Enrico Bartolini è a tutti gli effetti ancora un giovane uomo, alla sua età molti non hanno ancora una chiara visione del futuro.
Ma per lui non è così, le idee le ha sempre avute chiarissime.
Non è più un emergente né una promessa, ma una certezza assoluta del firmamento gastronomico: la lunga esperienza maturata ed i continui riconoscimenti sono davanti agli occhi di tutti, e rappresentano un dato assolutamente incontrovertibile.
Tutto ciò è stato raggiunto grazie ad un carattere, una determinazione ed un’intelligenza fuori dal comune, oltre naturalmente a un indiscutibile talento.
Basta scambiare due parole con lui per capire che, dietro un’apparente modestia, una tranquillità quasi monacale, si nasconde invece un uomo dalla determinazione feroce e dall’invidiabile lucidità mentale, dotato di una capacità di vedere gli obiettivi rara, se non unica, nel panorama nazionale.
Questa sua capacità di vedersi non solo nel ruolo di chef, ma di pensare oltre, fanno sì che sia oggi a capo di una brigata composta da circa quaranta persone ed in grado di gestire il food del Devero 24 ore su 24, per 365 giorni all’anno, oltre ad avere importanti collaborazioni con brand internazionali del calibro di Krug, Emirates ed Hermès, ed essere sbarcato ad Hong Kong con Sepa, il bistrot firmato Giacomo Marzotto.
Impegni complessi che richiedono capacità imprenditoriali non comuni e che, nonostante tutto, permettono al nostro chef di seguire in prima persona e con sempre maggiore successo il ristorante gastronomico.
La stessa attenzione maniacale ai particolari, il perfezionismo e la capacità di scelta la ritroviamo così nei piatti che, anno dopo anno, sembrano sempre più centrati e convincenti; uno su tutti, i bottoni di olio e lime con salsa cacciucco e polpo croccante che, ad ogni visita, regala la sensazione di essere sempre più buono, un vero bignami della cucina di Bartolini, un estratto di potenza, finezza, acidità, croccantezza in costante equilibrio.
Non siamo davanti ad uno chef campione dell’improvvisazione, uno di quelli che sfornano piatti a getto continuo e nemmeno ad un esegeta dell’azzardo e della provocazione, ma ad un perfezionista nella più alta accezione del termine.
I piatti nuovi non sono mai moltissimi, ma quando entrano in carta lasciano il segno e spesso diventano dei veri classici, oggetto di spunto e condivisione da parte dei colleghi.
La cucina di Bartolini non è cucina di contrasti violenti, ma di equilibri e di assonanze dove il gusto ed il piacere palatale sono il centro e l’obiettivo primario.
Un’apparente semplicità che nasconde invece tecnica sopraffina ed un grande palato, altra caratteristica fondamentale del Bartolini chef, che gli permette di realizzare piatti di rara finezza, ma comprensibili a tutti.
Forse la sua non è la cucina adatta per chi cerca emozioni forti nel piatto, per chi ha voglia di farsi stupire a tutti i costi, ma è ideale per colui che, al ristorante, vuole mangiare piatti di alta cucina senza porsi troppe domande.
Di altissimo livello anche il servizio di sala, gestito in maniera impeccabile da Pino Savoia, che dirige con i tempi giusti e con una dote non sempre presente nei maestri di sala della Penisola, quella di rapportarsi immediatamente con il cliente e, di conseguenza, di interagire di più o di meno a seconda delle esigenze.
Interessante anche la carta dei vini, non enciclopedica, ma con etichette in grado di soddisfare pienamente la stragrande maggioranza della clientela.
Pane bianco a lievitazione naturale, pane integrale (di Eugenio Pol di Fobello), sfoglie croccanti, grissini.
Stuzzichini di benvenuto:
Finto peperoncino, gambero crudo e salsa al prezzemolo: qui viene fuori la voglia di giocare con la materia di Bartolini, una caratteristica intrigante della sua cucina. Un inizio interessante, la dolce piccantezza del peperone ricomposto che esalta la dolcezza del gambero crudo, il tutto contrastato dalla nota erbacea e leggermente aromatica della salsa al prezzemolo.
Fagottino di cipolla, foie gras, polvere di mango: la dolcezza della cipolla e del foie gras, le varie consistenze che divertono il palato, la polvere di mango con il suo tocco esotico, per un altro boccone che non lascia indifferenti.
Meringa salata al riso oro e zafferano (omaggio al Maestro) e cannoli di cavolo nero fritti: semplici, ma di una golosità incredibile, a stento e per solo pudore non abbiamo chiesto il bis.
Apprezzatissimo benvenuto della cucina, uno dei grandi classici di Bartolini, sempre presente fin dai tempi delle Robinie e sempre più buono, patata soffice uovo e uova: patate sifonate, caviale, capperi asciugati, erba cipollina, zabaione sapido montato al momento. Equilibrio, persistenza, piacevolezza estrema: cosa possiamo volere di più?
Mandorle di scampi, scampo reale al tamarindo, caffè e cardamomo: torna prepotente il tema del gioco con un interessante lavoro sulle consistenze, un’illusione, mandorle ricreate insieme a mandorle vere, molti sapori che si fondono insieme in perfetto equilibrio.
Alici in incontro di saor e carpione: alici crude accompagnate dalla fusione fra due metodi tradizionalissimi di conservazione del pesce. Dominano le note agre dell’aceto dosato alla perfezione, ma anche la sapidità e le note ferrose del pesce si distinguono nitidamente: ne esce un piatto dal gusto addomesticato, dall’acidità importante, ma non disturbante, cromaticamente molto riuscito con il blu creato partendo dal cavolo rosso e poi lasciato ossidare.
I sempre accattivanti bottoni di olio e lime al sugo di cacciucco e polpo cotto alla brace: come abbiamo già spiegato, uno dei simboli del Bartolini post Robinie, un omaggio alla sua Toscana (anche se Enrico è Pistoiese e non Livornese) ed a uno dei suoi piatti simbolo, qui partendo dagli ingredienti base lo chef riesce a ricreare un piatto nuovo per forma e consistenza, ma che conserva la forza esplosiva dell’originale.
Spaghetto all’anguilla e fresco fumo leggero: un grandissimo piatto di pasta; spaghetti cotti alla perfezione, la carnosità leggermente affumicata dell’anguilla, una sensazione agrumata leggera, le erbe che aiutano palato e cervello a non adagiarsi sulle prime note dolci e rotonde, da applausi a scena aperta.
Un assaggio irrinunciabile quando si transita per questi lidi: risotto rapa rossa e gorgonzola. C’è ormai poco da dire su questo piatto, pochi ingredienti ben riconoscibili in perfetta armonia, la perfezione dell’esecuzione che fa la differenza, la bellezza cromatica, semplicemente un piccolo grande capolavoro.
Agnello laziale cotto sui carboni, cipollotti e raviolo al vapore con frattaglie: piatto carnale, materico, dove si nota chiara la perfetta sintonia fra lo chef e la materia prima, che viene assecondata nelle sue caratteristiche e non piegata, ma esaltata; un piatto che ci regala tutta la forza del prodotto e tutta la bravura dello chef nell’esaltarlo.
Animelle glassate, menta cornuta, liquirizia e carciofi alla cenere: il quinto quarto è un campo che Bartolini ha sempre esplorato con successo. Lo ama, lo rispetta, lo sa lavorare e anche questa versione ne è la conferma: la grassezza delle animelle cotte a puntino viene ben contrastata dalla balsamicità della menta e dall’amaro del duo carciofo-liquirizia.
Il lungo capitolo dolce.
Uva e maraschino con granita di verbena e cioccolato bianco al peperoncino: dolce non dolce che resetta il palato e permette di continuare; la freschezza è la nota dominante del piatto, la grande tecnica e la sensibilità nell’utilizzarla sono la dote necessaria per realizzarlo.
Caldarroste cremose con salsa di cachi marinati al whisky: dessert più classico, ma non meno stimolante. Le castagne sono “finte” e ripiene, la salsa al caco e whisky dona la necessaria nota acido-torbata per far sì che il piatto non risulti seduto e stucchevole.
Un assaggio di un altro grande classico: il ciocco colato omaggio al periodo di lavoro passato alle Calandre.
Ancora qualche dolcetto per finire in bellezza.