Quando si dice una partenza col botto.
Primi giorni di agosto.
Mentre una canicola infernale attanaglia il resto dell’Italia, a Milano incombe un settembrino clima uggioso. Il più famoso gruppo di hôtellerie asiatico ha inaugurato a Milano, da pochissimi giorni, il nuovo albergo della collezione, colmando quell’inspiegabile assenza nel mercato ricettivo del Bel Paese.
Posti turistici come Roma, Firenze o Venezia sarebbero stati la vetrina ideale: e invece si è scelto di puntare sulla città degli affari, della moda e del design, complice, ça va sans dire, Expo.
E tra ingenti investimenti, ripetuti slittamenti della data di apertura, la certezza di aver ingaggiato una corazzata di grandi cuochi e uomini di sala per garantire standard elevatissimi, è giunto finalmente il momento di Mandarin Oriental in Italia.
L’intera gestione dell’offerta gastronomica è stata affidata ad un cavallo di razza come Antonio Guida, seguito a ruota dal suo fidato Federico Dell’Omarino e dal grandissimo pâtissier Nicola Di Lena. Tre cuochi fortemente voluti, arrivati in blocco direttamente dal Pellicano che, dopo aver scalpitato ai box, in attesa del semaforo verde, sono tornati in pista per dire la loro nel mondo delle tavole che contano.
Eravamo certi che non ci sarebbero state grosse esitazioni o un problematico rodaggio.
La proprietà ha fatto le cose davvero in grande: ha preteso che tutto lo staff e i cuochi facessero plurime simulazioni durate più di un mese prima dell’apertura, al fine di familiarizzare con qualsiasi tipo di scenario, affrontando con serenità e pacatezza le più disparate situazioni.
Ecco, di tutto ciò eravamo al corrente, ma non immaginavano che si riuscisse a partire con il turbo.
Seta -si chiama così per celebrare un luogo importante, elegante, come il materiale di importazione più pregiato derivante dalla Cina, come “la via della seta” che, oltre ad assumere un’importanza commerciale, consentiva il movimento di uomini e idee tra Oriente e Occidente- è un ristorante già a pieno regime, che impressiona per qualità e tempistiche dei piatti serviti. Sembra che la brigata capitanata da Guida, nomen omen, sia stata trasportata con tutta la cucina dall’Argentario a Milano.
La cucina dello chef pugliese non ha neanche perso i connotati originali del Pellicano: uno stile sontuoso di matrice transalpina, con creme e salse di grande eleganza, che in tale contesto indossa una nuova veste, in quanto rivisitata ed arricchita da tocchi ed influenze orientali, degno omaggio alla compagnia di Hong Kong.
E il risultato è un intrigante intreccio di sapori di rara concentrazione che dall’Italia raggiungono mete internazionali.
L’uno-due dei primi piatti è da applausi a scena aperta: con gli spaghetti con barbabietola e crostacei al lime ed il raviolo di humus, cozze, peperoni e caprino il commensale va alla scoperta (o al ricordo) dei sapori primari di Thailandia e Turchia, collegati dal ponte della tradizione italiana (spaghetti e raviolo).
Con l’astice, il pollo, il petto di piccione e i grandissimi dessert sembra di star seduti in una grande tavola francese, ma accade tutto tra via Andegari e via Monte di Pietà. Nel cuore del quadrilatero della moda, in un blocco di tre edifici nobiliari uniformati architettonicamente (un lavoro grandioso).
La sala si sviluppa in lungo ed è disposta a ferro di cavallo con affaccio sul dehor esterno, di raro fascino ma anche sulla cucina. Una predisposizione in cui tutti vedono tutto. C’è anche una ulteriore sala in cui alti divanetti sembrano creare un effetto prive’, per un’atmosfera ancora più riservata e tranquilla.
La regia del servizio è affidata al giovane ma già esperto Alberto Tasinato, ex Berton ed altri trascorsi importanti alle spalle; ma sono tanti ad aggirarsi tra i tavoli, tutti bravissimi e parte integrante della esperienza nel suo insieme.
È troppo presto per assegnare un numeretto. Ma dalle nostre prime incursioni non abbiamo molto dubbi sul futuro di questo ristorante tra le grandi tavole italiane.
Piuttosto la sfida è un’altra.
Riusciranno Guida e suoi a contribuire all’ascesa di Seta nell’olimpo dei migliori ristoranti al mondo?
Noi siamo pronti a scommetterci.
Mise en place. Spiccano i piatti di Fornasetti e le stoviglie di Gio Ponti.
Da destra a sinistra, in una sequenza di incredibile concentrazione: sfera di parmigiano, financier agli spinaci, cialda al caprino e cozze fritte.
Un signor pane (di Altamura) fatto in casa.
Burro. Salato e in una eccezionale variante cremosa alle alghe.
Grissini sottilissimi.
Virgin mary: cetriolo, gambero, sedano e ostrica.
Cavolfiore con salsa al latte di mandorla, succo di yuzu e frutti di mare. Eleganza orientale e golosità italiana.
Astice blu arrosto (in verità è appena cotto), zabaione, capperi, patata affumicata e, ancora un tocco orientale, te matcha.
Spaghetti con rape rosse, carpaccio di crostacei al lime e un tocco di coriandolo. Persistente come non mai.
Da un’idea nata sulle spiagge turche durante l’apertura del Mandarin Oriental di Bodrum: raviolo farcito di humus, cozze, peperone e caprino. Da mangiare in un sol boccone (la farcia è liquida). Bontà ed equilibrio e una valanga di sapori mediorientali.
Un classico: petto di pollo ficatum con crema di cannellini alle alghe e raviolo di garusoli.
Petto di piccione affogato con foie gras spadellato, caffè, salsa di foie gras e raviolo di ananas, lime e mango a ripulire.
La batteria dei dessert parte con lo splendido parfait alla mandorla con gelato al pepe Timut e salsa di litchi e fragola.
Soufflè all-bran (ricordate i cereali della Kellog’s?).
Accompagnato da albicocca caramellata ed un gelato al latte condensato.
Ananas arrosto con salsa al frutto della passion e gelato allo zenzero. Buonissimo.
I petit fours.
I vini degustati.
Tavoli.
L’insegna.