Marcello Trentini è ancora percepito, dal comune sentire gourmet, come un giovane chef.
Non traggano però in inganno i dreadlocks orgogliosamente portati o l’arrivo, in tempi relativamente recenti, dei giusti riconoscimenti alla sua cucina, perché Il tassametro corre e dirà quarantaquattro nel 2015, per Mister Magorabin. Che qui a Torino, a pochi passi dalla Mole, officia da ormai dodici anni insieme a Simona Beltrami, compagna di vita, sommelier e creatrice di una carta dei vini di buona ampiezza e facile accessibilità.
L’unica sala, ristrutturata da meno di un lustro eppure prossima, ci viene detto dallo staff, a vedere un ulteriore radicale restyling, è raccolta ed assai illuminata. Ne soffrirà forse la coppia in cerca d’intimità ma di certo non chi, come noi, ha l’abitudine di fotografare i piatti.
Lo chef ha lavorato parecchio, nel corso degli anni, per far convivere gomito a gomito la propria vena più spregiudicata e personale, fatta di contaminazioni continue fra mare e terra e di corse sulla cresta di confine fra i diversi gusti, con la rotondità dell’amata cucina torinese, doverosamente omaggiata con varie proposte tradizionali in carta e un menu dedicato.
Il risultato, al di là dell’ampia possibilità di scelta, finisce così per essere, anche nei momenti più arditi, quasi sempre in direzione di una piacevolezza inattesa, in cui gli spigoli risultano regolarmente smussati rispetto alle aspettative create dall’elenco degli ingredienti. Da segnalare l’abbondante utilizzo di elementi ludici (v. le Pringles nell’aperitivo di benvenuto) che rendono la cucina del Magorabin anche divertente, oltre che indubbiamente gradevole.
Data carta bianca alla cucina, lo chef ha ripagato la nostra fiducia proponendoci un percorso di ampio respiro, comprendente numerosi fuoricarta ancora in fase di collaudo, che ha evidenziato una volta di più la spiccata fantasia di Trentini, che specialmente nell’utilizzo dei crostacei crudi ha dimostrato nel corso degli anni una pressoché inesauribile vena creativa. In generale abbiamo trovato la concezione dei secondi un po’ troppo simile a quella degli antipasti; il percorso a noi proposto si è rivelato così più in progressione di temperature che di intensità e ha finito per mostrare un po’ la corda negli ultimi passaggi. Va ribadito, però, come questa fosse una traccia sperimentale (e assai più lunga del più ampio dei menu previsti in carta) e come queste considerazioni vadano perciò circostanziate alla nostra esperienza.
L’ampio benvenuto dalla cucina in accompagnamento all’eccellente Americano maison (in apertura): Amsterdam, con panbrioche, aringa e cipolla marinate all’aceto di riso, bufala affumicata, polvere di Pringles.
Waffle, cime di rapa, crema di grana, crudo disidratato e scalogno candito.
Chicharron&ceviche: cotenna di maiale soffiata,ceviche di capasanta, avocado, coriandolo e lime.
Macaron con paté di fegatini di coniglio e tartufo nero.
Tartare&caviar con wasabi e uova di trota.
Ostrica,sedano e fondo di volaille.
Il menu si apre con Scampi, testina e datterini all’aceto Sirk, davvero notevole nell’utilizzo dell’olio e dell’aceto all’interno di una preparazione in sé già significativa.
Insalata di lingue d’anatra, fragole e fegato grasso arrosto, dov’è ben misurata l’acidità della fragola che nulla toglie alla golosità complessiva del piatto.
Pizza d’ombrina con bufala di Battipaglia.
Gamberi, radici amare e consommé di scalogno bruciato: le note ferrose delle radici danno un’originale angolazione ai pregevoli gamberi.
Baccalà, olive e latte di mandorla, piatto dallo spettro gustativo assai ampio ma un po’ banale nel risultato.
Capanegra: capasante, gel di midollo di prosciutto iberico, tartufo nero e polvere di castagne all’olio di nocciola. Tanti ingredienti dominati dalla grassezza quasi tannica del gel.
Triglia in carpione (triglia alla semola, polenta bianca, mosto cotto di fichi e gelato di cipolle di Tropea all’aceto di mele).
Riso alla marinara (guazzetto di scorfano,origano fresco,cedro e cialda soffiata di riso nero), di concentrazione davvero notevole.
Ottimamente pizzicati ma un po’ scarichi di gusto i plin di faraona, serviti con schiuma di grana e polvere di salvia.
Pollo alla marengo (cosce di cappone, nero di seppia, insalata di asparagi crudi e erbe amare, ricci di mare): qui i tanti elementi restano tanti elementi senza giungere ad un vero risultato d’insieme, né di contrasto né d’amalgama.
Animelle, calamari e piselli: davvero buono.
Wagyu cotto all’unilaterale, carciofi e acciughe: qui il gioco non rende giustizia alla pregiata carne, che si carica ulteriormente di una poco gradevole nota metallica.
Predessert: Cremoso mascarpone e arancia, crumble alla cannella e granita di fragole.
Passion lives here (sfere di cioccolato al caramello, crumble di cacao e noci, gel al frutto della passione e rum con sorbetto alla banana)
Refresh&acid; ananas al maraschino, crumble al lime, spuma di yogurt e granita di sedano caramellato. Evidente la ricorsività nell’utilizzo dello sbriciolato per donare croccantezza e masticabilità ai dessert, pur in contesti assai diversi e, precisiamo, tutti di buon livello.