40 anni di storia e tradizione non sono cose che si comprano all’etto al mercato: o ce li hai o non ce li hai.
Si sentono potenti e penetranti: si annusano nell’aria, si avvertono nelle attenzioni, nei sorrisi, nei gesti calibrati.
La ristorazione è cosa seria e spesso capita che dietro grandi ristoranti ci siano grandi famiglie.
Così è anche per i Cera e per la loro creatura in quel di Lughetto di Campagna Lupia: una evoluzione naturale negli anni, dalla semplice Osteria di paese, dedita a confortare gli avventori con cicheti e ombre di vin, fino al grande ristorante di oggi, sempre nel segno dell’unità familiare, della cura del dettaglio, dell’amore per la tavola.
Allora non ti puoi stupire se anche il personale di sala gira a meraviglia e non sbaglia un colpo: è equazione certa. Non puoi meravigliarti se il menù scelto è prontamente stampato e messo a disposizione, se ogni dettaglio sembra posto lì per rassicurare e coccolare il cliente.
Questo è un grande ristorante, nessuno può metterlo in discussione.
Lo è per il servizio, per la cantina, per la qualità del pescato e, sì, anche per i prezzi.
E’ quel ristorante che mette d’accordo tutti, quello di cui sentirai sempre dire: “come si mangia bene lì”.
Certamente per il livello di qualità del pesce di cui riescono a rifornirsi, davvero fuori dall’ordinario.
Ma anche la tecnica in cucina è di altissimo livello: lo si vede nella cottura di uno scampo o di uno sgombro, così frequentemente maltrattato. Sanno usare i fuochi e le padelle e non solo fare la spesa: questo non può che fare la differenza nelle nostre valutazioni. E’ cucina di rotondità, di morbidezza.
E’ evidente la strizzatina d’occhio al Sud Italia, in particolare alla Sicilia, nella ricerca dei suoi sapori e dei suoi colori: il cuoco è palesemente innamorato della Trinacria e non ne fa mistero nelle sue preparazioni. Ma rimane comunque cucina di Adriatico nell’anima. O più semplicemente è una cucina italiana, che non teme la proposta di più piatti con protagonista o co-protagonista la pasta: lo sforzo di dare dignità e una nuova interpretazione alla pasta secca è continuo e, spesso, convincente.
Sempre eccezionale la portata dei crudi: può piacere o meno, ma è indubbio che qui si sia portato il crudo di pesce a uno scalino superiore, dove la mano del cuoco diventa importante tanto quella del pescatore. Un crudo cucinato, passateci il gioco di parole.
Le note dolenti in questa visita vengono da una certa ripetitività nell’uso del pomodoro o di componenti lattico-grasse e da una deriva esageratamente dolce che rende il menù leggermente monotono e a cui bisognerà prestare particolare attenzione.
Ma, soprattutto, al gourmet più smaliziato rimarrà sempre il dubbio di quello che potrebbe essere e non è, di cosa potrebbero fare in questo posto se decidessero di provocare un po’ di più il cliente.
Se lasciassero più spazio alla vegetalità (che non è solo pomodoro) o alle innumerevoli erbe che popolano la personale serra a lato del ristorante. Senza paura del reale sapore dell’ingrediente, senza per forza arrotondare ogni spigolo.
Il dubbio è ingigantito da quelli che sono stati i migliori piatti della giornata, cioè i +2 del percorso colori del mare. Zuppa di lucerna e tortellini con ripieno di mandorle: un gioco tra il dolce e l’amaro sfacciatamente intrigante. Zuppetta di alghe ed erbe, con vongole e dentice: una zuppetta elegante fino allo sfinimento tanto è carica di sapori, dove non si ha paura del messaggio che l’ingrediente (alga e erbe) pretende di comunicare.
Sono solo sfumature o diversi visioni di cosa debba trasmettere un piatto, ma a questi livelli fanno la differenza.
La pasticceria si mantiene su alti livelli e Sara Simionato non fa rimpiangere il suo predecessore.
Dessert freschi, come è giusto che si sia, ben strutturati e pensati. Una bella mano, da seguire con attenzione.
Una casa da scegliere a occhi chiusi, dove si starà bene, senza se e senza ma, qualunque sia il vostro ospite, qualunque sia il vostro gusto personale.
Dal Menù ”Oppure”:
Il benvenuto dalla cucina: focaccia al vapore.
Amuse bouche.
Tubetti freddi con burrata, pomodoro, viola gambero e capperi.
Spaghettino freddo con mazzancolla, lucerna, salsa di pistacchi di Bronte e basilico.
Colori del mare “scaletta di 8+2 crudi”.
Branzino all’acqua di mare con caviale: fantastica la consistenza del branzino.
Scampo… a colori.
Cappasanta nella sabbia (pane fritto e sesamo).
Ricciola con fragole e nocciola.
Pasta allo scoglio: una tapas di pasta da applausi.
Canocchia scottata con pappa al pomodoro.
Mazzancolla shabu-shabu con salsa al pistacchio e verdure.
Pizza di sgombro.
Zuppa di lucerna e tortellini con ripieno mandorle: persistenza e profondità di sapori.
Zuppetta di alghe ed erbe, vongole e dentice: classe ed eleganza.
Un sorbetto di lime e zenzero per alternare i sapori.
Scampi dorati con melanzane, battuta di pomodoro, pesto al basilico, salsa di ricotta e acqua di pomodoro: un buon piatto, ma sulle stesse note di alcune delle preparazioni precedenti.
Risotto di canocchie e curcuma fresca con burrata e guazzetto di lucerna, vongole e scorfano: inutile la burrata che finisce per uniformare i sapori. Risulta un piatto tecnicamente corretto ma molto dolce, sarebbe servita una curcuma ancora più incisiva.
Spaghetti al torchio con seppie e finocchietto selvatico: tanta Sicilia. Ottimi.
Insalata di erbe e melone con sgombro e salsa di papaya e aceto. Sgombro fantastico, per qualità e cottura.
Gelato al timo, fragole, miele di barena.
Piña Colada (rum, ananas e cocco).
Yogurt liquirizia lamponi con tegola di dragoncello. Un grande dessert, per concezione ed esecuzione.
Zuppa inglese.
Piccola pasticceria.
Frutta marinata.
Lo straordinario Clos des Goisses 1991 Philipponat: una spremuta di terra.
Le piante aromatiche nella serra accanto al ristorante.