In un paese come l’Italia, campanilista per eccellenza, la territorialità gastronomica non è certo un elemento accessorio cui approcciarsi superficialmente, piuttosto una parte imprescindibile del lavoro di molti chef, un vero e proprio prisma capace di emanare riverberi di colore dalle mille sfumature diverse.
Lucio Sforza ne cattura alcune di esse e le offre con sapiente abilità a Roma dove, da tempo, ha spostato la sua piccola ambasciata orvietana, prima alle spalle della Nomentana e poi, dal 2011, in due salette nei pressi di via nazionale, in pieno centro cittadino.
Il riferimento all’orvietano e a quella zona a cavallo tra le provincie di Viterbo e Terni è utile a definire ulteriormente il suo presidio romano; la vigoria, spesso a base di pepe e generoso uso dell’olio, tipiche della regione umbra, viene qui decisamente temperata e accompagnata da una maggiore attenzione alla composizione del piatto.
L’elenco delle vivande è manifesto di una rassicurante aderenza a ricette familiari e conosciute, un solido baluardo della tradizione circoscritta a un ben definito territorio; il tocco applicato alla caratterizzazione delle stesse è alquanto gentile e non indulge nei pesanti rilievi di cui sopra che facilmente potrebbero alterare il godimento delle stesse soprattutto a livello postprandiale.
E allora ecco che, oltre a cotture come si deve, soprattutto delle carni, l’attenzione non può non cadere su accompagnamenti molto appropriati come una salsa al lampone che guarnisce molto felicemente il fuso d’oca o la suprema di peperoni che rifinisce e completa in modo delicato l’ottimo baccalà, piccoli particolari che delineano molto bene la validità della cucina.
Certo, non tutto segue la medesima falsariga, vedi l’emulsione di rucola e acciughe che riveste lo stinco o la salsa speziata che viene servita con le lumache, entrambe non proprio dotate della stessa eleganza, anche se altrettanto capaci di non far venire meno la golosità dei due piatti.
Buoni anche i dolci che permettono una chiusura adeguata al pasto e denotano una non trascurabile diligenza nella loro preparazione, specie nel tiramisù, dove il pane sostituisce in modo molto convincente i savoiardi arricchendo una ricetta classica altrimenti ritenuta rigorosamente blindata.
Interessante la carta dei vini, non ricchissima ma coerentemente concentrata sulle regioni dell’Italia centrale, dove scegliere una buona bottiglia a prezzi ragionevoli non rappresenta certo un’impresa.
Mise en place
Amuse bouche: crema di fave e pecorino con zuppa di cavolfiore
Lumache in salsa piccante e finocchietto
Pappardelle con ragù bianco di fegatini d’anatra al vin santo
Fettuccine con pesto di asparagi, carciofi al cartoccio, noci e fichi secchi.
Baccalà con cipolle e uvetta su crema di peperoni
Fuso di oca stufato ai lamponi con friggitelli
Stinco di maialino brasato con emulsione di rucola e acciughe e cipolla al cartoccio
Tris di dolci ( serviti contemporaneamente): tiramisù di pane, riuscita versione del classico tiramisù con il pane che sostituisce i savoiardi, bavarese di ricotta e bacche di gelso con lampone e meringhe e buon budino di salvia e zabaione.
A proposito di territorio…
Interno