Da circa dieci anni Yoshiaki Takazawa si è ritagliato, nella formidabile offerta gastronomica della capitale nipponica, uno spazio la cui rilevanza è inversamente proporzionale alla dimensione del locale. Uno spazio minimo, per 8 fortunati (all’inizio, quando il ristorante si chiamava Aronia di Takazawa, erano addirittura 4), che è pero visibilissimo su guide, riviste specializzate e sulla bocca di tanti appassionati.
La spiegazione è presto data: Takazawa propone una cucina molto personale, di impostazione occidentale ma con ingredienti e precisione della tecnica tutti locali e indirizzati alla perfezione del risultato finale. La massima espressione possibile dell’idea di “fusion”, purtroppo frequente lasciapassare per superficiali commistioni di idee di cucina mal comprese.
Niente di tutto ciò da queste parti: nulla è lasciato al caso, la ricerca della materia prima è maniacale, la capacità del cuoco è sopraffina e, almeno in parte, trasparentemente mostrata perché lo chef cucina in larga parte su un proscenio splendidamente illuminato.
L’offerta è fatta di diversi menu degustazione, più o meno estesi, tutti contenenti la data di creazione dei piatti, abilmente combinati per offrire una combinazione dei classici della maison e delle novità.
Non c’è un solo passo falso e ci sono alcune vette che resteranno a lungo nella memoria, per intensità dei sapori e loro armoniosa combinazione; un luogo, dunque, sicuramente capace di dare gioia a ogni appassionato.
Basterebbe la paradigmatica ratatouille, in carta da sempre e già descritta anche da queste parti nella precedente visita, o lo scenografico maccarello affumicato a dare testimonianza del livello di finezza proposto. Fa piacere, però segnalare l’omaggio al mediterraneo nel folgorante vegetable parfait: un delizioso, delicatissimo, gazpacho sormontato di spuma di mozzarella al parmigiano, salsa al basilico, caviale e foglia di basilico fritta.
Se proprio ci si deve sforzare di trovare un limite a un ristorante di questo livello è nel contesto in cui si colloca la proposta. Tokyo è una città dove non basterebbero dieci vite a sperimentare tutte le meraviglie della cucina giapponese che vi viene proposta; Takazawa è, probabilmente, la meno giapponese delle grandi tavole che abbiamo avuto la fortuna di provare da queste parti e la più vicina, per molti aspetti, a esperienze accessibili più facilmente in Europa.
Il servizio, affidato a madame Takazawa è esemplare per cortesia, calore e, raro da queste parti, per il buon inglese utilizzato nella descrizione dei piatti.
Il commiato alla porta, con chef e signora che ringraziano come da tradizione locale è piacevolmente malinconico, pensando alle due ore di serenità e piacere appena passati e alla distanza da casa di questo luogo di civiltà.
PS: a pochi passi dal ristorante, non perdete le delizie della pasticceria Libertable del bravissimo Kazuyori Morita, degna di paragone con i grandi transalpini: valgono il viaggio in questo bel quartiere, quale che sia la zona di Tokyo in cui vi troviate, anche se non avrete trovato posto da Takazawa…
Ostrica di impressionante qualità, con spuma al limone.
Primo amuse-bouche: minestra, ottenuta dalla sferificazione delle tre componenti, da mangiare in un sol boccone.
Lecca lecca di provolone gratinato: il “provolone” è in realtà proveniente da una fattoria dell’isola di Hokkaido, di proprietà di un produttore appassionato della nostra specialità
La deliziosa ratatouille, boccone da re.
Un po’ di pane e grasso di maiale per placare la fame in attesa del prosieguo.
Il piatto della serata: vegetable parfait.
Potato and butter: la ricostruzione di una patata in una pasta di pane ripiena di patata al burro e tartufo; gourmandise chic.
Bouillabaisse: rilettura in salsa locale del classico marsigliese, intensissima nel sapore anche se meno bella del resto.
Nanakusa: la rilettura di un classico locale. 7 erbe, che ci parlano dell’arrivo della primavera, in fogge e presentazioni diverse, abbinate a un delizioso maiale (anche il maiale in Giappone ha una classificazione legata alla qualità, e questo era del primo livello della classificazione stessa).
Special Camembert: in realtà una eccellente cheese cake, accompagnata da una fragola dall’intensità di gusto trovabile solo da queste parti. Molto buono ma tutto sommato un esercizio di stile.