Settembrini è il nome di una galassia di locali che, da una decina d’anni, hanno reso vivace un quartiere romano di assopita eleganza, con una proposta molto articolata (dalle colazioni, al pranzo d’affari, al cocktail, alla cena più elegante, dallo street food alla ricercata gastronomia di prossimità con la collaborazione della Tradizione, storica bottega delle meraviglie di Vico Equense).
Il ristorante, governato a lungo da Luigi Nastri –oggi alla Gazzetta di Parigi di Nilssoniana memoria- è stato di recente affidato a Federico Delmonte a cui è stato chiesto di dedicarsi esclusivamente alla cura di questa parte della proposta, con l’evidente intento di darle un ulteriore slancio.
Diciamolo subito: la scelta è molto azzeccata, perché il giovane chef ha carattere da vendere. Nel suo curriculum nomi importanti (il Dorchester e Locatelli a Londra, esperienze da Genovese, Parini, Faccani), un’esperienza in proprio nella sua Fano (al Vicolo del Curato, bel locale non troppo capito nella cittadina) e la costante curiosità di chi ha una passione vera. Quello che ci voleva per raccogliere la sfida di dare un’identità a un ristorante un po’ bloccato dal suo stesso successo presso una clientela di famosi, sinonimo spesso, dalle nostre parti, di pigrizia e conformismo nel gusto.
La cucina che propone Delmonte ha il pregio di essere bella da vedere, molto leggera e solo apparentemente semplice, mentre ha sempre un plus di pensiero dietro, con la ricerca dell’ingrediente spiazzante, del contrasto di consistenze o temperature che non ti aspetti (anche se una certa indulgenza per preparazioni gelate negli antipasti andrebbe ripensata, nella logica di predisporre al meglio lo stomaco al prosieguo).
Piatto della serata, senza dubbio, la lingua con susina, melanzana e acqua tonica (foto in apertura) in cui l’ingrediente principale è cucinato con grande sapienza e gli ingredienti a contorno, con l’inseguirsi di toni, dolci, aspri, amari, affumicati, rendono la preparazione estremamente persistente. Nota di merito anche per le penne (Felicetti) con cozze, un concentrato di gusto che va dritto alla memoria e ricorda da vicino uno degli chef più stimati da Delmonte, Mauro Uliassi.
Dolci non sempre dello stesso livello (decisamente più interessante il “biancomangiare, carota, sedano e liquirizia” del “dolce carioca”) che dimostrano abbastanza chiaramente di non essere la prima passione dello chef; probabilmente l’area su cui concentrarsi di più per un ulteriore passo in avanti.
Un locale da tenere d’occhio, insomma, sia per il frequente rinnovamento dell’offerta (anche nei più agili menù del pranzo si lascerà molto spazio alle ispirazioni offerte dal mercato) sia, soprattutto, per il potenziale di crescita che questa cucina ci sembra avere.
Gli antipasti cominciano dai ravioli ripieni di olive accompagnati da aperol spritz ghiacciato.
Cappasanta, cocco, cipolla e lime. Contrasti e sfumature di gusto davvero ben gestiti, La mano è quello di uno chef di razza.
Ricciola, prosciutto, melone e lavanda. Bella variazione sul tema del più scontato (e incongruo) degli antipasti all’italiana.
Crostino con cipolla ed erba creola. Molto buono, ma ancora su temperature molto basse che non per tutti predispongono piacevolmente al seguito.
Penne e cozze. Piacere quasi primordiale, grande concentrazione di sapori.
Baccalà, burrata, cardamomo e anguria. Il piatto meno riuscito, la dolcezza combinata di burrata e anguria domina e non riesce a esaltare un baccalà cucinato comunque in maniera ineccepibile.
Filetto di maiale…come una piadina. Una golosa piadina scomposta, da gustare con le mani per goderne appieno, con qualche rischio, la succulenza della carne, cucinata a dovere.
I dessert, nessuno dei due folgoranti ma il bianco mangiare è sicuramente interessante (funziona bene l’abbinata sedano e liquirizia e il tortino alla carota nascosto nel bicchiere aggiunge una piacevole masticabilità)
Petits-fours finali, il macaron più buono che bello
In carta si possono pescare belle bottiglie, da sempre, grazie alla sapiente selezione di Luca Boccoli. Ricarichi talvolta molto convenienti, anche se in passato la percentuale di veri e propri affari era più alta.