Passione Gourmet Luglio 2014 - Passione Gourmet

La Gatta Mangiona

Se nel segmento della ristorazione “alta” Roma ha visto, nell’ultimo lustro, un discreto numero di locali aggiungersi di anno in anno al panorama cittadino, dobbiamo invece constatare come nell’Urbe i grandi nomi della pizza siano più o meno gli stessi da parecchio tempo.
Non che i soliti noti ci abbiano stancato, ma certo ci piacerebbe che nuovi pizzaioli andassero ad allargare il campo delle alternative.
Giancarlo Casa è, ormai, dalla fine dello scorso millennio, uno dei nomi di riferimento della scena della Capitale, e La Gatta Mangiona è il suo quartier generale.
Dimenticate covi gourmet di nuova generazione, minimalismi ed interni di casearia definizione cromatica: l’ambiente è quello di una qualunque pizzeria, sovraffollato di tavoli e di gente e gonfio dello strepito delle tavolate. Dobbiamo però precisare che, malgrado l’affollamento, la gestione dei forni ha del miracoloso se è vero che le attese, con la cortese collaborazione degli imperdibili fritti, fra i migliori di Roma, e di una carta dei vini di insolito interesse per una pizzeria, difficilmente varcano la soglia del fastidio.
La carta, chilometrica, contempla tanto un gran numero di pizze, antipasti, primi e sfizi quanto una selezione non così minima di alternative per chi non desidera lanciarsi a pesce sul carboidrato: oltre ad essa è però di fondamentale importanza, prima di ordinare, dare un’occhiata alla lavagna delle pizze e dei fritti del giorno, giacché qualche bella sorpresa è sempre in agguato, come la buona pizza Aromatica (in apertura).
Lo stile della pizza non è napoletano, e non è in fondo neppure romano: il cornicione è in equilibrio fra sofficità e croccantezza, ben lievitato e con una leggera tendenza alla biscottatura che penalizza gli esemplari meno riusciti in cottura. Pregevoli le materie prime utilizzate, non assolute ma in assoluta compatibilità con la richiesta di circa dieci euro per una pizza, certamente giustificati per il livello dell’impasto e degli ingredienti.

Due esemplari dei fritti (ma sarà meglio abbondare, in particolare con i supplì): fiore di zucca fritto e calzoncello con caciocavallo, peperoni e capperi.
pizza fritta, La Gatta Mangiona, Roma
Patate e pancetta al pepe nero con fiordilatte.
patate e pancetta, La Gatta Mangiona, Roma
Fiori.
fiori, La Gatta Mangiona, Roma
Margherita. Di cottura poco felice.
margherita, La Gatta Mangiona, Roma
Crema al Mascarpone con passito di Pantelleria ed amaretti.
Crema al mascarpone, La Gatta Mangiona, Roma
Dalla cantina.
cantina, La Gatta Mangiona, Roma

Dublino. La città di James Joyce, del Temple Bar e del Trinity College. Un luogo sostenuto dalla grande cultura del passato e dal mito inossidabile della Guinness.
Ma nella capitale irlandese non si vive di soli pub, e neppure di Book of Kells. A livello gourmet, infatti, è certamente possibile soddisfare le proprie voglie, ma per evitare il rischio di incappare nel solito ristorante dall’ambiente e cucina internazionali (e quindi francese), su consiglio di persone che condividono la medesima nostra passione siamo andati al The Pig’s Ear. Il nome è tutto un programma ma, mai come in questo caso, trae in inganno.
Non c’è nessuna atmosfera da pub, né viene servita cucina “offal”, ovvero quella di frattaglie e altre parti meno nobili degli animali.
Curiosamente sviluppato in verticale, in eleganti e essenziali salette, in una centralissima palazzina affacciata sui giardini del Trinity College, il Pig’s Ear è, a tutti gli effetti, un ristorante in cui poter gustare preparazioni che ammiccano alla tradizione con una piacevole dose di leggerezza. Il proprietario è Stephen McAllister, chef appassionatissimo del suo mestiere, uno di quelli che ostentano con orgoglio sulle pareti del proprio locale i menu firmati dai grandissimi chef di grandissimi ristoranti.
E’ un personaggio con una buona reputazione in Irlanda, in seguito ad alcune apparizioni televisive in programmi di successo, ma è proprio la passione trasmessa nei suoi piatti a permettere a questa cucina di riservare belle sorprese tra autenticità di ingredienti, ricette e cotture precise da gavetta classica.
Ritroviamo materie prime rigorosamente reperite nei banchi stagionali dei mercati irlandesi, carni eccellenti preparati con un pizzico di creatività e con una grande attenzione per la forma oltre che per la sostanza. Una tavola che sa dare, prima di tutto, un’idea di quella che può essere la rivisitazione della cucina locale (e a queste latitudini sappiamo quanto sia difficile), che non oltrepassa mai i confini nazionali andando quindi ben oltre i clichè della cucina transalpina (qui concepita come unica vera “alta cucina” a livello internazionale) reperibile nei pochi grandi ristoranti di Dublino.
I prezzi sono molto contenuti: per pranzo si spendono fino a 27 euro per tre piatti, mentre alla carta non si va oltre i 45. Al terzo piano dello stabile poi c’è anche l’interessante Chef’s Counter, una saletta privata con tavolo dello chef dove vengono proposti (per un numero minimo di 6 ospiti ed un massimo di 10) piatti più sperimentali e creativi al prezzo di 60 euro. Il servizio, di ottimo livello, si mostra molto gentile e disponibile, mentre sulla carta dei vini si potrebbe fare molto di più.

Della location abbiamo già detto: apparecchiatura essenziale e tavolo affacciato sul playground del Trinity College.
The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
“Vade retro” fantastico burro salato… e ottimo pane.
burro salato e pane, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
Tuorlo d’uovo, funghi, cipolle e patate croccanti. Generoso e genuino inizio.
tuorlo d'uovo, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
Molto raffinata l’insalata di granchio, uova di trota della Goatsbridge Trout Farm, rapa marinata, e Dillisk (un’alga rossa locale). Predominante sapore marino e ben distinti sentori nordici; dopo un’entrata più modesta ritroviamo già il piatto migliore.
in salata di granchio, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
Il “Risotto” di farro al burro di zucca, salvia fritta, semi tostati di zucca e girasole è ben mantecato anche se ha nuance troppo dolci.
risotto di farro, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
Davvero perfetti tecnicamente il Pollo arrosto al timo, orzo tostato, nocciole, topinambur e passata di albicocca, tenero e insaporito dalla pelle croccante,
pollo arrosto al timo, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
e l’Agnello irlandese, piselli & brodo di fagioli, patate al burro e aglio orsino.
agnello irlandese, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
Quindi la specialità dello chef: “Slow Cooked Lough Erne Shepherd’s Pie”: ovvero la tipica “torta del pastore”. Un pasticcio di coniglio con verdure e purè di patate. Molto rustico ma ben fatto.
patate, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
close up,
Close up, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
I dessert sono decisamente più classici: The “Pigs Ear” Vanilla Cheese Cake con marmellata ai frutti di bosco & Hob Nob Biscuits.
dessert, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
Un’ottima torta al cioccolato con gelato alla vaniglia.
torta, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
Dettagli.
dettagli, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
Tavolo
tavolo, The Pig's Ear, Chef Stephen McAllister, Dublin
con vista.
tavolo, The Pig's Ear , Chef Stephen McAllister, Dublin

Tornante dopo tornante il paesaggio è caratterizzato da boschi intervallati da grandi prati, talvolta incolti e ricoperti da fiori di campo, a volte adibiti all’accoglienza di piccoli pascoli per il bestiame. Le sporadiche case che si incontrano salendo verso Altissimo, paese nel vicentino, si fanno notare solo per la presenza delle spettacolari ortensie che qui dimorano.
Ci si dimentica di essere a pochi chilometri dal centro pulsante del Nord Est italiano e ci si ritrova spaesati in quella che apparentemente sembrerebbe la terra di nessuno.
Ad un tratto però una casa bianca, quella che un tempo fu un casino di caccia, interrompe il vagare errante dei gourmet giunti fin quassù e li accoglie quasi fosse messa lì apposta.
Dal 1976 la famiglia Dal Lago officia all’interno di questa vecchia rimessa proponendo una cucina diretta e genuina. Accolti dallo splendido panorama, messi a proprio agio dall’ambiente caldo e ospitale, con travi a vista e un bel camino al centro della sala in un luogo un po’ sospeso nel tempo, è facile perdersi in fantasticherie.
L’immaginazione comincia a correre e ci si raffigura lo chef Antonio Dal Lago affacciarsi ad una delle finestre del locale e, come inebriato dal profumo di timo serpillo e mentuccia selvatica, vederlo uscire a cogliere nei prati e nel bosco i prodotti che la terra ha da offrirgli.
La splendida padrona di casa, la signora Daria, moglie del cuoco, richiama la nostra attenzione cominciando a raccontare deliziosi aneddoti riguardo il locale e la sua filosofia. Ben presto ci si accorge che i sogni, è proprio vero, possono diventare realtà ed allora la cucina del Casin del Gamba si manifesta ricca di prodotti territoriali lavorati sapientemente da una mano colta e sicura.
La trota ed il salmerino provengono direttamente da Altissimo, così come i funghi, vero pallino dello chef, e tutte le erbe aromatiche presenti nei piatti, giustamente adoperate non solo come guarnizione ma come ingrediente vero e proprio. Lo chef Dal Lago è un grande maestro di come trarre dal territorio una cucina in perfetto equilibrio tra innovazione e tradizione.
Il salmerino marinato al timo limone con mela verde e sedano di Verona è un piatto moderno, croccante e fresco, mentre le pappardelle con burro di Altissimo e funghi porcini sono un’ode al classicismo culinario italiano.
Fermarsi ad ascoltare Antonio e Daria che raccontano delle giornate trascorse in montagna a raccogliere, accanto alle baite, gli spinaci del “buon enrico” da riproporre poi in uno sformatino o vedere i loro occhi illuminarsi quando ricordano il sapore della polenta di Marano fa capire quanta passione si possa trovare all’interno di queste mura.
Il capitolo funghi meriterebbe una scheda a parte, per l’infinita varietà che se ne può trovare nelle pietanze, omaggiati prima dell’assaggio, da una “sfilata” in sala come una volta si usava fare con il pesce prima che venisse cucinato.
La carta dei vini è curata dall’attento ed ottimo intrattenitore Luca, il figlio, e nemmeno a dirlo presenta numerose etichette del circondario a prezzi decisamente ragionevoli, senza trascurare il resto della penisola e del globo. Si aggiunge ad una carta già piuttosto profonda anche una bella selezione di grappe, un dogma per ogni conclusione di pasto nel vicentino.

Il pane
pane, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Grostolo di mais e moresina (erba amara) e vela di mais fritta. Un omaggio da parte della famiglia Dal Lago ad un amico coltivatore della zona.
grostolo di mais, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Avanotti di trota locale impanati e fritti, con polenta. Un bell’aperitivo caratterizzato da un prodotto di Denominazione Comunale.
avanotti di trota, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Salmerino marinato al timo limone con mela verde declinata in salsa, chips e nature e sedano di Verona. Piatto interessantissimo sia per contrasti di sapori che per consistenze.
Salmerino marinato, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Insalata di finferli crudi al profumo di timo su letto di misticanza, supreme di pollo e salsa alla senape. Piatto dal grande equilibrio. La salsa alla senape contrasta bene l’amaro quasi piccante del finferlo crudo. Buono.
insalata di finferli, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Sformatino di “buon enrico” (spinacio selvatico) con gelatina di pomodori datterino e ricotta di Marano mantecata. L’impiattamento non rende giustizia al piatto, certo non proprio modernissimo ma ancora una volta dal grande equilibrio gustativo.
sformatinom Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Lumache in crema alle erbe con pane al timo e cipolla. Le lumache vengono raccolte in zona dai contadini che poi le allevano fino al momento migliore per poterle mangiare. Piatto estremamente confortevole.
lumache, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Zuppa di funghi misti (porcini, finferli, tricoloma georgi, trombette nere, amanita crocea e gambe secche). Ascoltare la signora Daria descrivere le varie tipologie di funghi vale da solo il prezzo del biglietto.
zuppa di funghi misti, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Le pappardelle della tradizione con porcini saltati al burro di Altissimo.
pappardelle, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Controfiletto di vitello della Lessinia, melanzana, tartufo nero, fungo amanita crocea, salsa alla china di Carlotto e rosmarino incenso. Carne cotta perfettamente, amanita crocea succulenta e dolcissima, peccato per la salsa alla china troppo poco intensa per contrastare la dolcezza complessiva del piatto. Ottima idea ma risultato da rivedere.
controfiletto di vitello, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Gelatina di rose del giardino.
gelatina di rose, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Il rosolio di Carlotto, noto produttore di Valdagno.
rosolio, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Torta di nocciole al profumo di rosolio. Torta incredibilmente priva di farina, tuorli e burro. Leggerissima e gustosa.
torta di nocciole, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
Sorbetti e gelatine alle erbe aromatiche dell’orto (Acetosa, Origano, Santoreggia, Timo e Salvia). Grande conclusione.
sorbetti e gelatine, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza
La piccola pasticceria
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Una delle moltissime ortensie che si incontrano salendo ad Altissimo.
ortensie, Casin del Gamba, Chef Antonio Dal Lago, Altissimo, Vicenza

Un tempio della ristorazione Italiana, questo è Del Cambio. Ma anche un pezzo di storia, quella con la S maiuscola, perché buona parte di essa ha avuto luogo proprio nelle sale di questo leggendario locale sabaudo. E’ un fascino immenso, un’emozione intensa, entrare, varcare la porta di questo ristorante, visitare quelle stanze che hanno visto nascere l’Italia moderna, quell’Unità tanto agognata e sofferta.
Il ristorante prediletto di Camillo Benso conte di Cavour aveva invero attraversato, negli ultimi anni, una fase di netta decadenza, ma oggi è stato riportato agli antichi e meritati splendori da un gruppo di imprenditori che ha molto investito nella sua ristrutturazione e riqualificazione, e che ha scelto di affidare le sue cucine ad uno dei più talentuosi chef italiani.

Le aspettative sono, quindi, giustamente alte. Matteo Baronetto, per anni braccio destro di Carlo Cracco, si è trovato ad affrontare una sfida da vincere assolutamente, una prova stimolante, emozionante e dal coefficiente di difficoltà elevatissimo: elevare agli onori di critica e pubblico un grande, anzi IL grande ristorante di Torino e, nel contempo, dare vita ad uno spazio polifunzionale. Il progetto prevede, infatti, un lounge bar, un caffè aperto dalla mattina presto sino a tarda notte e una pasticceria-boulangerie-gastronomia che offre la possibilità di consumare e di acquistare prelibatezze di qualità.

Un progetto quindi complesso, che è ancora in divenire: il cantiere è appena stato aperto e le novità si susseguiranno a raffica nei prossimi mesi. Il ristorante ci sembra già ben rodato, con un fuoriclasse in cucina che mostra i suoi punti forti e sfodera alcuni colpi di talento puro e cristallino che ci hanno fatto letteralmente sobbalzare sulla sedia.
Non abbiamo assolutamente dubbi che, se Matteo avrà il tempo, la tranquillità e il sostegno della proprietà, in queste stanze si rischia seriamente di veder prendere forma uno dei più grandi ed importanti ristoranti italiani. Con una cucina scintillante e personale che nella nostra esperienza è stata a tratti quasi stordente.
Il fil rouge che lo lega al maestro è ben evidente, certo. E non potrebbe essere altrimenti. Ma tra le pieghe dei riferimenti obbligati, posti qua e là, emerge decisa e prorompente una cucina di personalità e qualità molto rare.

Un esempio? Il primo piatto: brodo di capperi, caviale e uova marinate. Un’elevazione all’ennesima potenza di questi ingredienti, che si rincorrono in un gioco perverso e virtuoso al tempo stesso, tra la cremosa grassezza dell’uovo e l’elegante sapidità del brodo di cappero, fino a modificare quasi completamente, a tratti a deridere, il DNA dell’ingrediente più prezioso del piatto, quel caviale che si trasforma, si modifica geneticamente, diventando non più veicolo di sapidità ma, udite udite, elemento di incredibile dolcezza.

Altro colpo di classe è il salmone marinato, accostato a coniglio crudo. All’apparenza un piatto che potrebbe preoccupare anche il gourmet più esperto. Ma liberandosi dalla tirannia del pregiudizio ecco un piatto ardito, avanguardista, che con il burro nocciola e le mandorle in accompagnamento chiuderà divinamente il cerchio gustativo con il suo naturale abbinamento, un Dom Perignon Rosè 2003.
Intrigante e tutt’altro che scontato o banale l’abbinamento tra il pavè di branzino e la coda di bue brasata. Colpo di genio, tra povero e ricco, tra sacro e profano, che solo i grandi possono ardire di proporre in maniera così naturale quanto irriverente.

Siamo convinti che qui a Del Cambio, se il buon giorno si vede dal mattino, sia nata una grande stella del firmamento italiano, destinata a traguardi importanti e molto più alti di quelli odierni. Sempre che, come ci auguriamo, la proprietà sostenga il suo gioiello quanto e come merita.

Brodo di Capperi, caviale e uovo.
Brodo di capperi, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Salmone e coniglio.
salmone e coniglio, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Trippa di baccalà e funghi porcini, forse un passaggio sottotono.
trippa i baccalà, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Gamberi, nocciole e Pesca.
Gamberi nocciola e pesca, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Il piatto forse meno convincente, per proporzioni e abbinamenti. Riso, lievito, calamaretti e uvetta.
riso lievito e calamaretti, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Insalata di prezzemolo, acciughe e violette… il sorbetto del 2100.
insalata di prezzemolo, acciughe e violette, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
La fantastica sala.
sala, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Agnolotti alla brace e burro di acciughe. Un passaggio, un intermezzo, nulla di più.
agnolotti alla brace, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Branzino al vapore, di cottura perfetta, con coda di bue brasata. Irriverente, provocatorio, terribilmente buono e azzeccato.
branzino al vapore, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Cuore di vitello, lardo e ricci di mare. Un grande piatto che forse andava posto all’inizio e non alla fine del percorso.
cuore di vitello, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
L’ottima pesca melba.
ottima pesca melba, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Amenities.
amenities, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
I compagni di avventura…
dom perignon, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
dom perignon, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
Vicino ad altri che ci hanno allietato la giornata.
vini, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino
vini, Del Cambio, chef Matteo Baronetto, Torino

Era lecito aspettarsi qualcosa di più da una delle osterie più note ed apprezzate di Torino e provincia, ormai da diversi anni premiata con la chiocciolina, il massimo riconoscimento della guida alle Osterie d’Italia edita da Slow Food.
Intendiamoci, non è che alla taverna di Fra Fiusch nel complesso si mangi male (altrimenti non ne parleremmo affatto) però davvero si potrebbe fare meglio, dedicando maggiore cura alla realizzazione dei piatti ed anche, come si dirà, alla predisposizione della carta.
La location, suggestiva, in posizione amena sulla collina di Moncalieri, con tanto di panorama su Torino, predispone al meglio, così come le rustiche salette che si dividono su due piani. L’accoglienza, molto cortese e la carta dei vini ben studiata e con una bella profondità soprattutto di piemontesi, ci fanno subito pensare che qui si faccia davvero sul serio.
Una prima occhiata alla carta inizia però ad incrinare le nostre certezze. Se, infatti, è interessante e assai elastica la proposta dei menu degustazione (con, ad esempio, la possibilità di scegliere liberamente 4 piatti anche tutti della stessa tipologia), la carta nel complesso ci sembra troppo ampia: 12 antipasti, 10 primi e 11 secondi. Un po’ troppi per un locale di dimensioni ridotte che voglia fare alta qualità.
Inspiegabilmente – a nostro parere – infatti, si è deciso di aggiungere ai grandi classici della cucina del territorio come finanziera, agnolotti, tajarin alcuni piatti “marziani” (e non solo da un punto di vista territoriale…), come – per citarne solo uno – le tagliatelle con ragù di cinghiale che, ovviamente, decidiamo di assaggiare.
In generale abbiamo, poi, rilevato un problema di temperature dovuto anche al fatto che i piatti (intesi come piatti di portata) erano inspiegabilmente assai freddi determinando, quindi il repentino raffreddamento delle preparazioni in essi contenute.
Fin qui quello che non va.
Ma aggiungiamo che abbiamo mangiato degli gnocchi di patate viola con carciofi molto interessanti, un superbo stinco di maiale al forno con semi di finocchio e un dessert (a tutto territorio) tutt’altro che banale: Piemonte in bocca che racchiude in vari strati e consistenza bunet, crema allo zabaione, panna cotta, baci di dama e bicerin.
In breve, un posto in cui tutto sommato si sta bene, con un buon rapporto prezzo qualità, ma che potrebbe dare maggiori soddisfazioni se si concedesse qualche divagazione di meno in carta e curasse maggiormente alcuni aspetti (vedi temperatura dei piatti) che possono sembrare di contorno ma che tanto di contorno non sono.
Ad Majora

Entrèe: Bignè di insalata russa. Non è obbligatorio offrire qualcosa che non si è ordinato. E’ una bella consuetudine ma deve avere un senso. Difficile trovare un senso a questo (poco fragrante) bignè.
bignè di insalata russa, Taverna di Fra Fiusch, Moncalieri, Torino
Buoni i Plin (ai 4 arrosti) conditi con burro d’alpeggio..
plin, Taverna di Fra Fiusch, Moncalieri, Torino
Insalatina di carciofi crudi con cialda di parmigiano: fresca e agrumata.
insalatina di carciofi, Taverna di Fra Fiusch, Moncalieri, Torino
Gnocchi di patate viola con carciofi.
gn occhi di patate viola con carciofi, Taverna di Fra Fiusch, Moncalieri, Torino
Qui casca l’asino. Tagliatelle con ragù di cinghiale. Piatto che affolla 12 mesi all’anno i menu turistici dell’intero centro Italia. Riproposto incomprensibilmente ad aprile sulle colline torinesi, con, tra l’altro, decisamente troppo chiodo di garofano.
tagliatelle di ragù di cinghiale, Taverna di Fra Fiusch, Moncalieri, Torino
Quaglie al marsala.
quaglie al marsala, Taverna di Fra Fiusch, Moncalieri, Torino
Il piatto migliore: Stinco di maiale al forno con semi di finocchio.
stinco di maiale al forno, Taverna di Fra Fiusch, Moncalieri, Torino
Piemonte in bocca, una summa dei più noti dolci della tradizione piemontese.
piemonte, Taverna di Fra Fiusch, Moncalieri, Torino