stile che ripercorre la sue esperienze formative, e giunge al concepimento di piatti equilibrati che fanno da sfondo ad una notevole materia prima trattata con cotture calibrate e mano sicura.
La venticinquenne non teme i pienoni, riuscendo a gestire senza affanno le ordinazioni prese da una carta che conta più di trenta piatti. Praticamente un fenomeno dell’organizzazione. Questa è, a nostro avviso, una grande qualità per uno chef.
Forse una suddivisione della carta in proposte di tradizione e proposte creative aiuterebbe il commensale nella (difficile, vista la vastità del menu) scelta.
Martina, alla quale auguriamo di non fermarsi proprio ora ma di continuare a fare altre esperienze (è il modo migliore per aprire la propria mente e ricercare uno stile ancor più personale), ha passione e, fortuna sua, una famiglia con le spalle larghissime in termini di ristorazione ed accoglienza (l’hotel Signum è un luogo di raro fascino) capace di metterle a disposizione il meglio. Merito principalmente dei genitori e del fratello Luca, che ha preso le redini del gioiello di famiglia scommettendo ed investendo tanto nella ristorazione di qualità.
Sono tante le attenzioni per il cliente, come la selezione di oli serviti a più riprese durante la cena, per far conoscere le ricchezze della regione. Ma si va anche oltre, perché sono tanti i turisti stranieri che visitano le Eolie e che non conoscono tutte le ricchezze gastronomiche d’Italia, ed ecco allora ritrovarsi eccellenze nazionali come la carne di Cazzamali, perché il chilometro zero non deve essere una costrizione.
La cantina é vasta ed offre anche una selezione di etichette estere, con particolare focus sulla Francia, ed i percorsi di vini offerti in degustazione sono sorprendenti per qualità e varietà e non risultano mai banali quando vengono selezionati in accompagnamento ai piatti. Sicuramente una delle cantine migliori della Sicilia.
Il servizio di sala coniuga informalità, familiarità e grande attenzione.
C’è anche spazio per la mixology. Da non perdere il cocktail bar su una terrazza affacciata su Stromboli e Panarea all’orizzonte, in cui gustare le originali creazioni di Raffaele Caruso (si resta sempre in famiglia) che vedono l’uso di frutta di stagione e di prodotti dell’isola e un’ammirevole lavoro svolto con gli stessi ingredienti (si trovano vodke aromatizzate, home made, al cappero o al rosmarino), assolutamente un valore aggiunto al cadre.
E per chi volesse godere a pieno della carta dei vini, ci sono sempre le graziose camere del bellissimo hotel per il quale sembra di stare in un piccolo e riservato borghetto eoliano, una delle strutture più affascinanti di Salina.

Uno dei tavoli nel dehor.
Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Il discreto cestino del pane.
pane, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Il menu degustazione più lungo è “il sigillo”, al quale può aggiungersi una studiatissima selezione di calici in abbinamento. Notevole.
Si parte con il gambero rosso di Salina, ricotta di Vulcano e acqua di pomodoro. Siderale la qualità del crostaceo.

crostaceo, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
In accompagnamento un notevole champagne: Pierre Gerbais.
champagne, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Qualche perplessità sopraggiunge con il secondo assaggio: “crudità di mare”. Un piatto “interattivo” nel quale abbiamo avuto qualche difficoltà nel trovare una sequenza logica per abbinare l’ottima materia prima con le salse e gli altri accessori in accompagnamento. Da rivedere.
Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Close up della tartare di baccalà con nero di seppia e sale nero.
tartare, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Ricciola e zucchine marinate (troppo) nell’aceto e, a latere, una riduzione di carota.
Ricciola e zucchine, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Chiude la sequenza la cernia con maionese e schiuma di mandorla e uova di salmone.
Cernia, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Un grandissimo vino siciliano in accompagnamento.
vino, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Cannolo di baccalà con salsa di arancia e panna acida. Ottima esecuzione per un omaggio (il primo) ad uno dei maestri di Martina (Antonello Colonna).
Cannolo di baccalà, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Accompagnato dal Carricante Aurora (I Vigneri di Salvo Foti).
vino, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Uno dei piatti migliori: ventresca di ricciola (di notevolissima qualità e dalla cottura perfetta) scottata con fichi e finocchietto piastrato.
Ventresca, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Con il quale viene servito uno champagne niente male ;-).
champagne, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Battuta di manzo (viene usata una fassona selezionata da Cazzamali), capperi di Salina, con salsa d’uovo e nocciole, gelato al ragusano e pepe di Sarawak. E’ il secondo omaggio ad uno dei maestri di Martina (Luciano Monosilio).
battuta di manzo, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Da vicino, l’ottimo wafer.
Battuta di manzo, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Con un elegante vino di Borgogna.
vino, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
L’interpretazione della seppia e piselli: totano cotto a bassa temperatura, piselli liofilizzati e caffè. L’equilibrio può sembrare precario. Tutt’altro. Un bel piatto.
seppia e piselli, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Cozze lardellate con lenticchie di ustica e riduzione al miele. Rotondo e goloso.
cozze lardellate, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Ancora Sicilia.
vino, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
La pasta: linguine con latte di mandorla e vongole.
pasta, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Si torna in Borgogna.
vino, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Altro assaggio di primo: carbonara di mare. E’ una carbonara a tutti gli effetti, con uova e guanciale di maialino nero dei Nebrodi, ma impreziosita da gamberi rossi (ogni volta che se ne prende uno il gusto muta drasticamente) e una intelligente riduzione di vino rosso. Davvero buona.
carbonara di mare, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Accompagnata da un bel frappato.
vino, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Il sorbetto è un rinfrescante gelato al sedano. Eravamo rimasti entusiasti del gelato al cappero, assaggiato in una precedente visita. Anche questo è molto concentrato.
sorbetto, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
La prova del nove su materia prima ittica ed esecuzione: dentice con pelle croccante, finocchio, finocchietto selvatico, pompelmo e maionese.
dentice, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Dalla cottura impeccabile.
dentice, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Con il Domaine Julien Guillot Clos des Vignes du Maynes Pouilly-Fuisse, la cui mineralità ne fa un perfetto abbinamento.
vino, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Come è giusto che sia, il piatto migliore arriva in chiusura: “Assoluto di triglia e zenzero”. Una frittura dalla panatura perfetta lascia integra e morbida la carne del pesce, servito con una tartare di triglia, salvia e olive (c’è un ritorno ai sapori eoliani). A chiudere il tutto un denso brodo di triglia e zenzero. Qui i rischi corsi sono tanti, ma il risultato è riuscitissimo.
frittura, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Ed anche l’abbinamento non è da meno: un sorprendente Valtellina Superiore.
Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Pre-dessert: gelatina di more locali (l’isola ne è piena) e cannella.
Predessert, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Mousse di yogurt e cioccolato bianco, basilico e limone.
mousse di yogurt, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Zuppa di latte con pralinato al cioccolato, caffè e mosto di carruba.
zuppe di latte, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
Degna conclusione tra Salina, Sicilia ed Europa.
vino, Signum, Chef Martina Caruso, Salina
C’è spazio per un eccellente cocktail..
cocktail, Signum, Chef Martina Caruso, Salina

Difficile così, su due piedi, dire quanti uomini sono riusciti a conquistare le tre stelle Michelin della Guide France, nell’ultimo mezzo secolo. Comunque tanti, quasi sicuramente troppi. Quanto alle donne, invece, il calcolo è facile: una. Anne-Sophie Pic.
Non male come performance per una giovane signora che aveva studiato economia più che far pratica ai fornelli. Per poi trovarsi quasi per caso -il padre era morto all’improvviso, il fratello aveva mollato il colpo- alla guida di una delle massime istituzioni gastronomiche di Francia.
Anzi, no: non per caso. Per necessità, per volontà.
La volontà di ferro che l’ha portata, da autodidatta assoluta, a imparare in fretta le regole del gioco, a imporsi in un settore monopolizzato dai maschi, a riconquistare nel 2007 quelle tre stelle che la famiglia Pic aveva perso dodici anni prima.

È bene tenerne conto, prima di partire per Valence e prepararsi a sparare sentenze su quella entrée o quel dessert. Il ristorante Pic è in un’area anonima e semiperiferica della città. Ben diversa da come doveva essere negli anni 30, quando davanti al locale passava la RN 7, la mitica route des vacances, la strada statale che portava da Parigi alla Costa Azzurra. Si entra e si finisce subito per respirare quell’aria carica di storia che solo le grandes tables francesi riescono a esprimere, magari anche a dispetto -come in questo caso- di arredi e décor dal lusso un po’ falso e impersonale.

La cucina di Madame Pic, in questi ultimi anni, ha subito una profonda evoluzione: basta confrontare i piatti con quelli del recente passato per averne conferma. È probabile che elogi e riconoscimenti abbiano aumentato la sicurezza della chef-patronne. Lo dimostra il fatto che i piatti storici del locale, persino nelle ultime versioni rivisitate e alleggerite, sono progressivamente spariti dalla carta: l’ultimo, le animelle alle carote, se ne è andato l’anno scorso. Poi ha seguito il suo destino la stessa carta: ora è disponibile soltanto un menu degustazione, declinabile in quattro, sei o otto portate (con due alternative riservate alla proposta più lunga), incluso un dolce a scelta (fra cinque opzioni). Quanto alla cantina, presidiata dallo “storico” sommelier Denis Bertrand, può contare su oltre 2.200 etichette, con una sezione particolarmente completa dedicata alla Valle del Rodano.

A inizio cena affiora una lieve perplessità. Dopo gli ottimi -ma non indimenticabili- appetizer e il favoloso burro bretone della maison Bordier servito con un non meno eccellente pane (tradizionale, al caffè, al tè, alla birra) fatto con il lievito madre, la pre-entrée è la stessa crème brûlée di foie gras d’anatra con mela Granny Smith (in questo caso sotto forma di sorbetto) in cui ci eravamo imbattuti nelle precedenti visite. Al di là di questa reiterazione quantomeno discutibile, un inizio d’impronta classica al 100%, a dirla tutta quasi banale, che però ha il merito di non far per nulla intuire quanto arriverà subito dopo.
amuse-bouche, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Variazione di carote, yogurt al fiore di gelsomino e pepe di Voatsiperifery.
Cinque qualità di carote, di colore e croccantezza differenti, assemblate in un coreografico gioco d’incastri, anche sotto forma di lievissimo purè e di gelatina. La dominante dolce è compensata dal piccante del pepe di Voatsiperifery, una varietà del Madagascar, e dall’acidità dello yogurt. Molto piacevole il mix di texture, per un piatto di grande freschezza, che fa capire subito quanto per questa cucina siano importanti gli elementi vegetali.
carote, yogurt, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Pomodoro “plurale”, consommé ghiacciato alla foglia di cassis e al fiore di sambuco, crema ghiacciata di burrata alla vaniglia affumicata.
Altro piatto prevalentemente vegetale che gira attorno a un ingrediente, anche in questo caso proposto in cinque varietà diverse. Ma, al di là dell’assonanza strutturale, nulla di noioso o monotematico: le due preparazioni non potrebbero essere più diverse. Qui i cinque pomodorini, uno più buono dell’altro, sono declinati su una scala di differente intensità gustativa e vengono esaltati dal consommé ghiacciato alla foglia di cassis e al fiore di sambuco. A chiudere il cerchio è l’affumicatura dell’originale burrata alla vaniglia. Persistenza, finezza e, ancora una volta, freschezza, per un piatto di considerevole complessità.
Consommé, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Berlingots al formaggio di capra di Banon leggermente affumicato, consommé di crescione infuso allo zenzero e al bergamotto.
È un cromatismo verde intenso a caratterizzare il piatto, anche per la presenza dell’oxalis, della portulaca, dei fiori di komatsuna e del tè Matcha che colora i berlingots, ravioli ripieni di formaggio di capra di Banon (affinato in foglie di castagno) e crema di mascarpone. Ma l’elemento fondamentale della preparazione, che esalta le altre componenti, conferendo una dominante fortemente amara (come avviene spesso nella cucina di Pic, anche se di solito in modo più sussurrato), una tensione dissonante, è lo straordinario consommé di crescione infuso allo zenzero e al bergamotto. Intensità e persistenza da vendere.
Berlingots, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
L’ostrica Tarbouriech come un irish coffee.
La preparazione è introdotta da una sorta di cerimonia del caffè inscenata davanti al tavolo con il chemex, caffettiera in legno e vetro degli anni 40 con la quale si ricava un’infusione di caffè Bourbon Pointu grand cru e whisky giapponese Nikka. L’“irish coffee” che così si ottiene, rinforzato da liquirizia e cardamomo nero, va poi ad arricchire un’ostrica Tarbouriech marinata a crudo nel whisky e abbinata a rabarbaro e a un cremoso di topinambur. Ancora una volta, trionfo delle note amare, ma associato a un’esplosione iodata. Fusione di sapori perfetta, estrema finezza, incredibile persistenza.
Ostrica Tarbouriech, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Ostrica Tarbouriech, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Astice blu arrostito al burro di astice, dashi ai frutti rossi leggermente affumicato, chutney di fragole, barbabietole Burpee’s Golden.
Qui siamo su un registro più prevedibile, ma che piatto! L’astice è grandioso e la sua dolcezza viene resa più elegante e intrigante dalla sottile acidità e dall’affumicatura del brodo di frutti rossi. Rotondità, suadenza, armonia. Può essere già considerato un classico della casa, anche se la ricetta non è immobile e viene costantemente perfezionata.
Astice blu, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Sampietro, cetriolo, limone, bouillon al pomodoro Green Zebra, verbena e asperula.
Un filo sotto il resto, anche perché il sampietro, di per sé ottimo, corre un po’ da solo, o quantomeno fa la figura da comprimario. L’elemento dominante è infatti lo strepitoso, profumato bouillon, esaltato dalle note aromatiche che virano sull’amaro dell’asperula e della verbena. Ancora una volta a prevalere, qui in modo più evidente e spiazzante che altrove, sono le componenti vegetali.
Sampietro, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Agnello dell’Aveyron, carciofo, germoglio di abete e fave di Tonka.
Questo tenerissimo agnello recita invece in tutto e per tutto la parte del protagonista. Se l’abbinamento con i carciofi, proposti anche sotto forma di un’intensa mousse, resta d’impronta classica, a spiccare sono soprattutto la nota di acidità conferita alla carne dalle gemme di abete e il tocco mandorlato delle fave di Tonka. Cotture di precisione suprema. Anche il piatto più maschile del menu è comunque contrassegnato da un’interpretazione gentile, che ne svela l’anima femminile.
Agnello, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Brie di Meaux alla vaniglia Bourbon: piacevole intermezzo che anticipa la sezione dolce.
Brie di meaux, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Millefoglie bianco, crema alla vaniglia di Tahiti, gelatina di gelsomino, emulsione al pepe Voatsiperifery.
Un cubo monocromatico che dissimula il suo contenuto, cioè una millefoglie alla vaniglia: tutto è concentrato all’interno, compresa la quasi impalpabile sfoglia. L’aggiunta di yogurt regala una punta di acidità alla crema di vaniglia, mentre la gelatina di gelsomino le conferisce una nota floreale. Attorno al cubo, quattro sbuffi di mousse di latte infuso al pepe del Madagascar danno più vigore al tutto. A colpire di questo dessert è soprattutto la sorprendente delicatezza, quasi ai confini dell’evanescenza. Forse qui la vista e la mente finiscono per prevalere sul gusto, ma siamo pur sempre dalle parti dei capolavori dell’arte pasticcera.
Millefoglie bianco, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
Cioccolato Kalingo agli aromi erbacei, crema ghiacciata in infusione di cioccolato e grue di cacao, cremoso al dragoncello, menta e basilico, pelle di latte all’anice verde.
Una delle quattro alternative alla millefoglie. Un dolce complesso e di estrema finezza -anche se forse di valore meno assoluto dell’altro-, segnato da una forte e inusitata nota erbacea. Il color crema che lo contraddistingue è dato dal doppio strato di pelle di latte all’anice verde. Freschezza e leggerezza, ancora una volta, in primo piano.
cioccolato, Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
In chiusura, la piccola pasticceria.
Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia
In definitiva, Anne Sophie sembra aver imboccato la strada giusta. Con una cucina di stile contemporaneo, ma che non scimmiotta le mode. Con un’eleganza femminile, ma non priva di un rigore più tipicamente maschile. Con un sacro rispetto della storia della Maison Pic, ma evitando di farne un museo proiettato nel passato.
Anne-Sophie Pic Restaurant, Valence, Francia

Eataly è l’esempio di alta imprenditorialità applicata. Oscar Farinetti, dopo la fortuna e il successo accumulato nella sua precedente esperienza, ha deciso di intraprendere una strada irta e difficoltosa con un obiettivo dichiarato: rendere il commercio del cibo di qualità un vero e proprio affare economico, sostenibile, ma sopratutto alla portata di molti.
E visti i successi collezionati nei punti vendita sino ad ora aperti in tutto il mondo, e la raffica di nuove aperture che lo attende, non possiamo che confermare questa affermazione.

Un grande imprenditore che, anche per passione, ha deciso di cavalcare un settore sicuramente a la pàge in questo momento. Riscuotendo non solo grandi successi economici ma anche curando, cercando di affiancarsi a loro, gli artigiani-produttori di questo incantato mondo fornendogli spesso la spinta propulsiva non solo per sopravvivere ma anche per crescere prosperosi e rigogliosi.

Eataly è il simbolo dell’alta qualità del cibo italiano nel mondo, al punto che il negozio sulla 5th avenue di Manhattan pare sia tra le cinque attrazioni più visitate della grande mela.
E di tutto ciò siamo molto orgogliosi, come italiani e come appassionati gourmet.

Peccato però che non sia tutto oro ciò che luccica: in occasione di una nostra visita nel negozio di Eataly di Bari, ci siamo imbattuti in un’esperienza che, purtroppo, si è ripetuta anche in passato a Milano e a Roma. Luci -molte- su un progetto che però presenta anche qualche ombra.

La nostra esperienza all’Osteria di Eataly Bari è stata esclusiva solo nel conto. 68 euro per i piatti che qui vedete fotografati possono essere molti ma anche pochi. Se però la qualità attesa non è rispettata, se le cotture sono approssimate, se le preparazioni risultano in alcuni casi troppo distanti da quanto è stato promesso in un  luogo che dovrebbe esprimere grande qualità a fianco di numeri e quantità importanti allora è forse giunto il momento di raccontarlo.

Noi abbiamo sfruttato la possibilità di sedersi ai tavoli esterni, e di scegliere alla carta tra alcuni piatti dell’osteria e tra tutti i ristoranti tematici presenti nel complesso. Dal fornello, al ristorante bottega di pesce, all’Osteria appunto.

Abbastanza buoni i prodotti caseari, buone le patatine fritte, non unte, ben cotte e croccanti, appena sufficiente la frittura, che non dava l’impressione di essere stata preparata con materia prima fresca bensì congelata. Bocciate le bombette, troppo cotte e legnose, e il polipo, gommoso e scarico di gusto e sapore. Totalmente scentrato l’hamburger della Granda, con una carne di qualità non eccelsa che non ha sopravvissuto al secondo omicidio: una cottura davvero troppo, troppo lunga.

Siamo certi che sia stato solo un episodio infelice, il nostro. Conoscendo l’estro, la capacità e l’intelligenza del grande capo e la voglia spesso dimostrata di mettersi in discussione, siamo certi che raccoglierà queste nostre osservazioni come uno stimolo ed una serie utile di informazioni utili per migliorare.

Partendo, a dire il vero, da un servizio che invece è stato veloce, impeccabile, gentile e gioviale, seppur costituito in larga parte da giovani e giovanissimi che, con il sorriso sulle labbra, hanno sempre fatto sentire la loro presenza discreta.
Ripartiremmo da qui.

L’ingresso, con i quadri dei presidi di qualità della Puglia.
Osteria, Eataly, Puglia
Un bel biglietto da visita.
Osteria, Eataly, Puglia
Uno scorcio del piano terra.
Osteria, Eataly, Puglia
La stupenda vista dal piano superiore, direttamente sul lungomare di Bari.
Osteria, Eataly, Puglia
Un dettaglio della carta.
carta, Osteria, Eataly, Puglia
Le ottime patatine fritte.
patatine fritte, Osteria, Eataly, Puglia
La frittura, che non ci ha entusiasmato.
frittura, Osteria, Eataly, Puglia
Buone la ricottina, le mozzarelle fiordilatte e la burratina.
ricotta, mozzarella, Osteria, Eataly, Puglia
Primo alt deciso: le bombette.
bombette, Osteria, Eataly, Puglia
Secondo passo falso, il polipo.
polipo, Osteria, Eataly, Puglia
Il colpo di grazia, l’Hamburger.
Hamburger, Osteria, Eataly, Puglia