12 piatti per 12 mesi, un lungo ed instancabile cammino che ci porta a scovare il miglior piatto in assoluto, per fortuna ancora non trovato.
Una rincorsa eterna, mossi da un sentimento sincero e profondo: la Passione, il carburante dei nostri viaggi e della nostra voglia di scoperta, che costantemente desideriamo condividere con i nostri lettori.
Ecco di seguito 12 piatti memorabili incontrati in questo 2014, attraverso i quali desideriamo farvi gli auguri per un felice anno nuovo, assicurandovi che sarà ricco di ghiotte novità.
A presto!
Calamaro, pepe e lattuga: Niko Romito, Reale.
L’amaro vegetale gioca un ruolo fondamentale nel dare spinta e vigore al mollusco, qui trattato con mano da clavicembalista.
Vai alla Scheda
Fusilloni, ndujia, pecorino e ricci di mare: Luca Abruzzino, Antonio Abruzzino.
Perchè no? Colpo di genio! Due acque di pecorino e nduja, ottenute dalla riduzione dei prodotti in acqua con cottura prolungata, che servono a mantecare e risottare i fusilli. Tocco finale dei ricci. Spettacolare.
Vai alla Scheda
Porro, nocciola, umeboshi, amarena sottaceto: Piergiorgio Parini, Povero Diavolo.
L’uppercut del ko, la chiusura del cerchio, i 19,75/20 fatti piatto. Con un food cost risibile.
Vai alla Scheda
Asparago con salsa al Ranfio, noci e uva marinata al Verjus: Michel Troisgros, Maison Troisgros.
Un capolavoro, semplicemente una nuova verità per l’asparago che diventa il paradigma per qualunque altra preparazione di questo tipo. Quatto ingredienti portati al massimo livello possibile, un piatto sconvolgente.
Vai alla Scheda
L’Est incontra l’Ovest: Massimo Bottura, Osteria Francescana.
Ravioli cotti al vapore, con ripieno di gamberi rossi siciliani. La testa del gambero è polverizzata e ricostruita in una concentratissima cialdina, per un travolgente umami mediterraneo. Le lenticchie sono disidratate e poi fritte, per essere al contempo leggere, croccanti ed estremamente concentrate. La gelatina di cotechino “allappa” il palato e fissa tutti i sapori: piatto complesso, completo, sorprendente.
Vai alla Scheda
Macaroni al foie gras e tartufo: Jean-Louis Nomicos, Les Tablettes.
Piatto ideato nel 1997, non è mai cambiato, se non nella forma (ora rotonda). Esiste un intero menu costruitogli intorno ed è inamovibile (a un prezzo francamente esorbitante) in carta.
E’ un gran piatto: la pasta cotta al dente, la farcia golosa e nobile, il fondo di vitello di alta scuola, un esempio di come si possa portare la pasta nell’alta cucina classica con un occhio al Belpaese e un altro alla lezione di Escoffier.
Lo si può ritrovare, in più o meno fantasiose varianti, da diversi discepoli di Nomicos stesso, ma è fortemente consigliato un passaggio a provare l’originale, magari a pranzo, quando il ristorante ha proposte a prezzi molto abbordabili.
Vai alla Scheda
Zuppa di gamberi di torrente al cardamomo, carpaccio di gambero su fico allo zenzero e timo, crostino di pane al timo, limone: Sandro e Maurizio Serva, La Trota.
Eleganza ed equilibrio mirabilmente fusi.
Vai alla Scheda
Bottoni olio e lime, con polpo e salsa cacciucco: Enrico Bartolini, Devero.
In meraviglioso equilibrio fra golosità e finezza, con giochi di consistenze da fuoriclasse. Il vero piatto simbolo del Bartolini post-Montescano.
Vai alla Scheda
Riso, trota marmorata e germogli di muschio: Alessandro Gilmozzi, El Molin.
Germogli di muschio e acqua di fonte vengono messi in pari quantità nel paco jet: ne risulta una granita molto fine. Questa viene messa in stampi a forma di pastiglia e poi congelata.
Il riso viene cotto all’acqua per 11 minuti, poi viene mantecato con le pastiglie congelate che provocano uno shock termico. La coda della marmorata viene prima bollita a lungo fino a ottenere una consistenza simil gelatinosa, quindi viene essicata e triturata.
I germogli danno un sentore salato, quasi marino. La consistenza del riso è incredibile, si sentono perfettamente i chicchi sgranati ma non si perde l’amalgama. La coda di marmorata è umami allo stato puro. Un piatto assoluto, in bilico fra mare e terra.
Vai alla Scheda
Rigatoni broccoli e salsiccia: Luciano Monosilio, Pipero al Rex
Giù il cappello per questa portata, classica e moderna al tempo stesso, gourmet e gourmand, con tutti gli ingredienti perfettamente amalgamati ma dai sapori nitidamente percettibili.
Vai alla Scheda
Tortellini alla crema di latte (panna da affioramento): Franco Cimini, Osteria del Mirasole.
Un pezzo di Italia, una libidine allo stato puro.
Vai alla Scheda
Cipollotto farcito di pane ammollato in succo di cipolla di Giarratana, salsa di cipolla di Giarratana e coriandolo: David Tamburini, La Gazza Ladra.
In questo cipollotto, in cui sono commestibili anche le radici lievemente fritte, il vero protagonista è, oltre la cottura dell’insieme, la salsa di cipolla di Giarratana abbinata, spunto geniale, al coriandolo.
Vai alla Scheda
BONUS – Katsuo: Jiro Ono, Sukiyabashi Jiro
Tonnetto (bonito). Leggermente affumicato, gusto e consistenze indescrivibili plasmate dalle mani di un uomo unico.
Una preparazione a rappresentare un momento di Passione Gourmet, a cavallo tra il 2013 e il 2014, in cui il Giappone è stato assoluto protagonista.
Lo sarà ancora, nei prossimi mesi, perché la cucina e la cultura giapponese creano dipendenza, sono come un seme che piano piano germoglia e ti cresce dentro.
Vai alla Scheda
Semplicemente, in Italia, un locale così non c’era.
Perché non si tratta più di avere la cucina a vista, ma di eliminare ogni barriera tra cuoco e cliente.
E se l’angolino ritagliato in sala per una piccola zona preparazione non è una novità, basti pensare ad alcuni famosi neo bistrot parigini, quello che è nuovo è vedere al lavoro una intera brigata da grande ristorante, comodamente seduti al proprio tavolo. Come se ogni tavolo della sala fosse la table du chef.
Ai frequentatori del locale parigino di JF Piége non sfuggiranno alcuni richiami, sia nell’arredo che nella proposta del menù (con gli ingredienti a scelta), così come alcune sensazioni avvertibili negli Atelier di Joel Robuchon (ma a San Zeno ci si accomoda ai tavoli, non al bancone). O ancora dettagli legati a proposte ristorative più tipiche del panorama asiatico.
Non è certo un ristorante adatto a uno chef burbero, tutt’altro: qui sarà normale aspettarsi un servizio al tavolo con annessa spiegazione del piatto da parte di Giancarlo Perbellini. E’ l’evoluzione finale di un percorso che ha visto piano piano il cuoco uscire dalla sua cucina e prendere contatto con i clienti, fatto impensabile fino agli anni 50 del secolo scorso. Ora non saranno più concesse serate con la luna di traverso perché il sorriso non si potrà negare a nessuno (e i bravi uomini di sala lo sanno bene): aspetto certamente logorante ma anche incredibilmente stimolante per il continuo e costante rapporto con il pubblico.
Il cuoco entra quindi nella scena e calamita gli sguardi su di sé.
Una sfavillante De Manincor che farebbe la gioia di ogni spadellatore: piastre a induzione, plancha, roner, forni e solo due gas. Una formula uno che romba a pieno regime.
Tante proposte dal menù, per un locale che necessariamente dovrà viaggiare a tutto gas dato l’esiguo numero di coperti (24 al massimo). Quindi c’è la possibilità di un primo turno la sera ad un prezzo agevolato (il classico pre-arena veronese), un menù più articolato con tutte le nuove creazioni della cucina (denominato “Assaggi”) e poi il “chi sceglie… prova”, con due ingredienti da scegliere tra i quattro disponibili che compariranno poi nel menù.
L’obiettivo prefissato sembra raggiunto, in quanto la sensazione è effettivamente quella di entrare e accomodarsi in una casa. E forse, col tempo, questo dettaglio potrebbe essere ulteriormente rafforzato, dando ancora più calore alla sala con alcuni accessori tipici di un salotto casalingo.
La carta dei vini è stata costruita a tempo di record e prevede una selezione di 50 vini italiani e 100 stranieri secondo i gusti della proprietà (quindi con la Borgogna a farla da padrone). Manca ovviamente un po’ di profondità di annate, ma permette già di bere molto bene.
La cucina è sempre quella di Giancarlo Perbellini, già perfettamente calata nella nuova realtà.
Una cucina che non rifugge quindi le rotondità, le dolcezze, le curve delicate. Ma sa anche dare delle improvvise accelerate, e in questa visita è stata una quaglia affumicata a farci sobbalzare sulla sedia.
Il locale è aperto da poche settimane, quindi rimandiamo il giudizio, comunque il livello della proposta è già paragonabile a quello di Isola Rizza. Cambia totalmente il contesto, e adesso non si potrà davvero iniziare una recensione scrivendo di capannoni e strade di campagna. La Piazza è quella di San Zeno e l’Arena è solo a 10 minuti di cammino.
Ci sono anche a disposizione alcune camere, per chi volesse dormire a pochi passi dal ristorante.
Una nuova sfida, moderna e coraggiosa: non può che far piacere, soprattutto in questo momento storico e economico, vedere che c’è gente che ancora ci crede e ha voglia di investire nel nostro Paese.
Cuochi ai nastri di partenza.
Il menù “in busta”.
Sfera ripiena di spritz liquido.
Tarteletta di storione.
Pancia di maiale con salsa agrodolce.
Ravioli ripieni di crema brulé al mais, caviale affumicato, panna acida, storione.
Sarà un grande classico, perché il gioco tra il mais e l’affumicatura è perfettamente riuscito.
Uovo strapazzato, spuma di patate acide, spinacini, polvere di topinambur e caramello al mandarino.
Scampo, maionese ai ricci di mare, frolla al basilico, yogurt e limone.
Il caramello al limone regala una bella profondità al piatto, la spennellata di caprino la morbidezza.
Scampo di grandissima qualità.
Spaghetti cremosi alle vongole, uovo, verza e capperi.
Ravioli farciti di pecorino, brodo alla menta e tartufo nero.
Chef all’impiattamento a mezzo metro dal vostro naso.
Quaglia affumicata, pomodori confit, pistacchio e carciofi. Piatto favoloso, il migliore della giornata. Profondo e complesso, sorprendente pur mantenendo le classiche caratteristiche della filosofia Perbellini.
Vitello in crosta di nocciola. Cottura favolosa.
Pre dessert: un mangia e bevi al cioccolato bianco con ripieno di mandarino e pera.
Dessert: una base di frolla, lamponi e poi due consistenze di cioccolato. Un dessert straordinario, da grande pasticceria.
Piccola pasticceria.
Il vino del pranzo.
La cucina.
Dettagli.
ZUPPA PAVESE
Si narra la Zuppa pavese nascesse in mezzo alle guerre che Franza e Spagna combattevano sul suolo di un’Italia divisa.
Uno sconfitto re di Francia, Francesco I, rifugiatosi dopo la battaglia di Pavia in una cascina, sarebbe stato rifocillato da una contadina con tutto ciò ch’ella aveva da mettergli in tavola: una fetta di pane raffermo, un uovo, del brodo magro e vegetale, in questa successione e sintesi, uniti dall’urgente necessità del momento. S’era nel 1525.
La matrice di un piatto che si fa ancora. Tanta è la forza del nostro brand: non dimenticare le radici, superare i punti di crisi, rinnovando e reinventando la tradizione senza perderla.
Chi codesto metodo in cucina non l’ha nel proprio dna può creare sul momento, sulla Moda, ma lascia poco o punto traccia, muore nell’effimero.
Lopriore, il cuoco che più di tutti scava l’essenza, rifà questa zuppa, ma concentrata …in un uovo! V’è un magnifico tuorlo, del brodo di radice di prezzemolo e midollo, un tocco in chiaroscuro di gocce di cardamomo nero, crosta di pane, parmigiano, prezzemolo, memoria in limone disidratato (a ricordar pavesi passatelli).
Si mangia d’un tratto la storia, ma viva, si assume in un flash che non si dimentica tutto un regno dei sapori, concentrati in bellezza. Obliando giochi di tapas, ossequi alle sguide.
Piatto d’attualità, com’è sempre una verticale, o il buon millesimo, mica sempre solo l’ultima annata!
Una famiglia che lavora bene: con testa, entusiasmo e cuore.
Che fa le cose che sa fare, e le fa nel miglior modo possibile.
Che ama i ristoranti tanto quanto li amiamo noi.
Ecco in tre righe la Locanda San Lorenzo.
Lo percepisci subito quando un ristoratore non ama stare solo dalla parte “calda” del pass, ma adora il vino e il cibo anche come cliente e tutte le volte che ne ha la possibilità va in cerca di grandi tavole da amare e bottiglie da stappare.
Lo capisci dalle bottiglie che accumula in cantina, dalla lacrimuccia che gli scende quando gli ordini una etichetta importante, che è sì un incasso sicuro ma anche un piccolo pezzetto di “tuo” che se ne va. Appassionati che hanno scelto un mestiere per sguazzare in questa passione.
Allora il calore, il piacere di rivedersi dopo tempo, la chiacchierata dopo cena, non sono più necessità dettate dal lavoro, ma le cose più spontanee e naturali possibili.
Non abbiamo sentito mai nessuno parlare male di questo posto, e un motivo ci sarà.
Un motivo potrebbe essere la cantina: una carta dei vini splendida, piena di chicche a prezzi estremamente ragionevoli. Non sarebbe ridicolo salire fin quassù solo per stappare qualcosa di importante.
Ma la cucina non è da meno, in particolare quella legata al mondo carnivoro.
Il consiglio è proprio quello di by-passare i piatti di pesce e gettarsi a capofitto su selvaggina, agnello e affini.
C’è una ricerca incredibile, fatta di piccolissimi fornitori e lontana anni luce dalle catene del gusto. La differenza si vede e sente. Una beccaccia così, la si mangia qua e in pochissimi altri posti.
O ancora l’agnello: una variazione che ha pochi uguali in Italia per gusto e qualità della carne.
È cucina concreta, fatta di cotture attente, tantissima solidità e pochi slanci fuori misura.
Cucina classica italiana, di cui tanto c’è bisogno perché è merce sempre più rara.
La cucina ideale per accompagnare quella bottiglia importante che tanto avete sognato.
E magari proprio qui potrete urlare: “si può fare!”
Amuse bouche
Lumache croccanti, salsa all’aglio e erbe
Unico piatto non troppo convincente, per una lumaca che manca di intensità di sapore.
Sandwich di cervo e foie gras, salsa ai lamponi, mostarda di cipolla
Risotto alla beccaccia
Capolavoro assoluto, grandissima beccaccia.
Cervo, castagne, zucca e succo di melograno
Degustazione di agnello. Sempre imperdibile a questa tavola.
Stracotto con polenta
Pancia arrotolata
Frattaglie
Cervello e carrè fritti
Filetto
Crumble salato e cremoso al pistacchio con gelée al limone, gelato di ricotta e yogurt e biscotto all’olio extravergine di oliva
Arancia, mascarpone e zenzero
Piccola pasticceria
I colpi sparati per l’occasione:
Meursault Les Tessons, Clos de Mon Plaisir 2006 – Roulot
Clos de Vougeot 2001 – Domaine Leroy. Un vino incredibile, capace di evolvere nel bicchiere all’infinito. Una sottile nota di cacao si nasconde tra mille sfumature fruttate. Mostruoso.
Un rapido sguardo in cantina
La sala del ristorante (ma noi vi consigliamo il più familiare tavolo “lato bar”, di fianco al camino e vista cucina, altresì conosciuto come “tavolo del notaio”)
Ci sono luoghi eterni, troppo belli per essere capiti, creati forse con l’unico obiettivo di stupire, sempre e comunque.
Venezia è uno di questi.
I canali accompagnano il passeggio lungo le calli, su e giù per i ponti, con improvvisi scorci che si aprono nei campielli, per poi ricominciare il proprio vagare errante, alla ricerca del niente, semplicemente seguendo il bello.
Arrivati in piazza San Marco ci si trova spesso ad osservare la Giudecca, isola dirimpettaia, scoprendosi particolarmente creativi nell’immaginare cosa possa succedere dall’altro lato del canale.
Ebbene, sull’altra sponda si trova un luogo che in qualche modo, con le dovute proporzioni, riesce ad essere uno dei simboli della Serenissima: l’Hotel Cipriani.
Nelle cucine che diedero i natali al carpaccio, da qualche mese si respira un’aria nuova.
Trevigiano di nascita, con un glorioso passato in Francia, lo chef Davide Bisetto officia all’interno del ristorante Oro, riuscendo a coniugare la tecnica ed il rigore creativo francese con l’emozione ed i sapori tipici della laguna.
La sala sontuosa, con candelabri in vetro soffiato di Murano e divani di sobria eleganza, si immerge nell’atmosfera placidamente sofisticata che Venezia ha insita in se stessa.
La clientela internazionale viene curata attentamente da un team di sala preparato ed affiatato.
La carta dei vini, seguita da ben tre sommelier, permette di sbizzarrirsi nella scelta del compagno di avventura, spaziando dagli impeccabili grandi classici francesi fino ad arrivare ai caratteri più irriverenti delle numerose chicche biodinamiche presenti in lista.
La cucina di Bisetto si veste, per il momento, di un abito didattico, volto ad educare i clienti storici dell’Hotel Cipriani, accompagnandoli per mano sul ponte che separa Calle Vecchia da Calle Nuova. Il risultato è una cucina tecnicamente impeccabile, che osa non oltre il consentito, più attenta alla qualità ed autenticità del prodotto che all’estro adoperato per lavorarlo.
Ecco quindi che gli ortaggi, selezionati da piccoli produttori locali, danno vita ad “Underground, tutto sotto terra”, in cui una variazione di rape, il dressing ai legumi, l’olio in infusione con 28 tipi di verdure diverse, creano un’insalata di grande personalità, in cui le consistenze e le note terrose delle verdure si armonizzano con la vena lipidica data del dressing di legumi.
Il pranzo prosegue sulle ali della delicatezza, con quella finezza che solo i francesi possono vantarsi di avere, e che Bisetto può andar fiero di aver appreso. “L’Americana di canoce” è un omaggio alla laguna, ai suoi sapori ed odori, riproposti e declinati con infinita classe.
Ma è il carpaccio di seppia, conchigliacei, spugna di peperone, mantecato di cozze alla marinara e acqua di conchigliacei il passaggio che rende maggiore giustizia al cuoco, che dimostra di avere personalità da vendere, reinterpretando il piatto più celebre mai creato al Cipriani in chiave marina.
Si prosegue, le mille attenzioni dei camerieri si susseguono, l’atmosfera è elegante, leggera, positiva. Lo chef fa il giro dei tavoli, chiede opinioni, ascolta, spiega i suoi piatti. Non è facile capire ed adattarsi ai ritmi veneziani, ancor meno se lo si fa avendo sulle spalle i fasti di un mostro sacro come l’hotel in cui sorge il ristorante Oro.
Il cielo è stellato, l’acqua è spezzata dalla prua della barca che fa da collegamento con piazza San Marco, le luci in lontananza cominciano a traballare e il pensiero si posa sulla serata appena trascorsa. Consapevoli di essere al cospetto di un cuoco preparatissimo si torna verso casa con la brama di poter tornare al più presto in un luogo magico come il Cipriani, aspettandosi qualche altra piacevole sorpresa.
L’ingresso del ristorante.
Il benvenuto della cucina, pan di zucca, foie gras, tartufo bianco e aceto balsamico. Decisamente un buon inizio.
L’ottimo pane fatto in casa.
Il burro.
La selezione d’olio. Siamo in una città dove l’utilizzo del burro e quello dell’olio si equivalgono e Bisetto dimostra di averlo capito subito.
“Underground, tutto sotto terra” variazione di rape, dressing di legumi e olio con infusione di 28 tipi di verdure.
Insalata di alghe crude, alice alla scapece di spezie orientali, tonno, spuma di vongole, spugna di prezzemolo e dressing di coriandolo. Piatto complesso che richiama il fatto che Venezia fosse la punta d’oriente da cui passavano spezie ed erbe aromatiche di ogni genere.
Granseola, alici marinate, granita di cetriolo, acqua di bloody mary e aspic di fragola. Altro bel passaggio, fresco e decisamente gradevole.
Carpaccio di seppia, conchigliacei, spugna di peperone, mantecato di cozze alla marinara, dressing di acqua di conchigliacei. Piatto della serata.
“Americana di canoce”. Variazione di granchi, fumetto di canoce, polpettina di gransoporo, raviolino di garusoli, schie, gamberi rossi crudi e canoce crude. La laguna nel piatto.
Tortellini ripieni di ossobuco, consommè di gallina e gelatina di whisky torbato. Sfoglia del tortellino perfetta, consommè chiarificato in perfetto stile francese e la gelatina di whiskey che dona quella verve necessaria per imprimere nella memoria un piatto. Molto bene.
Branzino poché in olio, salsa di conserva di ricci di mare e cavolo nero, mozzarella di bufala. Nulla da segnalare, passaggio un po’ anonimo. Lo chef si rifarà a breve.
Agnello laccato al Marsala, polenta in pasta fillo, arance amare e cipolla sotto sale. Carne cotta alla perfezione ma il vero protagonista del piatto è la polenta croccante, davvero straordinaria.
Anatra, dragoncello, melograno, fondo all’amarone e topinambur e una crocchetta con le cosce del volatile. Ottimo.
Branzino in salsa Matsushima, verdure del giardino e garusoli. Lo chef avendo percepito un nostro tentennamento riguardo il branzino presentatoci precedentemente ci propone in chiusura di cena quest’altra versione, presente in carta fino a qualche giorno prima della nostra visita. Il risultato è decisamente migliore del precedente. Piatto complesso, profondo, con forti riferimenti alla cucina giapponese che in questo caso si fonde perfettamente con i prodotti lagunari.
Soufflè, rosa canina, rosolio e mirtillo rosso.
La cassata.
Raviolini dolci con rum, limone, fichi secchi e noci.
Il servizio del thè in stile giapponese. Una delle tante attenzioni non scontate che si possono trovare al ristorante Oro.
La tavola delle cioccolate. Ottimo modo per chiudere in bellezza una serata trascorsa in un luogo magico.
Il giardino dell’hotel.
La laguna.