Passione Gourmet Dicembre 2013 - Passione Gourmet

Per le strade di Tokyo

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La bellezza del viaggio è legata alle sue infinite sfaccettature: non è rinchiudibile in uno spazio temporale ben preciso. Il viaggio si ramifica dentro di te.
Prima della partenza: quando leggi tutto quello che ti capita sotto gli occhi legato anche solo marginalmente alla tua meta, con una avidità di conoscenza che ha pochi uguali; quando programmi itinerari, spostamenti, tavole e locali da non perdere; quando conti i giorni che ti dividono da quell’aereo.
Alla partenza, nel momento in cui guardi negli occhi i tuoi compagni di viaggio e vedi in loro il tuo stesso entusiasmo.
Certamente prende forma nel momento della scoperta, dell’incontro di nuove culture e nuove realtà.
Ma il viaggio continua anche nel ritorno a quella che definiamo casa, qualsiasi cosa essa sia: si perpetua nei ricordi, nelle emozioni, in quei flash che si stampano nella tua mente senza nessuna intenzione di abbandonarla. Rivedere le foto è qualcosa di unico, un misto di bellezza e malinconia che ti stringe lo stomaco e ti fa rivivere sapori ed esperienze.
Quando poi la meta del viaggio è quella terra che da sempre sogni di visitare, tutto assume un carattere estremo. Questo è stato per noi il Giappone.
Per un gourmet, un viaggio in Giappone è la chiusura di un percorso iniziato, è quella pausa dopo un discorso importante, nell’attesa di riprendere a parlare. Da qui si riparte con una consapevolezza maggiore.
Abbiamo sentito più volte sussurrare timidamente che, al netto delle mode, passato e futuro della cucina siano legate alle tre sorelle Francia – Italia – Giappone.
Lasciamo al tempo delineare la storia: certo è che quanto provato nel Sol Levante ha ricalibrato i nostri parametri di valutazione.
Non esiste un modo giusto per viaggiare, ognuno troverà piacere in quello che è il “suo” modo.
Certamente un gruppo come il nostro non può che ritenere una immersione nel cibo locale una delle modalità migliore per conoscere un popolo.
Questo è ancora più vero in una città come Tokyo, che non ha niente di particolarmente bello da visitare (il paragone con le grandi capitale europee non può reggere) eppure ti entra dentro come poche altre. Una città gigantesca che, tuttavia, regala sempre la sensazione di essere a disposizione, di lasciarsi scoprire a poco a poco come in un lento corteggiamento.
Così come lo sono i suoi abitanti, apparentemente schivi eppure sempre capaci di sorprenderti con un gesto di calore, un sorriso o semplicemente una cortesia.
Tokyo è da scoprire perdendosi tra le sue mille strade, scovando i suoi angoli più nascosti e i tanti diversissimi quartieri.
Con una carrellata di foto vogliamo cercare di fare vivere anche a voi alcuni dei “nostri flash” e condividere anche solo parzialmente le nostre emozioni.
La malinconia ve la risparmiamo, quella attanaglia noi dal giorno del nostro ritorno…

Le “attrazioni gastronomiche” non si contano.
Parlando di pasticcerie possiamo aprire un capitolo immenso: in Giappone c’è una vera e propria venerazione per i dessert e sono quindi tantissime le insegne dove trovare dei dolci di grande fattura.

Tra i pasticceri giapponesi di scuola francese il numero 1 è probabilmente Hidemi Sugino: nel suo punto vendita a Kyobashi si possono provare le sue specialità in monoporzione, in particolare mousse di cui è un vero maestro. All’apertura potreste anche trovare della coda per accaparrarsi le creazioni migliori: le porzioni vengono infatti prodotte in numero limitato e quando finiscono…finiscono. Superlativo in tutto e per tutto.

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Altro pasticcere legato al modello francese è Sadaharu Aoki (ci sono più punti vendita sparsi per la città) ma anche nel campo della pasticceria tradizionale giapponese si possono trovare delle cose incredibili. Lasciarsi sfuggire l’assaggio di un baumkucken (fantastici quelli di Nenrinya) o di un dolce alla castagna sarebbe un vero peccato.

La vetrina del punto vendita di Aoki a Marounochi

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Negozi di pasticceria giapponese

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Sampuru: riproduzioni in cera di ogni genere di cibo, una tradizione secolare.

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Cosa avrà voluto dire…?

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Un minuscolo ma fornitissimo bar nel quartiere di Ginza.

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Altra modalità sempre consigliabile per approcciarsi a un nuovo paese è quella di visitare i suoi mercati. Parlando di Tokyo non si può non pensare al Tsukiji Market: il più grande mercato ittico del mondo, vi lavorano circa 65 mila persone giornalmente. Famosissima la sua asta dei tonni, anche se noi non ve la consigliamo in maniera particolare (non vale la pena recarsi al mercato alle 4 di mattina e attendere molto tempo per una asta di cui coglierete solo alcuni gesti). Meglio svegliarsi con calma e farsi un bel giro nella parte aperta al pubblico dalle 9 in poi.

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Il temibile mezzo di locomozione degli addetti del mercato: sfrecciano alla velocità della luce, occhio!

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Molto interessanti anche i negozietti posti nelle vicinanze del mercato, sia di cibo che di coltelli. L’offerta culinaria anche solo in questo settore è smisurata e si può mangiare molto bene con poco impegno economico.

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Anche i ristoratori giapponesi odiano i fotografi…

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Non solo pesce.

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I costosissimi funghi Matsutake al mercato Ameyoko.

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Tanto street food girando per Tokyo
Yakitori: spiedini di pollo

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Takoyaki: delle palline fritte dalla temperatura interna infernale. Occhio alla lingua!

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L’efficientissima metropolitana di Tokyo: puntuale e ramificata in ogni angolo della città.

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Alle volte approcciarsi a una mappa può essere complicato. Il nostro consiglio per evitare di perdervi è di procurarvi una scheda sim dati giapponese per il vostro smartphone e poi utilizzare google maps: noi abbiamo ordinato dall’Italia questa http://www.bmobile.ne.jp/english/ e ci è stata consegnata direttamente in albergo. Non si trova in Giappone, quindi prenotatela prima di partire.

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Interessante una passeggiata serale al Golden Gai, vicino alla zona di Shinjuku, un dedalo di stradine piene zeppe di minuscoli locali dove fare conversazione e bere qualcosa. In pratica pagate il diritto di occupare una sedia e poi potete fermarvi anche tutta la sera.

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Il famoso incrocio di Shibuya: l’attraversamento pedonale più frequentato del mondo.

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Il Quartiere Roppongi.

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Una insegna “amica”.

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La stravaganza è all’ordine del giorno: una ragazza-Lolita.

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Il mitico Bento Box!

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Carrellata finale…

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Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio

La cucina elegante, creativa, gourmet e al tempo stesso gourmand di Corrado Fasolato ha trovato ora la sua degna dimora.
Dopo aver diretto, tra le altre, le brigate di due alberghi del calibro del Ciasa Salares in Alta Badia prima, e del Metropole nel cuore della Serenissima poi, lo chef è tornato nella sua terra natia.
Qui, da quasi un anno a questa parte, nella dimensione a misura d’uomo che si è ritagliato, questo folletto dei fornelli sembra aver trovato l’humus ideale per continuare a esercitare con successo il proprio indiscutibile magistero.
Vale la pena, innanzitutto, sottolineare la struggente bellezza della piccola sala al primo piano di questo spigolo (spinechile) di montagna, originariamente una stalla ora deliziosamente ristrutturata.
La magnifica vetrata sulle colline digradanti verso Schio rallegra vista e spirito e, dai soli quattro o cinque tavoli presenti, ancor prima dell’arrivo delle pietanze, offre la possibilità, spaziando con lo sguardo, raccolti in un’atmosfera di ovattato silenzio, di predisporsi nel migliore dei modi all’imminente pasto.
Spinechile resort di nome, ma Fasolato resort di fatto, essendoci moglie e figlia dello chef in sala, abili a governare brillantemente e con solerte grazia il traffico ai tavoli e padre e figlio ai fornelli, compatti nel fornire un mirabile esempio di realizzata ed efficiente azienda familiare.
Non essendoci più, infatti, alle spalle la solidità delle strutture alberghiere di cui sopra, spese e costi della novella risorsa sono stati saggiamente ottimizzati.
Il risultato è l’imperdibile opportunità di provare due menù, a 75 e 65 euro, il che rappresenta, a questi livelli, impresa davvero ardua da emulare.
Piatti come la capasanta in tempura al nero in zuppetta di melone e anguria, i tortelli ripieni di melanzana con delicata amatriciana di scampi o il maialino con pesche, finferli e polvere di camomilla sono la perfetta sintesi di uno stile di cucina che vuol essere rassicurante per intercettare il gusto della più ampia gamma di clientela ma non dimentico anche di soluzioni più ricercate per la costruzione di piatti ispirati e originali.
In quest’ottica certe morbidezze restano forse un po’ eccessive, latitando contrasti o giustapposizioni più stimolanti, ma la finezza e la compiutezza delle preparazioni è sempre assicurata.
La strada per arrivare qui è alquanto impegnativa, mancando soprattutto di chiari segnali nella parte finale del percorso, ma la ricompensa, una volta giunti, è, a dir poco, appagante.

Mise en place con vista.
mise en place, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Pane.
pane, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Pomodoro e origano fatti con la moka e mozzarella, croissant salato con mostarda e soppressa, una firma dello chef.
Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Crudo di gamberi, gelatina di mojito, nervetti di manzo, crocchè di gambero fritto.
Un goloso crudo e cotto.
crudo di gamberi e gelatina al mojito, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Capasanta lardellata in tempura al nero di seppia, foie, melone e anguria.
capasanta lardellata, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Carpaccio di branzino, spuma di patate, tuorlo d’uovo e cacao.
carpaccio di branzino, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Zuppa di trippa con caviale.
zuppa di trippa con caviale, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Tortelli ripieni di melanzana con amatriciana di scampi, spuma di casatella.
tortelli ripieni di melanzana, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Gargati fatti in casa con siero di caffè, parmigiano e crudo di cervo. Davvero ottimi.
Gargati, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Maialino da latte con pesche, finferli e polvere di camomilla.
maialino d alatte, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio, secondo piatto
Piccione affumicato con tonno, rabarbaro e purè di ortica.
piccione affumicato Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Spuma di yogurth, cioccolato bianco, lampone e granita al sedano. Molto fresco.
spuma di yogurt, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Mascarpone, gelatina al frutto della passione, macaron, olive, capperi e gelato al pistacchio.
mascarpone, gelatina,Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Una chicca in bianco di un grande rossista.
vino, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Esterno.
esterno, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Ingresso.
ingresso, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio
Panorama.
panorama, Spinechile Resort, Chef Corrado Fasolato, Schio

Abbiamo deciso di ospitare un caro Amico, Gianni Revello, ed il suo racconto di un uomo ed un cuoco di cui ho stima infinita. Peccato averlo perso, era a pochi chilometri di distanza da casa mia. Ha chiuso il suo regno ed ora si può solo apprezzare vedendolo insegnare ad ALMA quell’arte preziosa che lui possiede e padroneggia. Peccato perché credo che Luciano Tona sia uno dei più grandi cuochi che l’Italia abbia saputo esprimere, non riconosciuto sino in fondo per i suoi meriti e le sue capacità.

Luciano ci manchi, con Affetto e Stima

Alberto Cauzzi

Luciano Tona
frazione di Sanguigna, Colorno (Parma)
Sabato 16 Novembre 2013

Pranzo di caccia

Franciacorta Pas Dosé 2006 magnum Il Mosnel
Tartellette di fagiano
Ostrica, formaggio di capra
Torta di campagna di cacciagione
Pane ‘biscottato’
Burro salato affumicato
‘Nduja
Macarons

Ribolla gialla 1998 Radikon
Uovo con missoltini, tartufo bianco d’Alba.

Moscato Passito di Pantelleria Martingana 1996 Murana
Paté di colombaccio al vin santo, burro di arachidi.

Carmenèro 1999 Ca’ del Bosco
Riso, beccaccini, spuma d’ostriche.

Colli Orientali del Friuli Refosco 1990 Moschioni
Barolo Riserva La Rocca e La Pira 1990 Roagna

Alzavola,
Germano reale,
Fegato grasso d’anatra, Tartufo bianco d’Alba;
Salsa royale;
Mostarda di mandarino;
Crema all’aglio.

Amarone Recioto della Valpolicella Classico Superiore 1990 Bertani
Tordi

Oltrepò Pavese Riluce 2007 Montescano
Merlot Collio 1990 Radikon

Formaggio erborinato, cioccolato bianco, fico essiccato
Tumin d la paia delle Valli di Lanzo, tartufo bianco d’Alba

Pasticceria autunnale Romanengo, Genova
Patata, caffè, panna

Varietà di cioccolatini
Caffè
Anice; Grappa; Whisky (Scapa 1989); Cognac (X.O Hennessy)

Il tono profondo della cucina italiana

Ci sono persone che fanno da ponte tra le epoche, che traghettano generazioni, e Luciano Tona, cacciatore, allevatore, anfitrione, maestro di cucina antica e moderna, è una di queste.
Un gruppo di amici vecchi e nuovi è stato invitato alla sua tavola.
Saranno ore di felicità. Per l’accoglienza, per la serenità del luogo, per la conversazione, per i vini (chi, ancora con altrettanta alma, ha mosso i fili che hanno unito il piccolo gruppo ha anche rimosso da qualche bella cantina una decina di assai commendevoli bottiglie), e per il cibo, col quale, attorno al tema “caccia”, si andranno a toccare tutta una gamma di tasti dell’arte di una grande cucina, italiana.

La tavola è imbandita.
La prima cosa che salta all’occhio, la più semplice, apparentemente: un vassoio col pane biscottato (o tostato, o bruscato, a dir si voglia, le fette di pane erano state sottoposte a un particolare ripasso a una fonte di calore intensa, in modo da esaltarne certi caratteri).
Registrarne subito la peculiare bella presenza (nell’insieme del contenuto del vassoio, forma e profumo; e nelle singole parti, in spessore, in colore -unico-, crosta, alveolatura, tipo di consistenza/secchezza -che tutto questo può già valutare l’occhio, e però al meglio dal vivo più che per immagine riprodotta- e non solo per l’impossibilità della riproduzione olfattiva) per capire al volo che da queste parti i due poli della cura del particolare e dell’efficacia del risultato probabilmente non andranno mai ciascuno per fatti propri, come di tanto in tanto, o spesso, succede anche in cucine zeppe di titoli.
Una perdita di contatto, quella tra la cura del particolare e l’efficacia del risultato, la quale, anche al più alto livello, può venir fuori quando c’è un format, o ‘firmat’, dietro a quello che mangi. Senti che c’è come un obbligo a dimostrare qualcosa, e a reiterare un modello. E questa volontà d’esibirsi della cucina alta può pure stupire, può sì conquistare, far evolvere e dar lustro al palato, ma può anche sclerotizzare l’emozione, e rosicchiarti un po’ di magia.

Mi si dirà: spacchi capelli in otto, e il tutto a partire da un banale (banale? …parli come badi!) pezzo di pane (il pane! …metafora della lingua sulla quale si posa il cibo) per di più. Ma, con passione, dopo un po’ che si mangia non è che più di tanto interessi ancora coltivare il gusto. Si diventa cacciatori di magia.
Il gusto scala all’indietro nella civiltà che è sua, a pescare nel profondo del tempo lungo …al futuro.

Penso che la parola verità debba essere sempre usata con grande prudenza, ma qui a conclusione di un tragitto, lungo, ma breve, sorprendente ma affatto periglioso poiché tracciato con grande perizia, codesta parola mi sentirò d’azzardarla.
Una cucina nella quale l’esibizione non confligge con la sostanza, e neppure la maschera. Una cucina di verità.

Proseguiamo, che in tavola sulla tovaglia fine e candida in bella mostra mica c’era solo il pane!
– Un riquadro ordinato, due in potenza alla quarta, di tartellette.
Le vedi: assai ben costrutte e strizzalocchio, golosamente invitanti, senza superflui ghirigori. Per dare, ben tenuto in altezza, un ‘la’ a una promettente composizione nell’arte del gusto (non è arte visiva, anche se in precipua maniera l’immagine vi recita, non proprio secondaria, la sua parte).
– Una nobile torta di campagna di cacciagione.
Il coltello è lindo ma l’ha già aperta a metà, e una fetta pronta a staccarsi…
Un concerto domestico: era così che per lo più si eseguiva la grande musica in passato.

– Una ciotola di burro non qualsiasi;
– Una ciotola con contenuto di un bel colore rosso vivo;
– Una piramide ordinata (piccola scultura minimalista -nove, quattro, due-) di macarons chiari, che il padrone di casa ci definirà come “neutri”.

ORA SI PARTE!

Aperitivo: Franciacorta Pas Dosé 2006 magnum 355/400 Il Mosnel
Mangio una delle squisite tartellette di fagiano. Sapori, consistenze.

Col manico in loop, ecco vien messo in tavola un cucchiaio di pregio. Inizia il servizio con una giravolta. E’ il primo dei due interventi marini (e tra l’uno e l’altro un terzo sarà lacustre) durante il pranzo, sovversivi del tema ‘caccia’.
Questo dice in partenza che un tema non deve essere ossessivo. La presenza di temi secondari esalta il tema principale.
E poi qui nella fattispecie ci trasmette un ricordo dell’esperienza iodata nel dna di un animale da piuma che in seguito si presenterà in tavola.
E voilà la nettezza fresca e sapida di un concentrato d’ostrica (dal sapore vivo, si capisce che dietro a questo effetto c’è una grande tecnica di un genere non convenzionale, la cucina, come ogni cosa, non cessa mai di evolvere, e il nostro cuoco sa bene anche questo) accompagnato da un tocco morbido e piacevolmente acidulo di formaggio di capra.
Quanto mai elegante ed efficace. Le papille definitivamente si svegliano! (…non che prima dormissero, messo a punto l’allestimento già pronte al lancio!)

Subito dopo arriva un pezzo della torta. Che dire: l’immagine parla da sola. E il gusto (se è l’immagine ad apparecchiare l’esperienza, è il gusto che spazzola il piatto) diceva molto di più.

Leggera e ben presente, sottilmente aromatica, stupenda la gelatina, che prima stava tra la crosta dorata e il ripieno.

Assaggio dunque l’ottimo burro salato affumicato, va sul pane biscottato (già sgranocchiato prima un po’ da solo e un poco con la torta).

Quindi un’esperienza insolita, e memorabile, in due passaggi.
L’impasto rosso era ‘nduja! (il salume spalmabile calabrese, …e ci sono tra i 250 e i 350 g di peperoncino per chilo!)
Naturalmente una piccantezza inusuale, che potrebbe sconcertare. Non certo noi tutti, che nel dar fuoco alla mappa del pane abbiamo assecondato volentieri il disegno del cuoco. Vediamo dove porta.
La stimolazione principale, si sa, con questo piccante non è quella papillare che va ad attivare l’innervazione gustativa, bensì quella, non gustativa ma eminentemente tattile, che viaggia a sua volta verso il cervello ma attraverso i sensibili rami trigeminali. Con l’attivazione di un meccanismo dolore/piacere che molte cucine del mondo sanno usare per stimolare, per accendere di flash luminosi il gusto. E poter ottenere un gusto non stanco con economia di mezzi è piacere e salute.
Ma qui ci si potrebbe chiedere: la ‘nduja nei pre-antipasti? E che, non ti fulmina il palato?
E allora intanto dipende dalla quantità e poi un conto sarebbe metterla nuda a spalmo in bocca (effetti più o meno devastanti), un conto farla arrivare in carrozza sul nostro pane e insinuata tra i suoi alveoli in modo che la piccantezza percepita sia variamente distratta, intervallata di carboidrato e di croccante, e dunque tosta sì rimane suonando però ben più gradevole.

A seguire: macaron. La fattura è perfetta, degna dei migliori parigini. Neutro subito pare, dopo il piccolo choc di prima, ma poi si fa strada, è netto, dolce e salato, emerge, per poi di nuovo essere sommerso nel conflitto col piccante precedente che ancora riappare, rimbalza in bocca, via via attenuandosi moderato dal macaron che di carattere infine, neutro per niente, ne ha da vendere. Tra le sensazioni tattili e quelle più strettamente gustative s’instaura insomma una sorta di Combattimento di Tancredi e Clorinda senza vincitori né vinti.

Entusiasmante e suggestivo questo confronto e scontro tra culture. Condotti da un grande arredatore/architetto del gusto che sa come modulare la presenza nella stessa stanza di una toccante scultura d’intaglio antico con quella di un elegante mobile Déco.

Lo ying e poi lo yang, mostrati in purezza in una cucina. …Chiudono col botto l’episodio dell’aperitivo.

Non ho foto del tavolo. E della sala mostro solo un angolo di parete (rossa, calda), il soffitto, e il lampadario intrico di radici e di luci, giusto sopra le nostre teste.

Uno degli ospiti, piemontese, è arrivato con due belle trifole. Benemerito!
Il cuoco è lombardo. Emiliani la maggioranza degli ospiti. C’è un ligure.

Qualche volta mi è capitato, non sai quando succede e diventa uno dei pranzi della vita

Il tuorlo ha solo sentito quel minimo di calore ed è preservato in tutto il sapore superbo;
è accolto nel suo albume aperto in quattro spicchi, cotto in modo da ottenere una morbidezza, una consistenza unica, per un gusto toccato da una grazia. Il tuorlo la corolla e l’albume i petali.
La salsa a latere dà ancora carattere (grasso gentile, gentile proteina), ma non soffoca, fa da buona spalla.
Indi, …calata di tartufo!
Il risultato si vede, no? Una bomba!
…Ma non si vede tutto! Il cuoco ha i suoi segreti: nascosto alla prima vista, sotto l’insieme, in pezzi minuscoli, si celava una rarità gastronomica: i missoltini (agoni del lago di Como salati ed essiccati; i quali vantano una storia che risale al Medioevo) a dare ulteriore slancio. …Cosa non si può fare (saperlo) con un uovo!

Il tema principale del pranzo è: animali da piuma.
Avremo: fagiano, colombaccio, beccaccino, alzavola, germano reale e tordo

Questo era il paté di colombaccio al vin santo. Non aspettatevi il solito paté: raffinatezza e puntualità del sapore ancora uniche, ma qui l’immagine rivela ben poco del gusto. Dovete farvelo rifare!
C’erano poi due tocchetti della gelatina e un ricciolo di burro d’arachidi a modulare il sapore
Da osservare in questo come in altri passaggi la ben pensata calibratura delle proporzioni decisiva per una piena soddisfazione e comprensione della portata.
Col paté come perno, sia il singolo elemento che la loro combinatoria producevano una piacevolezza crescente.
Un solo assaggio, e via, è quasi sempre un delitto, ma soprattutto più è buona la cucina e meno si capisce del dato essenziale della dinamica del piatto (schematizzando: statica, che annoia; crescente, che piace vieppiù; decrescente, che stanca; variata, e in qual modo, che è la più interessante).

Per la portata successiva un vino a quiz portato in tavola dal padrone di casa, scaraffato

Cortocircuito di eleganza e schiettezza. Per la scala cromatica e per le forme. Fondo, chicchi, spuma. E, ben piantati, in presenza quasi ruvida, i beccaccini. Il beccaccino ama le risaie. Ancora una volta l’immagine promette l’avventura, la magia.
E, oltre l’immagine, la bontà sarà quasi commovente.
Una concentrazione senza estremi, tra precisione della cottura, sapidità modulata, carattere e originalità del sapore.

“Lenta irrigazione sicura delle risaie della pittura” diceva il grande critico su un grande della pittura.

Parlando dell’arte dei sapori alla parola pittura si può qui sostituire la parola cucina
(spero sempre che emerga un giorno un grande critico che scriva una storia del gusto, italiano, altro; che non sia, qual è ora, abbandonata alla cronaca, un mero collage di tempi presenti, o il resoconto di riunioni di reduci).

E la spuma d’ostrica? Bella, e buona come sa chi l’ha mangiata. La grande cucina non è fanatica di concordanze e chilometri, ha una storia ma non è mai passatista, non illude chi vagheggia il tempo perduto.

Se un bravo cuoco sente che un certo ingrediente un certo sapore una tecnica una consistenza sono quelli che completano la sua idea del piatto è giusto li metta in gioco.

Chi compiace piace, ma l’emozione è l’inedito stupore che si palesa proprio quando si va oltre il compiacimento.

A) Come messo in tavola:

ALZAVOLA
GERMANO REALE

SALSA ROYALE

FEGATO GRASSO D’ANATRA
TARTUFO BIANCO D’ALBA

MOSTARDA DI MANDARINO

CREMA ALL’AGLIO

Piatto clou del pranzo, per me il piatto migliore dell’anno.

compendio di storia della cucina

la qualità delle carni
un’intensità addomestica e no, sapori dimenticati e futuri
fantastiche le cotture

mandarino no arancia
l’aglio nell’alta cucina
salsa con madera

B) …dopo che il cuoco ha di persona versato la salsa

(oltre alla naturalezza, all’efficacia, alla bellezza in generale di disegno e colori del piatto, notare un’ultima perizia: la salsa il foie gras e la mostarda di mandarino soltanto li lambisce e si concentra soprattutto sulle anatre)

C) …ora sul foie gras c’è anche il tartufo

Conclusivo passaggio di caccia: i tordi, all’interno non completamente svuotati ma ricchi di umori, sapori antichi, indimenticabili;
all’esterno classico strato di buon grasso e foglia di salvia.
Fantastici.

Uno spicchio a testa di questo squisito formaggio a pasta molle. E, per chi voleva, ancora qualche lamella di tartufo.

Dessert.

Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo

Se ci fosse ancora bisogno di prove a testimonianza dell’infinita varietà di tipologie della cucina giapponese, tutte interessanti e spesso didatticamente notevoli, ecco quella, significativa, fornita da questo piccolo ristorante del residenziale quartiere di Aoyama.
Le informazioni che lo riguardano sono tutte accomunate dalla generica accezione di “cucina giapponese” e, oltre all’essere tre volte blasonato dalla Michelin, di questo locale poco altro si sapeva.
Ebbene, ci siamo trovati di fronte a una grande cucina tradizionale giapponese, che oseremmo definire casalinga per come i sapori sono presentati con semplicità quasi rustica.
Niente chirurgica efficacia dei maestri di sushi o ieratica progressione della liturgia di una tradizionale cena kaiseki, tanto per intenderci, ma una rassegna genuina e quasi terragna di sapori e ingredienti tipici giapponesi tale da dare la sensazione all’avventore straniero, qui seduto, di essere un autoctono a tutti gli effetti.
Le presentazioni, infatti, sono semplici, essenziali, spogliate da ogni raffinatezza e orpello formale, col chiaro intento di essere rivolte esclusivamente all’esaltazione del gusto, saporite come solo le grandi cucine territoriali sanno essere.
Una salsa al sesamo, un brodo di castagne concentratissimo, il tofu e la zuppa di miso eccezionali, le verdure da coltivazione biologica: sono tutti elementi che compongono un puzzle di notevole intensità gustativa.
Il locale, situato nel piano sottostradale di un edificio molto difficile da individuare, è di spazi ridotti, quasi angusti, come spesso accade nei grandi ristoranti giapponesi ed è caratterizzato da un arredamento minimale.
Una sala principale con quattro-cinque tavoli, una più intima per chi voglia mangiare separatamente e, soprattutto, un servizio commovente per gentilezza, disponibilità, cortesia e tutto quanto possa far sentire a proprio agio un cliente che, nella cultura dei giapponesi, è considerato a tutti gli effetti un ospite.
Dai sorrisi ai convenevoli, fino all’utilizzo di libri e immagini con gli ingredienti dei piatti per supplire all’atavica e strutturale carenza di qualsiasi idioma europeo, tutto viene utilizzato senza parsimonia e con riverente dedizione lasciando stupiti e quasi imbarazzati.
Per un costo, poi, davvero abbordabile, che permette di poter indirizzare qui anche l’ipotetico amico in viaggio in Giappone e a digiuno di nozioni e di specifico interesse per la cultura gastronomica di questo paese, certi che godrà di un’esperienza a tutto tondo soddisfacente.

Mise en place
mise en place, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Crostaceo con salsa giapponese cotto al forno, insalata con salsa di sesamo bianco e con salsa di uva. Ogni elemento preso singolarmente è davvero buono. Magari la combinazione del tutto è un po’ pasticciata.
crostaceo, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Sashimi di striped jack fish, zenzero e wasabi, foglia di pepe. Wasabi grattato al momento. Buonissimo.
sashimi, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Pacific saury, luccio sauro del pacifico (un pesce azzurro), rapa, rafano, salsa di soia. Sapidità spiccate, rustiche.
pacific saucy, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Castagne, panna e latte. Un po’ abbondante. Concentrazione elevatissima. Niente zucchero aggiunto.
castagna panna e latte, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Bighand thornyhead, salsa di soia, dashi, e tofu. La piacevolezza di una grande zuppa di pesce non speziata.
Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo, zuppa
Abalone fritto, pera, sesamo e bieta.
abalone, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Zuppa di miso e riso con patate, foglie di rape, mirin. Veramente ottima.
zuppa di miso, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Fichi, sciroppo di zucchero e fagioli, riso al latte. Che ve lo dico a fare.
fichi, sciroppo di zucchero e fagioli, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Tisana defaticante all’angelica, menta, ginger.
tisana defaticante, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Interno
interno, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Sala privata con tatami
sala privata con tatami, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Cucina
cucina, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo

All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo

Capita, a volte, che un gourmet si innamori di un ristorante e di un cuoco. E quando ciò avviene può accadere che si ritrovi alla sua tavola con una cadenza tale che la gente normale definirebbe “pura follia”. Due, tre volte a settimana. Per mesi, o addirittura anni.
I delicati meccanismi che muovono e determinano, oltre all’anima, anche l’agire di un gourmet sono veramente misteriosi. Se non fosse così, non si spiegherebbe perché, con manifesta facilità, nella sua agenda ci siano elencati locali che egli considera d’eccellenza assoluta, ma che non frequenta per periodi incredibilmente lunghi.
Cosa accade nella sua mente? Non è certamente pigrizia, questa è una delle molte lacune di cui un vero spirito gourmet, curioso e perennemente errante, non può essere certo sospettato. Più semplicemente è una sorta di tirannia dell’autoconvinzione che lì, in quel luogo, in quella cucina, si sta benissimo. Una sublimazione della sicurezza, che già da sola sembra appagare gli istinti primari.
Confessiamo che, a volte, questa spiegazione non basta più. E quando capita di andare in un ristorante come L’Enoteca di Canale dopo tanto tempo, è giusto fare ammenda.
In Italia, infatti, ci sono luoghi che meritano di essere visitati quasi ogni mese, per la loro capacità di emozionare e soprattutto di rinnovare ogni volta quelle sensazioni.
Nel cuore di questa terra gastronomicamente benedetta che è la Langa&Co., il rischio di annoiarsi o distrarsi non c’è proprio. L’imbarazzo della scelta è il primo ostacolo da superare, poi solo gioia e appagamento.
Promettiamo di tenere in futuro sempre presente che all’Enoteca di Canale c’è un grande cuoco, ma anche un grande uomo, che non ama le luci della ribalta.
Davide Palluda interpreta la sua professione e il suo ruolo più come artigiano che come navigato showman. Il che si traduce in una formula semplicemente perfetta per il gourmet: accontentare e assecondare, non sorprendere e stupire.
Palluda è sempre sereno, giustamente convinto dei suoi mezzi, ma privo di quella pressante necessità di vedersi assegnare di continuo riconoscimenti, coccarde, o stelline.
Forse è questa la ragione della nostra latitanza colpevole? Forse. Ma non ci eravamo affatto scordati che Davide Palluda è uno dei più fulgidi esempi di una mirabile cucina fatta di pulizia, nettezza e linearità. Una cucina “sabauda”, che nacque da quella profonda contaminazione che a fine settecento inondò il Piemonte e vide concentrarsi sui prodotti di questa terra stupefacente le tecniche, le preparazioni e le elaborazioni francesi (o meglio parigine).
C’è quindi un luogo straordinario a Canale, in cui la vera forza dirompente sono mirabili preparazioni che solo apparentemente si palesano ai più come tradizionali.
Nascondono, in realtà, una cura maniacale al dettaglio, una perizia tecnica assoluta, una profondità e una purezza gustativa che sono in grado di farti letteralmente sobbalzare sulla sedia.
Certamente golose, ma anche raffinate, minimali, delimitate dalla perfezione. Mai un ingrediente di troppo, mai un sapore scomposto.
Estro e precisione, che hanno intagliato il nostro percorso gustativo a ogni passaggio, culminando con una straordinaria e moderna finanziera, con una pernice da caccia di didascalica finezza e con un piatto di agnolotti che ci è apparso semplicemente divino.
Oggi, in questo bellissimo castello, sede luminosa dell’Enoteca Regionale del Roero e vetrina privilegiata di quei vini straordinariamente longevi, è possibile assistere a un concerto di emozioni a cui è decisamente impossibile rinunciare se si ama la grande cucina.
Il teatro è Canale, a dirigere c’è Davide Palluda, le repliche della sua cucina-spettacolo ogni giorno tranne la domenica. Non comprate un solo biglietto

L’ingresso
All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Il lungo benvenuto…
benvenuto, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
in cui svetta questa concentratissima zucca ricostruita (passata al forno) con seirass
zucca, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
benvenuto, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
benvebuto, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
L’ottima focaccia alle olive…
focaccia di olive, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
ed il primo colpo d’ala, Topinambour, tartufo e cioccolato bianco. La dimostrazione che le note dolci, se ben equilibrate, con senso del gusto e senso della proporzione, non sono affatto un minus
topinambour, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Il nostro primo compagno di avventure…
champagne, ruinant, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Un passo falso, merluzzo affumicato, crema di scarola e canditi. Qui il dolce e l’affumicato non danno via d’uscita.
merluzzo affumicato,All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Spalla di vitello marinata al miele, crema d’uovo e acciughe, briciole di focaccia, tartufo. Altro colpo da maestro
spalla di vitello marinata al miele, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Il Roero può riservare sorprese su vini longevi? Bien sur
Roero, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Variazione di ovoli reali: crudi, cotti e in blinis. Un tocco di classe le nocciole e la loro essenza
variazione di ovoli reali, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
L’imperiale finanziera, qui in una versione da grande saucier
finanziera, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
finanziera, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
I ravioli di faraona con salsa al Marsala e suo fondo, tartufo. Un piatto da fondoscala.
ravioli di faraona, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Eh sì, confermiano:il roero può dare molte sorprese sui vini longevi
vino, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Costata di Vitello, radicchio e il tocco geniale della salsa di pinoli
costata di vitello, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Rapa e pernice da caccia a tutto tondo
rapa e pernice, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Un sorbetto di uva del Roero
sorbetto di uva al roero, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
ed un dolce al caffè d’orzo
dolce caffè d'orzo, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo
Il commiato della cucina
commiato della cucina, All'Enoteca, Davide Palluda, Canale, Cuneo