Passione Gourmet Gennaio 2012 - Passione Gourmet

Cielo

Abbiamo sempre sostenuto che potenzialmente la Puglia sia uno dei serbatoi culinari più importanti del nostro Paese, con i suoi prodotti importanti, con l’amore per il cibo che caratterizza i locali. Ultimamente poi, in barba ai molti che sostengono, legittimamente ci mancherebbe, che in questa terra i turisti vadano alla ricerca di una cucina di tipo estremamente tradizionale, assistiamo al felice matrimonio fra i caratteri propri del territorio pugliese ed un approccio esecutivo più in linea con l’evoluzione che la cucina ha avuto in questi ultimi due decenni. Questo fermo restando che ciò che amiamo è la felice compresenza in un territorio di tavole di tradizione e ristoranti non necessariamente di ricerca esasperata ma di matrice moderna come questo Cielo, locale fresco di maccarone gommato collocato all’interno del Relais La Sommità ad Ostuni, la città bianca a cui Tolkien si dev’essere ispirato per pensare la bianca Minas Tirith del Signore degli Anelli.
Da poco più di un anno il ruolo di chef è ricoperto da Sebastiano Lombardi, che dopo esperienze importanti accanto ad Antonio Guida e a Nino Di Costanzo (di cui è stato per lungo tempo il secondo), è tornato nella sua regione per prendere in prima persona le redini di questo locale. La sua cucina è molto precisa, non una cottura fuori posto, nessuna bizzarria non finalizzata al risultato gustativo, e tale puntigliosità si riflette positivamente sui dolci, che si sono rivelati superiori al livello medio del nostro pranzo (e che fanno pendere la valutazione, che non è piena ma che arrotondare per difetto sarebbe davvero penalizzante). Da Di Costanzo senz’altro Lombardi ha acquisito un senso estetico notevole, anche se in un paio di presentazioni la sensazione di ”hommage à” è sopraffatta da quella di incompleto affrancamento da un modello estetico di riferimento. Dal punto di vista puramente gustativo invece, i piatti ci hanno convinto sempre per concezione, anche se in un paio di circostanze lo chef ci è sembrato un po’ frenato, come timido, quasi avesse paura di parlare ad alta voce. Accade così che la rivisitazione della tiella barese (in copertina), enunciata con un complesso risotto al limone e zucchine con cozze fritte al nero, tartufi crudi, dadini di patate e salsa di canestrato, si riveli in realtà buona, tecnicamente ben eseguita ma priva del mordente dell’originale, travisandone in tal modo lo spirito.
Il menù degustazione si apre con un baccalà con olive dolci, giuncata, broccoli e peperone imbottito, in cui i vari elementi si coordinano bene con un elemento principale che, preso singolarmente, risulterebbe viceversa su un punto di sale leggermente alto. Si prosegue con un antipasto di carne (gli antipasti sembrano dei piccoli secondi, questo fatto mi ha incuriosito), un convincente maialino cotto a bassa temperatura con cotogne, raviolino di bieta, salsa al mirtillo (ottima anche se non proprio stagionale) e cavolo cappuccio.
I concentrati fagottelli all’uovo ripieni di cime di rapa con pomodoro candito, alici marinate e burrata sono un classico abbinamento, forse un po’ modaiolo altrove, ma qui più che mai pienamente giustificato dalla reperibilità e dalla stagione degli ingredienti. Addirittura l’alice soffre la forza di una straripante cima di rapa.
Ottimo e raffinato in ogni elemento il branzino cotto sulla pelle con carciofo all’anice stellato (quest’ultimo da applausi), finocchi allo zafferano e patate ratte. Complesso e multisfaccettato il piatto dedicato all’agnello della Valle d’Itria. La coscia, cotta a bassa temperatura con polline di finocchietto e panure di taralli, è abbinata ad una crema di patate. Abbinamento gustativamente appagante cui manca tuttavia un contrasto di consistenze. Inappuntabili invece il lombo, accostato ad una salsa di peperoni e limone, e lo “gnummarieddo” abbinato ad una notevolissima purea di capperi.
Il reparto dolce ci ha molto favorevolmente colpito, e infatti fiduciosi dopo il predessert abbiamo optato per un norbertiano inzertino di un paio di extra glicemici. L’onnipresente abbinamento cachi-castagne ha preceduto un’ottima interpretazione di alcuni classici pugliesi (fra cui spicca un bocconotto martinese da urlo) ed un bel gioco di rimandi fra zucca, mandorle (in gelato) e olive (in una focaccina all’olio), e ciascun dolce da solo non avrebbe stonato in tavole più blasonate. Ci attendiamo un’evoluzione in termini di carattere e personalità da parte di questa cucina, su cui tuttavia ci sentiamo di scommettere per il futuro sperando che gli immediati successi non ne frenino lo sviluppo in tempi brevi.

Amuse bouche 1: allievi, carciofo, mandarino.

Amuse bouche 2: polpetta di agnello al pomodoro

Amuse bouche 3: cime di rapa, alici, burrata e pane

Baccalà colto dolcemente con olive dolci, bocconi croccanti di giuncata, broccoli e peperoni arrostiti alla vecchia maniera. (certe pompose definizioni che nulla definiscono ameremmo non trovarle più nelle carte del 2012…)

Coscia di maialino cotta a 68°C con la sua cotenna, mele cotogne arrostite con pepe lungo, insalata cappuccio, salsa leggera al mirtillo e raviolino di bietoline.

I fagottelli all’uovo ripieni di cime di rapa con pomodoro candito, alici marinate, crema di burrata e pane alle acciughe.

Dettaglio

Branzino d’amo cotto sulla pelle, carciofo all’anice stellato, patate ratte, finocchi allo zafferano e salsa liquirizia.

L’agnello della Valle d’Itria. La coscia cotta con polline di finocchietto selvatico e panure di taralli, il lombetto arrostito, gli “gnummareddi”, peperone al limone, capperi e patata soffice.

Predessert

Le castagne con marroni e kaki.

Biscotto all’olio ed olive, zuppetta di zucca, sorbetto alla mandorla.

Viaggio nei classici della pasticceria pugliese.

Cartellate.

Piccola pasticceria.



Recensione ristorante.

Chi ha detto che l’estro e la capacità di offrire una cucina stimolante e davvero interessante siano esclusivo appannaggio dei giovani?
Nessuno, certo, ma le aspettative di fronte ad un ispirato trentenne rispetto ad un esperto 50-60enne sono senz’altro diverse. Devo dire allora che questo ragazzo di sessantun’anni non ha nulla da invidiare a disinvolti colleghi molto più giovani quanto a capacità di sorprendere.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Siamo nel Bresciano. Qui Nerio Beghi, cuoco piegato per lungo tempo (e tutt’ora) alla pasticceria, ha aperto qualche anno fa un concept davvero intrigante. In una corte antica sapientemente ristrutturata ha posto una pasticceria bar da un lato, con ogni prelibatezza degustabile al momento, e un ristorante informale dall’altra parte, dove la sera si serve SOLO pizza, o meglio la Meta-pizza ispirata al buon Simone Padoan dei Tigli di San Bonifacio. A pranzo qualche snack curato (pata negra, acciughe cantabriche, qualche piatto cucinato, sandwitch e hamburger di qualità). (altro…)

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Avviso ai lettori. Qui parliamo di pizza ma non di pizza intesa in senso lato ma in senso classico, tradizionale. La pizza “per eccellenza”, quella napoletana. Quella che ripropone i prodotti e i sapori dell’antico regno delle Due Sicilie.
Fine di pasta, sottile al centro, cornicione definito (e tendente all’alto) e morbido. Più che un piatto, un pezzo di storia. Il genio di Napoli che trasforma il pane in companatico. Chi scrive è napoletano e di pizze buone ne ha mangiate davvero tante nella vita prima di rimanere folgorato sulla via di San Giorgio a Cremano, che è Comune a sé ma, in buona sostanza, estrema periferia di Napoli alle falde del Vesuvio.
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Recensione ristorante.

Ah la grandeur dei francesi…
Non quella millantata, spesso sinonimo di arroganza e snobismo che è solo una delle facce dell’ignoranza.
Ma quella vera, che permea anche i luoghi lasciandone trasparire la storia, sia nelle forme che nelle atmosfere, e che non può non colpire l’esteta assetato di bellezza come pure il navigato frequentatore di tavole.
Se ci si siede in questa sala maestosa, ricca di specchi, ottoni, cristalli, boiserie osservando i giovanili e impeccabili commis intenti, come in un valzer, a officiare la liturgia del servizio, si percepisce quasi tattilmente, nella luce che inonda la magnifica location, questa grandezza, imbevuta di passato, e l’armonia di cui grazia ed eleganza sono i canoni principali.
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