Passione Gourmet Febbraio 2014 - Passione Gourmet

Locanda dell’Angelo

Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona

Lasciare un lavoro sicuro, una vita tranquilla, buttare il cuore oltre l’ostacolo per aprire un ristorante ambizioso in una zona lontana dai principali centri abitati, ai più potrebbe sembrare un azzardo o una follia soprattutto in tempi di crisi economica.
Eppure per Maria Rosa Lauro non è stato così.
Proveniente da esperienze lavorative di tutt’altro genere, contro tutto e contro tutti, con coraggio e feroce determinazione, ha deciso di intraprendere la via della ristorazione, attraverso la via più difficile, quella della qualità.
La Locanda dell’Angelo sorge nel cuore del centro storico di Millesimo, in Val Bormida: uno dei borghi più belli d’Italia, circondato dai boschi e il fiume Bormida, che scorre a pochi passi dalla Locanda. Situato a poca distanza dal casello autostradale sull’autostrada Torino-Savona, questo ristorante rappresenta un’ottima sosta per chi si trova a transitare da quelle parti.
L’inizio di questa avventura, come si può immaginare, non è stato dei più agevoli: educare la clientela locale, abituata alle classiche trattorie, richiede impegno e tanta perseveranza, ma quando si ha coraggio e le idee chiare prima o poi i risultati arrivano.
La vera svolta arriva però nel 2010, con l’arrivo di Massimiliano Torterolo in qualità di socio e chef.
Massimiliano, Cairese doc, nonostante la giovane età vanta già importanti esperienze professionali: dapprima in Piemonte con Mariuccia Ferrero al San Marco di Canelli, poi in Liguria con Flavio Costa all’Arco Antico di Savona, a Milano con Andrea Berton e a Erbusco con Gualtiero Marchesi.
La cucina della Locanda è un calibrato mix fra tradizione e innovazione, fra mare e terra, fra Liguria e Piemonte, ma con occhio attento anche alle tecniche ed alle tendenze avanguardiste del momento.
Il menù si compone di tre parti: tradizione, innovazione (con piatti a discrezione dello chef) e la proposta alla carta.
I piatti più riusciti, nella nostra esperienza, ci sono parsi quelli più collaudati e legati alla tradizione: perfetti i ravioli di coniglio, verdure, burro e nocciole, un vero inno al territorio, così come la guancia di vitello, purè di patate e salsa alla birra, tenera e con il fondo tirato alla perfezione.
Nei piatti a più alto coefficiente di difficoltà, invece, abbiamo riscontrato qualche problema.
Ad esempio il baccalà latte e caffè e finferli, dove né il latte né tantomeno il caffè, sbiaditi nel gusto, apportavano il loro contributo alla riuscita del piatto e la seppia ripiena di carne cruda e chips di patate (poco croccanti) ci hanno convinto poco.
Abbiamo notato anche qualche reiterazione di troppo nelle presentazioni: la fogliolina di prezzemolo praticamente ovunque e le poco entusiasmanti chips di patate presenti nell’antipasto e nel secondo.
Particolari che non inficiano un’esperienza comunque piacevole, ma che devono essere assolutamente assestati per far crescere ulteriormente una proposta comunque già interessante.
Un risultato sicuramente realizzabile curando maggiormente la progettazione, puntando di più sulla semplicità e sulla pulizia dei sapori, utilizzando soltanto il necessario per completare il piatto, senza inutili orpelli e ingredienti ridondanti.
Ottimo il servizio coordinato con competenza e cordialità dalla titolare e interessante e completa la carta dei vini con una buona selezione di etichette italiane e qualche non banale rappresentante d’Oltralpe.

Cappasanta rosticciata, broccolo, tartufo nero.
capasanta rosticciata, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Scampo, foie gras, mela.
scampo foie gras e mela, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Cotechino e topinambur.
cotechino e topinambur, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Pansotti ripieni di roquefort, fichi, pere e noci: piatto in equilibrio precario ma tutto sommato interessante, con il formaggio grande protagonista.
PAnsotti ripieni, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Ravioli di coniglio e verdure (foto di apertura).
ravioli di coniglio e verdure, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Scamone di vitello, carciofi, tartufo nero, cialda di panissa (anch’essa poco croccante).
scamone di vitello, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Guancia di vitello, puré di patate, birra Scarampola.
guancia di vitello, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Millefoglie alla nocciola e caffè.
millefoglie di nocciola al caffè, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona
Cioccolato bianco, crumble di pinoli e agrumi.
cioccolato bianco, Locanda dell'Angelo, Chef Torterolo, Millesimo, Savona

Bacco, chef Angela Campana, Bari

Gli ultimi anni hanno visto, non solo nell’annuale susseguirsi editoriale delle principali guide nazionali ma anche nella nostra esperienza, una tangibile crescita, tanto numerica quanto qualitativa, della ristorazione del Mezzogiorno. Forse solo per una coincidenza, questo trend sembra però toccare in maniera solo marginale le tre maggiori città del Sud, ossia Napoli, Palermo e Bari, per concentrarsi in maniera assai più consistente in provincia. Nel capoluogo pugliese regge tuttavia l’unica stella Michelin cittadina, quel Bacco che Franco Ricatti nel 2008 portò, onusto di gloria e riconoscimenti, dalla vicina Barletta dov’è tuttora assai rimpianto. Ubicato lungo una delle arterie principali del centro, a poche centinaia di metri dalla Cattedrale ma raggiungibile in macchina  con autosilo tattico quasi all’angolo, Bacco è in posizione ideale per associare senza troppi spostamenti un’interessante tappa gourmet a una visita alla splendida Bari. I racconti di chi visitò il ristorante di Ricatti nella città della Disfida narrano, oltre che di un alto livello gastronomico, di una cantina di notevole spessore che, malgrado lo spiegamento di casse di vini di pregio all’ingresso, non ci pare abbia trovato spazio nella nuova sede.
La proposta gastronomica, talvolta accompagnata in tavola con un certo eccesso di ampollosità da parte dello staff, non trascura le pietanze di carne. E’ tuttavia il pesce l’argomento a scelta della cucina guidata da Angela Campana, moglie del patron e sua partner lavorativa dal principio degli anni Ottanta. Di alto livello è l’assortimento dei crudi, con carpacci solo accarezzati da un olio all’altezza della situazione e da una spolverata di pepe dispensata senza eccessi, e dei frutti di mare che, anche in una giornata di approvvigionamenti limitati come quella della nostra visita, finiscono per tener fede alla reputazione della città della Fiera del Levante. Davanti ad una materia prima di rimarchevole qualità la cucina, con l’eccezione di uno spaghettone al ragù di cicale e nero di seppia dove il crostaceo ha finito per essere soverchiato dalla concentrazione del pomodoro e dalle sensazioni pitonescamente avvolgenti dell’inchiostro, ci è tuttavia sembrata più preoccupata di non rovinare il prodotto che smaniosa di esaltarlo con il proprio intervento. Ecco allora un bel trancio di spigola, contenuto nel mordente ma condito da un guazzetto di encomiabile leggerezza o uno spaghetto ai ricci senza tentativi di effetti speciali, con i due ingredienti a dialogare faccia a faccia, senza intermediazione alcuna. Certo è che, per un primo di pasta prezzato in carta a venti euro in una città di mare, sarebbe lecito attendersi una presenza più sostanziosa di prodotto nobile nel piatto.
I dolci rappresentano uno dei punti di forza del locale e nel loro richiamarsi alle tradizioni e alla memoria si fanno perdonare un’impronta visiva piuttosto datata. Sembrano del resto appartenenti ad un’altra stagione dell’alta ristorazione anche alcuni tratti stilistici dei piatti e una carta che, a questi livelli, conta un inusitato numero di proposte (una quarantina senza contare i dessert). Anche la sensazione, alla lunga non completamente gradevole, di essere continuamente indirizzati verso ulteriori ordinazioni, finisce per rivangare ricordi di un antico, ma non per questo bocciabile in toto, modo di fare ristorazione. I risultati sono comunque nel complesso assai apprezzabili, anche se la distanza dalle tavole regionali più interessanti ci pare tenda a crescere.

Dopo un primo giro con mandorle salate e tarallini, l’aperitivo prosegue con ricottina, mozzarelle, bruschettine ed olive fritte, ad accompagnare il cocktail della casa (di fatto uno spritz addizionato di gin).
spritz, Bacco, chef Angela Campana, Bari
L’ottimo assortimento di carpacci.
carpacci, Bacco, chef Angela Campana, Bari
Un assaggio di frutti di mare.
frutti di mare, Bacco, chef Angela Campana, Bari
Cottura precisa, ottima materia prima: questo spaghetto ai ricci slegato non ci ha però conquistato.
cottura precisa, Bacco, chef Angela Campana, Bari
Spaghetto doppio con ragù di cicale e nero di seppia: qui, come segnalato, la materia prima è davvero sacrificata.
spaghetto doppio, Bacco, chef Angela Campana, Bari
Cottura appena più pronunciata rispetto agli standard attuali dell’alta ristorazione ma tuttavia ben maneggiata per la spigola in guazzetto di vongole e seppiolina. Certo, il contorno vegetale avrebbe meritato più attenzione.
guazzetto di vongole e seppiolina, Bacco, chef Angela Campana, Bari
Noia (torta di noci e crema di caffè) con gelato di liquirizia, quest’ultimo eccessivamente scarico.
torta di noci, Bacco, chef Angela Campana, Bari
Mousse di fichidindia al rabarbaro. Interessante, con un marcato contrasto fra gli elementi.
mousse di fichi d'india, Bacco, chef Angela Campana, Bari
Le tradizionali cartellate natalizie.
cartellate, Bacco, chef Angela Campana, Bari
I pani fatti in casa (e quello, meraviglioso, di Laterza).
pane, Bacco, chef Angela Campana, Bari
Le belle tazzine commemorative della Disfida di Barletta.
tazzine, Bacco, chef Angela Campana, Bari

Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo

Quando il concierge del nostro hotel ci ha consegnato il foglio della prenotazione di Shima siamo rimasti allibiti: una cartina ben definita, con particolari oltre ogni ragionevole immaginazione, addirittura la foto dell’ingresso con una grossa freccia che recitava “Entrance just before Tully’s coffee shop”. “Ci avranno preso per Totò e Peppino in trasferta a Milano?” abbiamo pensato con presunzione. Ma dopo una decina di minuti, sicuri di essere davanti al posto giusto e senza la minima idea di dove fosse il ristorante, magari avessimo incontrato un vigile a cui offrire un accorato “Noio volevan savuar …”.

Già perché l’imprescindibile caratteristica che accomuna la maggior parte dei ristoranti di Tokyo, ovvero un mimetismo camaleontico che può provocare pericolosi stati di ansia ad un gourmet incapace di orientarsi, qui è portato all’eccesso. Timorosi siamo scesi con l’ascensore al piano B1, chiaramente indicato nel premuroso vademecum, ma davanti a noi le porte si sono aperte svelando uno sgabuzzino di un metro quadro, buio e ricolmo di scatoloni. “Ma non può essere qui” abbiamo pensato. Ebbene sì, quello era l’ingresso. E non lo avremmo varcato se un timido commis non avesse aperto per caso il pertugio d’accesso alla nostra sinistra.
Superato lo stupore, eccoci da Shima, indirizzo noto in città per l’eccellenza delle sue carni. Manabu Oshima ci accoglie con un sorriso e una buona parlata inglese. Ha girato molto in Europa, ha acquisito un atteggiamento non usuale da queste parti, cordiale, affabile, curioso, compiacente. Ci accomodiamo al bancone, l’esperienza si rivelerà estremamente piacevole.

Shima è un indirizzo ideale per un percorso iniziatico nel mondo della cucina nipponica: senza l’eccessiva rigidità di altri locali, qui si respira un’aria quasi “internazionale” e “casual”, lontana da quel clima di religiosa ostentazione spirituale che abbiamo imparato a conoscere nel Sol Levante.
Il menù è ridotto all’osso: pochi piatti d’entrata (pesce e verdure), poi il pezzo forte della casa, la carne. E’ proposta in due versioni, Beef Sirloin e filetto: lo Chef prima di procedere alla loro preparazione ci mostra con orgoglio i grandi tagli di questa prelibatezza. In pochi gesti i nostri golosi bocconi sono tagliati, conditi e pronti per essere accolti nel forno a carbone di legno di quercia. La nostra preferenza andrà al Sirloin, più saporito e consistente del filetto, e forse più corrispondente ai nostri gusti europei.
Tra una chiacchiera e l’altra il pranzo scorre via veloce e divertente, con Manabu Oshima che regge una conversazione veramente gradevole. Forzati dalla nostra bulimica fame d’informazioni gli chiediamo maggiori dettagli sulla provenienza e sulla qualità della carne di Kobe che ci ha servito. Per levarsi dall’imbarazzo ci fornisce la scheda di provenienza dell’animale, con tanto d’impronta del naso, ma completamente in giapponese e del tutto incomprensibile.
Lo ringraziamo lo stesso. D’altronde sapere proprio tutto, alle volte, non è affatto necessario.

Manabu Oshima all’opera sulle entrée.
Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Mise en place atipica con olive e panini.
mise en place, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Il nostro goloso obiettivo.
wagyu, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Inizia la preparazione.
wagyu, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Taglio del Beef Sirloin e del filetto.
taglio filetto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
taglio filetto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyofiletto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyofiletto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
E via nel forno.
forno, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
In attesa una buona insalata di stagione.
insalata, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Il Beef Sirloin, a cui va la nostra preferenza: texture e succulenza splendide.
beef sirloin, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Il filetto. In entrambi i casi, l’accompagnamento alle carni è più europeo che nipponico, con verdure e purè.
filetto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
La scheda.
scheda, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
La mappa…
mappa, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo

Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze

Delle Tre Lune quest’anno si è parlato molto, specialmente tra gli addetti ai lavori.
In un periodo in cui è frequente leggere dei successi esteri di nostri giovani cuochi (Passerini o Tondo per citarne solo i più noti nella Ville Lumière) non poteva non colpire, e rincuorare, la scelta in controtendenza fatta da tre giovani, Ilaria Di Marzio, Matteo Lorenzini e Tommaso Verni: tornare in Italia a proporre una cucina di classica impronta francese a prezzi abbordabili.
Una scelta originale e coraggiosa, soprattutto se si pensa al luogo scelto per la proposta, quella campagna toscana che sembra da sempre ostaggio di pici all’aglione e cinghiale.
Locale arredato con garbo, cucina a vista, bella veranda che attende stagioni più calde per essere nuovamente a disposizione della clientela: nulla che rimandi ai neobistrot oggi paradigma quasi ubiquo in contrapposizione al “grande ristorante” oggetto di facili demonizzazioni. Il richiamo è, semmai, a quelle belle tavole borghesi della campagna francese, eleganti ma non sfarzose in cui potersi concedere un pranzo “gastronomico” con una cifra ragionevole.
La cucina è esattamente quella che è stata raccontata anche su questi schermi nei mesi passati: d’impronta chiaramente transalpina, molto tecnica ma accessibile a tutti i palati. Con un occhio, però, attento al territorio, riletto e ingentilito grazie proprio alla sapienza di chef che hanno esperienza di cucina “di palazzo”.
Esemplare in questo senso il “risetto” con pane burro e acciughe, la memoria nel piatto, che dà nobiltà a materie povere (la pastina di ospedaliera memoria) con la sapienza di una mano mai greve, anche quando spinge sulla gourmandise.
Nel menu, prezzato onestissimi 55 euro per 5 portate dai nomi molto diretti, si susseguono piatti calibrati, precisi, elaborati da mani mature come non è scontato, vista l’età di chi cucina.
Lodevole la possibilità di scegliere dalla carta la mezza porzione di quello che è ormai un loro piccolo “classico” non presente nel menù, il giustamente già famoso granchio, patate e porri.
Alla sezione dessert ritroviamo il croustillant al cioccolato già provato nella visita precedente ed evidentemente preparato non espresso, seppur buono. In generale, nel reparto dolce si sconta la scelta, evidentemente motivata dalla necessità di far quadrare i conti, di avere la socia pasticciera a occuparsi della sala.
Lista dei vini ristretta com’è comprensibile, ma che potrebbe essere più originale; solo bene, comunque, possiamo dire del Chianti 2008 del Castello di Ama che abbiamo scelto per accompagnarci, una di quelle carte sicure che in queste situazioni traggono d’impaccio.
La sensazione generale è di un ristorante che può andare oltre quanto di già buono propone oggi, ma che ha bisogno per riuscirci, vista la linea di cucina che propone, di avere mezzi adeguati. Speriamo che sia una clientela fedele a fornirglieli.

Per amuse-bouche ottima indivia in tagliolini risottati con funghi trombetta e polvere di porcini
amuse bouche, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Il foie gras
Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
L’interessante risetto
risetto, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Il piatto più deludente, la polenta con porcini, frutti autunnali, balsamico e agretto, un po’ slegato
polenta con porcini, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Un’elegante versione moderna della ribollita
ribollita, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Impeccabile il piccione con indivia (anche se in carta erano riportate “animelle” la sostituzione è stata gradita)
piccione con indivia, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Granchio, patate e porri
granchio patate e porri, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Croustillant al cioccolato
croustillant al cioccolato, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
Pane, ottimo.
pane, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze
La bella campagna, a fine pranzo
campagna, Le Tre Lune, Chef Lorenzini, Verni, Calenzano, Firenze

Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi

Ne ha fatta tanta di strada Giovanni Passerini.
Chissà che se quel giorno in cui lasciava “Uno e Bino” a Roma, destinazione Ville Lumière, pensava a quello che il futuro gli avrebbe riservato. Un locale di un italiano acclamato da critica e pubblico d’Oltralpe: quasi un’utopia fino a qualche anno fa, ora realtà grazie a lui e giovani leve come Simone Tondo e il suo Roseval (Tondo che, guarda caso, ha lavorato a lungo con Passerini).
E chissà cosa passa in quella testa oggi, pochi capelli ma tante idee: quanto entusiasmo nelle sue parole, quanta convinzione. E quel sorriso contagioso: forse è anche questo il segreto del suo successo. Far stare bene la gente è un dono che va gestito con cura, Giovanni questo dono ce l’ha e sembra esserne consapevole.
Rino è diventato in questi anni un punto di riferimento per la ristorazione parigina: personaggi del calibro di Jean-François Piège non fanno mistero di ritenerlo il loro locale preferito.
Locale spartano che di più non si può, ma così pieno di energia da poterla inscatolare e venderla al dettaglio.
Quindi, hai un locale di successo, lavori come un pazzo, tutti ti osannano, che fai?
Lo vendi.
Il ragionamento non fa una piega se la tua mente viaggia talmente veloce da essere sempre un passo avanti. Rino officerà il suo ultimo servizio il 22 marzo corrente anno.
Ha voglia di più spazio Giovanni Passerini, ha voglia di gestire una carta, ha voglia del carrello dei dolci. Ha voglia di uscire dalla mischia “bistrottara” parigina, fatta di menu fissi, di mangiate gomito a gomito, di 5 portate o niente.
Sembra incredibile, ma tra la nouvelle vague parigina è difficile trovare un grande cuoco che ti faccia uno o due piatti alla carta: sono rimaste solo le tavole blasonate da cento euro a piatto.
Forse ha voglia di godersi anche la imminente piccola Passerini, ma questo è un altro capitolo.
Un luogo fisico ancora non c’è. Ma c’è sicuramente quello mentale perché forse sarà davvero questo il locale che ha sempre desiderato. Lo sta pensando, sognando e plasmando con cura.
Gli concediamo ogni gesto scaramantico, ma siamo assolutamente certi che sarà un successo.
Giovanni Passerini è oggi un cuoco maturo, che sa muoversi con agilità su tutto lo spettro gustativo. Non ha paura dell’amaro, ma nemmeno del dolce. Negli anni di apprendistato parigino (da Passard fino a Nilsson) ha imparato a cuocere davvero la carne: niente sotto-vuoto, lui ama fuochi e padelle e i pezzi cotti interi. Base vegetale ed erbe aromatiche sono elementi ricorrenti tra i bistrot parigini del momento ma lui sa mettere della personalità nei suoi piatti e questo sarà quello che lo terrà a galla anche nella sua prossima avventura.
La cronaca della nostra serata è una carrellata di saperi e sapori.
In bocca al lupo, Giovanni Passerini e a presto.

La cucina (o angolo cottura?)
Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Cacio e Pepe: gli italiani sanno improvvisare.
cacio e pepe, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Ravioli di zucca e ricci di mare con brodo di zucca.
ravioli di zucca e ricci di mare, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Rombo liscio, indivia, mostarda riccia, bergamotto, barbabietola bianca affumicata.
rombo liscio indivia e bergamotto, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Tortellini di germano reale, tartufo, brodo di germano, sedano rapa e rosmarino.
tortellini, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Fricassea di lumache, cuori d’anatra e bietoline: boom…
fricassea, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Mela, spuma di fieno, gelato ai cereali, kumquat cotto a freddo (congelato e poi tagliato): un viaggio nel mondo del whisky a cui il dolce si ispira.
mela whisky,Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Le Haut des Clous – Domaine Saint Nicolas: uno chenin blanc di ottima beva.
Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi