Passione Gourmet Maggio 2015 - Passione Gourmet

Maison du Colombier

Quale sarà la ristorazione del futuro?
Potremmo parlare delle ore di questo argomento ed ognuno avrebbe una propria tesi.
C’è chi profetizza la fine della grande table, delle maison dai conti stellari, delle brigate kilometriche, delle cantine ricolme di gran cru, a tutto vantaggio dei locali informali, dei cuochi da “one man show”, della sostanza senza grande cura della forma.
Di sicuro, c’è più di qualche ristoratore che, col tempo, di quella vita tutta sacrifici che caratterizza un ristorante dalle grandi ambizioni, ha capito di non farsene granché. Per dirla in maniera popolare: “era più la fatica che il gusto.”
A questo deve aver pensato anche Roland Chanliaud, dopo una vita passata al “Le Jardin des Remparts”, noto ristorante del centro storico di Beaune.
I due servizi al giorno, la gestione della brigata, i fornitori, le guide: no, no, basta così.
In fondo, il 90% delle persone che viene in Borgogna, non ci viene certo per il cibo.
La Maison du Colombier è il risultato di questo cambio di vita.
Tre piccole sale, una mini cucina a vista, una lavagna del giorno frutto di una classica cucina du marché, tanti stuzzichini e tapas da scegliere per accompagnare una delle grandi bottiglie presenti in cantina. Proprio la carta dei vini è il motivo più valido per prenotare il vostro posto qui: una lista sterminata, con quasi tutti i grandi nomi di Borgogna; la profondità di annate non è vastissima (ma dove lo è più a Beaune?), ma dagli anni 2000 in poi si trova tutto il meglio possibile.
Se volete stare più comodi, al momento della prenotazione chiedete l’ultima saletta, dove potrete accomodarvi su comodi divani.
Le tapas sono tutte buonissime, frutto di ingredienti di alta qualità selezionati in maniera impeccabile: il nostro consiglio è di concentrarvi soprattutto su queste.
I piatti del menù sono molto meno interessanti, un po’ troppo pasticciati e confusionari.
Nella bella stagione, c’è anche la possibilità di mangiare all’aperto.
Un locale divertente, dove si sta bene e si beve anche meglio.
Una tappa da non perdere nel vostro tour in terra di Borgogna.

Pata Negra.
pata negra, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Tartina con ventresca di tonno.
tartina con ventresca di tonno, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Tartina con minisardine, burro e limone.
tartina con minisardine, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Tartina con sgombro affumicato al pepe.
tartina con sgombro affumicato al pepe, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Tartina con foie gras e gelatina di idromele.
tartina con foie gras, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Chipirones.
chipirones, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
3 uova bio a 63°.
uova, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Risotto Acquerello al pomodoro e olive taggiasche.
Risotto, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Tête de veau e patate.
Tete de veau, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Elegante ma possente, delicato ma profondo: come un foulard di seta, ti avvolge stordendoti. Un capolavoro assoluto.
Chevalier montrachet, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Chambertin 2008, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
leflaive, Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia
Maison du Colombier, Chef Roland Chanliaud, Beaune, Francia

Claudio Santin è uno chef già conosciuto alla Cassolette di Morgex, alcuni anni or sono. Poi una piccola parentesi al Piccolo Lago di Mergozzo e ora qui, nel suo ristorante, in un paese sempre avaro di buone proposte. Claudio, cuoco di talento e tecnica invidiabili, ha sistemato un vecchio punto di ristoro lungo la direttrice Novara-Arona e ne ha fatto il suo buen retiro, allietando i palati di questa zona dell’alto novarese un pò bistrattata.
La partenza non potrebbe essere più incoraggiante.
Sprazzi e lampi di tecnica sopraffina si alternano a preparazioni necessariamente più banali e dalla linea iper semplificata. Conoscendo il mestiere, lo chef, con un numero ridotto di aiuti in cucina ed in sala, non vuole giustamente prendersi troppi rischi. Ecco quindi sviluppata una carta con preparazioni corrette e molto centrate, porzioni abbondanti (forse fin troppo) ed alcuni eccessi di sapidità che ci fanno capire come e quanto la clientela locale risponde alla ristorazione di qualità.
Ma Claudio ha le carte per osare e intraprendere una strada molto più ardita di quella attualmente percorsa. Il risotto peperoni e zafferano, come la salsa bernese di quel fantastico filetto ed infine l’eterea purea di sedano rapa e strisce di daikon che accompagnano un salmerino comme il faut fanno più che intuire le capacità, la tecnica e i mezzi di questa cucina.

Ma, giustamente piegato alle logiche di mercato, troverete in questo ristorante una serie di proposte, a prezzi a dire il vero encomiabili, che vi faranno trascorrere una piacevole cena (o pranzo), accompagnati da un servizio, forse un pò in affanno a locale pieno, ma sempre cortese e attento, e da una carta dei vini stringata ma tutt’altro che banale.
Probabile vezzo dello chef, che ci ha incuriosito e intrigato non poco, la bellissima selezione di gin e toniche per una preparazione che è ormai un classico nelle cucine di qualità.

L’ambiente, risistemato e reso più moderno e accogliente, risente ancora di qualche limite strutturale, legato alla vetustà del luogo. Ma un grande plauso, un in bocca al lupo e tanti tantissimi auguri ad un ristorante che ci auguriamo dimostri presto tutte le potenzialità che, non dubitiamo, il suo staff ha nelle corde e nelle mani.

Formaggio e pomodoro confit, l’apertura.
Formaggio e pomodoro confit, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Mozzarella e 3 pomodori, preparazione semplice, elementare ma gustosa. Forse troppo abbondante la porzione.
mozzarella e tre pomodori, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Ottimo risotto allo zafferano, peperone rosso e alici.
risotto allo zafferano, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Mattonella di ravioli al magro, pomodoro e cipolle. Una mattonella, in tutti i sensi.
mattonella di ravioli al magro, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Spaghetti alla carbonara sotto e sopra. Ottima la salsa all’uovo sul fondo, ben montata. Forse un leggero eccesso di sapidità impedisce di raggiungere la perfezione.
spaghetti alla carbonara, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Patate, seppie di porto Santo Spirito e pomodori confit. Ottima, anche se un po’ sapida, la Parmentier, fresche e ben cotte le seppie.
patate e seppie, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Ottima la purea di sedano rapa, daikon a strisce e salmerino croccante.
purea di sedano rapa, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Braciola di grigio di Danè (ottimo maiale semibrado).
braciola, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Perfetto il filetto nappato alla salsa bernese e patate schiacciate.
filetto tappato, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Panna cotta al timo e fragole fresche.
pannacotta, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio
Hamburger e patatine. Patatine di ananas, parfait alla crema e cioccolato e salsa ai lamponi. Una trasposizione in dolce di un classico del fast food, interessante.
Hamburger e patatine, 3UNO Ristorante, Chef Claudio Santin, Oleggio

La forma: la compostezza ed il rigore di un kaiseki.
La versatilità: gli intriganti sapori ancestrali e l’incredibile biodiversità del cibo peruviano.
È una ”unione” perfetta tra due culture agli antipodi. Purezza da un lato, generosi condimenti e diversi comprimari dall’altro. Parliamo naturalmente della cucina “nikkei”, una delle più in voga oggi.
Pakta, la più rappresentativa tavola a tema dei fratelli Adrià, è probabilmente il miglior ristorante in Europa a proporre questo tipo di cucina.
Il menu Machu-Picchu, il più esaustivo tra gli unici due percorsi proposti, ha due anime. Si apre con assaggi all’insegna della pulizia e dell’estetica degli ingredienti e poi vira, fino a straripare nei colori vivaci, nei profumi e nei sapori pungenti, aggressivi e aromatici del Sudamerica, domati e controbilanciati con intelligenza e bravura.
Rispetto all’altrettanto divertente Tickets, in cui il connubio tra ingredienti e sapori è altrettanto studiato, al Pakta la combinazione dei prodotti presenta un coefficiente di difficoltà decisamente più elevato, considerata la tassatività di dover utilizzare, per la causa, i prodotti peruviani più rappresentativi, come i peperoncini, le patate, la cipolla, il mais, la manioca, il platano, senza però tralasciare i crismi della filosofia estetica, naturale e cerimoniale del kaiseki.
Un paio d’anni fa ci colpì parecchio il fascino di questa fusione di culture gastronomiche, nonché l’incredibile cifra tecnica con la quale veniva messa in pratica. Non un boccone che presentasse difetti, banalità o déjà vu, ad eccezione di alcune tecniche “made in elBulli”, comunque marchio di fabbrica di quello che, per noi, è uno dei più geniali e prolifici cuochi in circolazione.
Albert Adrià con i suoi nuovi progetti ha dimostrato di essere una mente brillante, anche sfuggendo dall’ombra del sommo fratello, attualmente impegnato su altri tavoli, più teorici. Del resto, come ha affermato l’ex sommelier Kristian Brask Thomsen a proposito di Albert Adrià e del Pakta, inserito da Forbes nella stretta cerchia dei 12 posti più “cool” dove mangiare nel 2015: “quell’uomo può prendere qualsiasi cucina e farla sua”.

A distanza di due anni dalla prima visita, i ricordi e le aspettative sono stati confermati, con un percorso quasi tutto nuovo con il quale abbiamo scoperto numerose tecniche o condimenti giapponesi di epoche antiche.
La struttura del menù non è mutata rispetto al passato, sebbene le composizioni differiscano integralmente in base alle stagioni. Jorge Muñoz e Kyoko Li sono a loro agio nell’interpretare le rispettive cucine, peruviana e giapponese, e approfondire l’aspetto creativo, innestando la materia prima locale in piatti che restino quanto più aderenti alla tradizione. E il risultato è sempre sorprendente.
La declinazione in stile street food sul pollo, con il “sanguchito” con maionese di “aji amarillo” e i gyoza piastrati, in una manciata di morsi ti porta da Lima a Kyoto. Parimenti il “calçots” (cipollotto) in tempura da intingere in una salsa romesco o il Gindara “añejo”, un baccalà nero, il cui intenso sapore resta integro al cospetto di miele di carruba, puré di patata, peperoncino giallo e cipollotto, offrono continui rimandi all’Asia e all’America con un’alternanza senza soluzione di continuità.
Abbiamo trovato interessantissimi anche gli abbinamenti di cocktail, birra, vini, sakè e the, studiati con l’obiettivo di allungare il sapore di molte portate.
E visto che, come spesso accade a questi livelli, trovare un pelo nell’uovo diventa una sfida, nel caso del Pakta può essere messa in discussione la politica, o meglio la “cortesia”, di dover avvertire i camerieri ogni qual volta si ha la necessità di dover allontanarsi dal tavolo per le più disparate esigenze. Più di trenta assaggi vengono infatti serviti con ritmi tutt’altro che biblici, ma per consentire che tutto ciò sia possibile, il maître, prima di avviare le danze, vi avvertirà di questa circostanza per poter interrompere le tempistiche della macchina della cucina.
Può essere un problema? Decidete voi.

Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
La postazione per sushi e crudità. Chiedete un posto al bancone per apprezzare la gestualità dei cuochi.
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Il menu si apre con il Pisco Sour,con lime, zucchero e albume montato.
Pisco sour, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Come da tradizione giapponese: Honzen Ryori, composto da:
Tofu di avocado con ricci di mare;
Tofu di avocado con ricci di mare, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Vongola con salsa al tamarindo e alga nori;
Vongola con salsa al tamarindo, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Insalata di olluco (un tubero peruviano) con piselli, brodo di fagioli e kimchi;
Insalata di olluco, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Manioca croccante con salsa “huancaina” (fatta con una varietà di peperoncino piccante, latte, olio e formaggio fresco);
Manioca croccante, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Kumquat con gelatina di “leche de tigre” e daikon con “ajì amarillo”;
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Il primo sakè servito è il pluripremiato Dewazakura Dewano Sato.
Sakè, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Viene grattugiato del wasabi cristallizzato sulla stracciatella di yuba con tartufo nero.
Wasabi cristallizato, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Si tratta di una pellicola ricavata dal tofu. Piatto neutro che sarebbe stato perfetto con un tartufo più profumato.
tartufo, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Sashimi vegetariano di abalone (fungo ostrica).
sashimi vegetariano, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Urakasumi Zen.
Urakasumi, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Un sakè servito freddo.
Sakè, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Temaki di tonno, sichimi (tradizionale mix di spezie tipica delle cucina giapponese) e riso tostato. Il cono croccante è ottenuto bagnando l’alga nori in salsa di soia e zucchero e poi messo nell’essiccatore.
Temaki, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Il duo:
riccio di mare e chips di patata, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Chips di patata con crema di tartufo nero;
chips di patat con tartufo nero, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Riccio di mare con salsa ponzu.
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Usuzukuri di branzino tagliato sottilissimo con yuzukosho (una pasta fermentata fatta con peperoncino, scorze di yuzu e sale).
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I fantastici Nigiri:
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Seppia con salsa “acevichada”. Favoloso boccone.
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Tonno marinato nello Zuke, una antica tecnica risalente alla metà del XIX secolo con la quale veniva preservata la parte grassa del tonno (ventresca) al momento in cui il colore rosso iniziava ad ossidarsi. Il pesce viene immerso per pochi secondi nel “nikiri shoyu”, una miscela fatta da salsa di soia e sakè, portato ad ebollizione, e poi tuffato in acqua fredda. Quindi riportato a temperatura ambiente e lasciato riposare per mezz’ora, per poi essere tagliato. Secondo il mitico Jiro Ono lo Zuke dona l’umami ed arricchisce il sapore del pesce.
Tonno, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Eccezionale zenzero marinato.
zenzero, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Chicha Sin, un soft drink peruviano fatto con il mais viola.
China sin, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Il fantastico cheviche invernale: paradigma della cucina nikkei. L’equilibrio fatto a piatto. Un gioco di contrasti terreni tra l’ingrediente giapponese (fungo shitake), quello peruviano (mais croccante e crema di patata) ed il freschissimo branzino locale. Davvero eccellente.
Cheviche, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
La Causa:
Causa, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Calamaretto, salsa all’ostrica e lime con “mentaiko”, ovvero uova di branzino marinate con elementi piccanti.
Calamaretto, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Pollo fritto e “huacatay”, una maionese alle erbe (tipiche del Perù).
Pollo fritto, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Una eccellente IPA olandese, Amarillo del birrificio De Molen. Si sposerà a meraviglia con…
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
…la variazione sul pollo tra Perù e Giappone.
Il “sanguchito” di pollo grigliato. Un tipico sandwich dello street food peruviano, servito con maionese di ajì amarillo si alterna..
sanguchito, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
..ai fantastici gyoza con pollo stufato, in uno dei passaggi più entusiasmanti del menu. Un piede a Lima ed uno Kyoto.
Gyoza, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Si passa alla tempura. In questo caso si tratta del “calçots”, un cipollotto autoctono, da intingere nella salsa romesco.
tempura, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Chulpe soba. Ancora una volta una concretissima fusion: gli spaghetti sono di mais
Culpa, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
e la salsa è fatta con soia, limone e olio al coriandolo.
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Piatto da autopreparare al tavolo.
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Per finire: ceviche amazzonico. Un piatto caldo, con il pesce cotto velocemente dentro la foglia di banana. La croccantezza finale viene dagli arachidi tostati. Grandissima variante invernale del famoso piatto peruviano.
ceviche, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Un buon Gewurztraminer austiaco Nikolaihof accompagna il…
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
…Gindara “añejo”. Altro piatto di grande equilibrio.
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Il piatto principale di carne: costata di vacca galiziana con polvere di “grigliata”. Nella sua semplicità, favolosa materia prima e grandissima cottura.
carne, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Un altro piatto popolare giapponese. Il “Furofuki”, ovvero un daikon bollito con alga kelp e miso, con crema al foie gras. Un sorbetto più dolce che acido.
Furofuki, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Per i dessert, si riparte da dove si è cominciato: Honzen Ryori.
dessert, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Nel dettaglio, Meringa allo yuzu;
Meringa Yuzu, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Sandwich di mango;
Sandwich mango, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Mochi con more selvatiche e panna;
Mochi, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Flan alla salsa di soia;
Flan, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Tronco di cannella con crema al mais.
Tronco, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
A chiudere i golosissimi “ningyo-yaki” alla crema di banana;
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Piccola pasticceria: wild quinoa al cioccolato;
piccola pasticceria, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Ultimo abbinamento: Umeshu Choya, liquore di Ume (una prugna giapponese);
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Pakta bonbon al the verde e yuzu. Eccellenti.
bon bon, Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona
Pakta, Chef Albert Adrià, Kyoko li, Barcelona

Come si diventa un classico?
Sembra impossibile associare il concetto alla cucina di Piergiorgio Parini, tanto è libera, originale, sorprendente.
Eppure sempre più spesso, girando per gola, non solo in Italia, ci s’imbatte in richiami, suggestioni, echi che hanno un’origine chiara nel lavoro di questo chef prezioso per la cucina italiana.
In questi quasi dieci anni passati al Povero Diavolo si sono prodotte, senza esagerare, migliaia di piatti, talvolta rimasti in carta lo spazio di un cenone di capodanno quando altrove avrebbero fatto la fortuna per lustri dello chef che li avesse proposti.
Una cucina sempre stimolante e mai prevedibile, bella a vedersi, buona e sana, realizzata senza sforzi da quello che gli americani direbbero un “natural”, un cuoco per cui inventare è come respirare.
Il fatto poi che sia offerta in un luogo semplice, poco incline alle lusinghe e allo sfoggio come il suo patron, Fausto, burbero buono, equilibrato dal tocco gentile di sua moglie Stefania, ne fa una di quelle singolarità italiane che andrebbero esaltate ovunque.
Ogni portata è una festa per il gourmet, perché ci sarà sempre almeno un passaggio impensato, un ingrediente da scoprire, una pista aperta da percorrere; e qualche fugace accostamento meno riuscito, rovescio della medaglia inevitabile di tanta originalità, si dimentica volentieri perché qui non richiederete certezze ma lo stupore che vi strapperà più di un sorriso.
La nostra prima visita dell’anno è in primavera, e il menù lasciato alla libera mano dello chef ha contato, su quindici piatti, non meno di quattro passaggi da fondo scala.
A un avvio un po’ in sordina, con gli amuse-bouche che, a parte il cipollotto, non lasciano traccia, è seguita una brusca impennata con un succedersi di primi (un “tris”, per richiamare una pratica criminosa dell’offerta gastronomica nostrana, anzi un poker) che non sarà facile dimenticare e che spazia dalla pasta secca, al riso, alla pasta ripiena, al grano, sempre dando sfogo a un estro magico. Solo il gusto personale ci può far preferire i tortelli di faraona, a cui abbiamo dato l’onore della copertina, perché coniugare golosità con giochi di consistenze, contrasti che ti farebbero tornare a gustare mille e mille volte è impresa da segnalare.
E i secondi sono rimasti sullo stesso livello, con un solo passaggio a vuoto, la salsiccia di capra con lumache, in cui l’incontro tra i due elementi principali non è riuscito, controbilanciata da un piccione ancora nuovo rispetto ai tanti provati da queste parti e ancora da applauso.
Dolci non di scuola, mai ruffiani e mai gratuitamente provocatori, che non inseguono tendenze: il dolce non dolce qui si è proposto prima e meglio che quasi ovunque, insieme al dolce-dolce se serve. E se non ci sono interpretazioni dei classici per mostrare la sapienza della mano, non è detto che non vi siano domani, ma per scelta e non per moda.
Per la proposta enoica, senza lamentarvi di una carta che ha di sicuro delle rivali più corpose in giro, il consiglio è di lasciarvi suggerire dal patron: se la cucina è di quelle che sembrerebbe dare ragione a Marchesi e invitare a pasteggiare ad acqua per non essere distratti, Fausto Fratti saprà invece sorprendervi con bicchieri di grande originalità, spesso sul versante “naturale”, ma anche qui per scelta consapevole e ragionata, in quanto ottimi partner delle proposte di Parini. Nel nostro caso il Fricandò, Albana dell’azienda Al di là dal Fiume e l’ottimo Bianco dell’Armonia della Tenuta l’Armonia hanno svolto egregiamente il loro mestiere.
Un luogo del cuore, del quale vi racconteremo spesso nel corso dell’anno.

Mozzarella doppio latte, mandorla, finocchietto, erbe. L’avvio un po’ in sordina, la mandorla vince sulla mozzarella e il tutto non appassiona
Mozzarella, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Mazzancolle alla griglia, asparagi, limone, dragoncello, spinacio. L’asparago se non è il migliore mai provato ci manca poco; mazzancolla buonissima ma, ancora, non siamo sui livelli stratosferici cui questa tavola ci ha abituato.
Mazzancolle, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Grongo alla brace, crema di piselli, piselli, rapa bianca marinata al Martini, foglia di acetosa. Un primo scatto in avanti, con un pesce difficile. E la rapa marinata al Martini urla “Parini”…
Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cipollotto, fegato di merluzzo, ginepro fermentato, foglia di cappero sotto sale. Eccolo il fuoriclasse: contrasti inusitati (ci aspettiamo capperi e fegato in giro per lo stivale…) e risultato finale da applauso.
Cipollotto, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Linguine, brodo di paganelli, polvere di tiglio. Un saggio sul concetto di persistenza e la dimostrazione di quanto la grande cucina può, anche, essere gradevole in prima lettura, perché sfidiamo a trovare una forchetta che non mangi volentieri un piatto così.
Linguine, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Riso (vialone nano), stridoli, semi di cumino, polvere di luppolo, di felce, di sumak. Un tassello ulteriore a una storia di risotti lunga e felice, al Povero Diavolo. Mille sapori e sensazioni che si abbracciano e si respingono in successione, un piatto dinamico come un Amoureuses di un grande autore, con cui giocare per un paio di minuti felici.
Riso, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Tortelli (la pasta è fatta con farina d’orzo) di faraona, ristretto al melograno e riso. 20/20, potrebbe essere un classico della cucina italiana degli anni ’10 del secolo e magari tra un mese sparirà…
Tortelli, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Grano spezzato mantecato con burro affumicato, Squacquerone, cialda di stridoli e borragine, fiori di borragine, polvere di erbe e orzo. Bello, buono, ludico. Cosa chiedere alla cucina contemporanea oltre questo?
Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Spiedo di lumache, salsiccia di capra, rapa rossa, polvere di pioppo. Sì, si può scivolare, anche da queste parti. Di sicuro la salsiccia è troppo secca perché funzioni, nonostante l’intingolo da leccarsi i baffi.
spiedo di lumache, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Animella con “polenta alla saba” (Parmigiano, pane e saba). Piatto da grande table con tocco di italica gourmandise, la “polenta” è da gaudenti padani.
animella, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Kiwi e nervetti (anche soffiati a popcorn). Peccato esserci arrivati solo a fine cena a un piatto così, perché rendere questa materia gradevole a uno stomaco già un po’ saturo è impresa ardua. Bel lavoro del popcorn nel dare consistenza che contrasta e alleggerisce il boccone.
kiwi e neretti, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Piccione, rafano, ciliegie (candite e poi sotto aceto), capolini di piantaggine (“Plantago lanceolata”), crema di fegatini. Qui c’è tutto lo chef: il piatto da tristellato, riplasmato per farlo nuovo, non stucchevole, ricco di slancio.
Piccione, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Ricotta (a base di latte di mucca e capra; viene sifonata e appena montata), sesamo nero e mandarino (anche scorza in polvere). Per chi scrive, portentoso: ricotta trattata al meglio, il sesamo è un tocco di genio che porta il piatto, apparentemente visto mille volte, su strade non battute.
ricotta, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Nespole, alloro, polline fresco. Mano inconfondibile e combinazione “pariniana” quanto altre mai.
Nespole, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cioccolato di sorgo, kiwi candito e cipresso. Sfoggio di tecnica stravolgente che pare abbia stregato anche Genin. I più golosi tra voi continueranno a pensare che il cacao sia più adatto a farne cioccolato, ma se c’era bisogno di ribadire quante idee ci sono da queste parti ecco il dolce ideale.
Cioccolato, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana

Voglia di una buona pizza a Londra?
…e perché ridete? Possibilissimo, invece.

Non è questione di campanilismo, né il voler fare “gli italiani a tutti i costi”, con quella compulsiva e un po’ ingenua ricerca di “un piatto di pasta” all’estero… questo perché la pizza in questione è quella di Franco Manca, una serie di insegne di pizzerie londinesi di qualità, con “…di qualità” da leggere non con accento british ma in chiave nostrana, ovvero un luogo in grado di conciare per le feste il 95% delle pizzerie poste sul suolo italico.
Quindi non un nostalgico surrogato o una libera interpretazione, ma una pizza napoletana fatta come si deve, capace di fare bella figura anche se confrontata non solo con la “pizza” in generale, ma anche con le nostre migliori espressioni.
Tredici locali sparsi per la città, a partire dal locale storico del popolare Brixton Market, ed una carta grossomodo simile per tutti quanti, composta da 6/7 proposte fisse più un paio di pizze settimanali a rotazione sulla lavagna.
Noi abbiamo visitato la sede di Tottenham Court Road, ma il format è pressappoco il medesimo per tutte quante: ingredienti di buona qualità media, un occhio alla stagione, lunghe lievitazioni, forno a legna, giusto manico in cottura.
Tavoli piccoli ed essenziali, una spartana tovaglietta, secchiello delle posate in centro ed acqua microfiltrata gratuita. Nessuna bibita disponibile, ma succhi di frutta autoprodotti, qualche birra, qualche vino.
Preparazione e servizio rapidissimi, i pizzaioli (italiani, così come le cameriere) sono numerosi e anche a locale pieno, non passa più di un quarto d’ora dall’ordinazione alla pizza.
Cornicione ben lievitato, ottima cottura. Nessun affaticamento, appesantimento, e digestione senza preoccupazioni.
Marinara a 4.50£, la pizza più cara a 6.95£, caffè (di Gianni Frasi!) a 1,50£. Difficile spendere più di 10£ a testa, in centro a Londra.

No, non è provincialismo cercare una pizza all’estero, ma lo è indubbiamente credere ottusamente di essere sempre i migliori, a tutti i costi.
Senza dubbio le espressioni più alte in fatto di pizza sono sul nostro territorio, questo è fuori discussione. Deve però certamente far riflettere, non solo a livello meramente qualitativo ma soprattutto a livello imprenditoriale, il successo di un’idea “cut&paste” capace di replicare il format svariate volte, e in grado di mantenere ogni volta prezzi bassi e alta qualità, tutto questo all’estero, quando in Italia le collaborazioni con pizzaioli di grido riescono a mantenere i livelli di qualità giusto il tempo di una (lunga) lievitazione…

…perché non ridete più, ora?

Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London
“Tomato, mozzarella, basil”: ovvero, la Margherita.
pizza, Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London
Prosciutto cotto artigianale di Gloucester, mozzarella, ricotta di bufala, funghi (poco pomodoro).
Pizza, prosciutto, Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London
Lo spartano tavolino.
tavolino, Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London
Un eccellente espresso, della torrefazione Giamaica caffè.
caffè, Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London